Recensione: The First Shade of…

Di Giorgio Vicentini - 12 Settembre 2005 - 0:00
The First Shade of…
Band: Grey
Etichetta:
Genere:
Anno: 2005
Nazione:
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50

La Francia è terra di grandissime black metal band, però si sa, dando alla luce tanti pargoli bellissimi può capitare di partorire un Calimero che suoni estemporaneo, caso nel quale ricade l’opera prima di Santhem, padre di questo strano progetto black metal che vorrebbe essere sintesi di sofferenza.

The First Shade of… potrebbe riassumersi in alcune parole quali “trend”, “suicidal”, “Francia”, “Shining/Bethlehem” e “Moonfog”. Purtroppo è chiaro che le tematiche autodistruttive o deprimenti stanno prendendo piede nel black senza trovare opposizione, ed è facile incappare in lavori dalla dubbia o presunta espressività come questo. E’ altrettanto vero, però, che nessuna delle tracce proposte dal francese riesce ad andare oltre qualche citazione sparsa agli Shining, soprattutto nelle vocals e nel riffing più greve come in “Leaving This Place Once Again”, o in quelle più cupe alla Bethlehem di “I Speak Fluent Evil”. Una coppia di tracce accettabili, che lascia soltanto intravedere cosa sta per accadere.

Purtroppo, da “II” in poi, intermezzo ambientale al pari dei compagni “I” e “III”, prevale la noia più completa a causa di brani lunghissimi, quasi infiniti a dispetto dei loro otto minuti di media teoricamente tutt’altro che insormontabili. Sconclusionati nell’atmosfera, nei vocalizzi e perfino soporiferi, riescono ad essere anche un po’ fastidiosi nel loro richiamare una sensazione di Moonfog che ha proprio il sapore tagliente e finto delle produzioni di Satyr. Continua “Israel Uber alles“, prolissa e per nulla espressiva, apripista per la seguente “Omegod”, sorella dalla partenza cadenzata che riesce a risollevarsi appoggiandosi ad uno dei pochi spunti realmente depressi del disco, con un finale atmosferico di buona fattura. 

The First Shade of… è innocuo e dispersivo, manca clamorosamente sotto il profilo dell’emotività, vittima di superflue lungaggini musicali ben rappresentate dai passaggi vuoti di “Hidden Behind Your Sufferings”, la cui linea di condotta va scovata tra le sue trame dispersive scandite dalla drum machine. Leggermente più cangiante il nono capitolo finale “Vladian”, come in altri casi trascinato inutilmente oltre quota dodici minuti, capace comunque di mostrasi leggermente più coinvolgente su ritmiche d’apertura spedite e Shining oriented, ricordandosi nella parte centrale che esistono soluzioni riflessive ed atmosferiche in grado di raggiungere facilmente il lato deprimente del black.

Inutile anche la citazione nel booklet dei Dolorian, il cui spirito non riesce a risollevare le sorti di un disco stanco e che trova una maniera discutibile di mostrarsi, attraverso un artwork a mio avviso scadente, incredibilmente minimale e per nulla d’aiuto nel caso si voglia provare a calarsi nell’atmosfera del disco.

Forse il progetto di  Santhem è frutto del mercato attuale che regala una chance a tantissime band che decidono di intraprendere una strada precisa, entrando nella moltitudine di proposte di settore dalla dubbia utilità e dalle quali non è sempre facile sfuggire o difendersi. Magari col tempo le cose miglioreranno per i Grey, ma per ora direi: “metallaro avvisato, mezzo salvato”.

Tracklist:
01. I
02. Leaving this place once again
03. I speak fluent evil
04. II
05. Israel Uber alles
06. Omegod
07. III
08. Hidden behind your sufferings
09. Vladian

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