Recensione: The Forsaken

Di Emanuele Calderone - 16 Maggio 2009 - 0:00
The Forsaken
Band: Antestor
Etichetta:
Genere:
Anno: 2005
Nazione:
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70

Tornati sul mercato nel 2005 dopo otto anni di assenza dall’ultimo, poco entusiasmante, “The Return of the Black Death”, gli Antestor con il loro ultimo nato “The Forsaken”, sembrano finalmente aver fatto il tanto atteso salto di qualità.
Balzati alle cronache più per i temi trattati che non per l’effettiva qualità della musica (la band rientra nel movimento a sfondo cristiano denominato un-black metal), i tre norvegesi propongono un black metal melodico riconducibile principalmente ai Dimmu Borgir del quinquennio 1997/2001, con qualche influenza proveniente dal doom e dal metal neoclassico, quest’ultimo per quanto concerne alcuni solos di chitarra.

Analizzando il prodotto nella sua interezza, a saltare subito all’occhio è sicuramente la copertina ad opera di Kristian Wåhlin, che esprime la duplice anima della band: l’angelo sulla destra, che tiene per una mano il ragazzino, rappresenta idealmente la parte delle liriche incentrate su Dio, l’amore per Dio e la vita; la morte sulla sinistra è invece il simbolo riconducibile all’aspetto musicale.
Aprendo il libretto, tra i nomi delle guest-star ci son un paio di sorprese. Due musicisti importantissimi ed indissolubilmente legati al mondo del metal quali Ann-Marie Edvardsen ex-The 3rd and the Mortal e niente meno che un certo Hellhammer, conosciuto ai più per aver fatto parte già di gruppi quali Arcturus, The Kovenant e Mayhem. Ad aiutare il duo iniziale ci pensa poi alle chitarre Bjorn Leren, giovane strumentista svedese di ispirazione malmsteeniana, che aggiunge al disco quel retrogusto neoclassio a cui si faceva riferimento in precedenza.

Ad un ascolto attento dei dieci brani presenti all’interno di “The Forsaken”, si nota come gli Antestor siano nettamente migliorati sotto molti punti di vista. I suoni si sono fatti più gradevoli e puliti, la produzione conferisce infatti all’album un sound brillante e chiaro, sottolineando ogni strumento a dovere, bilanciando bene i suoni e rendendoli cristallini, ma mai artificiali.
Dal punto di vista dell’esecuzione il discorso non cambia ed i passi avanti rispetto al passato sono notevoli. Vrede alla voce svolge un lavoro egregio, sfoderando delle scream vocals di prim’ordine, aggressive ed espressive. Anche nel growl il cantante norvegese dimostra di muoversi a proprio agio, tirando fuori una voce corposa e gutturale, sebbene mai esagerata o fuori contesto.
Le chitarre si attestano anch’esse su livelli qualitativi buoni: i riffs sono potenti e taglienti, con un occhio sempre attento alla ricerca di melodie eleganti che sostengono con grande decisione le vocals; stesso dicasi per gli assoli, che senza risultare troppo complessi nell’esecuzione si lasciano lodare per il gusto e la classe con cui vengono eseguiti.
Menzione d’onore per la batteria, che compie un lavoro assolutamente fenomenale, confermando Hellhammer ancora una volta uno dei migliori drummers all’interno del metal estremo e non. Le ritmiche non lasciano un momento di respiro, con blast-beats e continui tappeti di doppia cassa e non pochi controtempi che rendono il full-length ancor più vario.
Il trio iniziale di brani rappresenta a grandi linee l’anima rinnovata della band: l’opener “Rites of Death”, aperta dalla suadente voce della Edvardsen, presenta da subito una totale dedizione al black metal melodico, proponendo un ottimo guitar work, vario e mai stucchevole, sorretto da una sessione ritmica particolarmente brillante. Egregie le progressioni e le numerose sfuriate all’interno, con una lode in più per l’operato del cantante, davvero di prim’ordine.
La seconda “Old Times Cruelty” è invece costruita su atmosfere più malinconiche rispetto al brano precedente. Introdotta da una chitarra acustica, la canzone si adagia su tempi meno esasperati che contribuiscono, assieme alle linee melodiche opprimenti, a rendere l’ascolto del brano più ostico. Molto buono il chorus nel quale dei cori di ispirazione gotica si alternano allo scream/growl del cantante arricchendo notevolmente il pezzo.
E’ così che si arriva al punto focale dell’album: “Via Dolorosa” racchiude infatti al suo interno tutti i caratteri della band, partendo riffs melodici, ma allo stesso tempo molto aggressivi, passando per ritmiche forsennate, fino all’alternanza tra scream e growl. Più che sufficiente anche il lavoro svolto in fase di stesura delle liriche, nelle quali il gruppo chiarifica il proprio punto di vista sul concetto di peccato e sulla Bibbia vista come unico modo per trovare la “felicità”.
Andando avanti la qualità dei brani si attesta su livelli più normali, sebbene con pochissimi cali di tensione (riscontrabili per lo più nella non troppo attraente “Vale of Tears”).
Ottima la conclusiva “Mitt Hjerte”, brano strumentale estremamente atmosferica, nella quale le tastiere tessono una triste trama melodica sulla quale si adagia la chitarra di Leren, che sfodera un solo di gran gusto e delicatezza.

Tirando le conclusioni, siamo davanti ad un LP onesto, che senza far gridare al capolavoro svolge il suo compito e si presenta ben suonato ed ottimamente prodotto. La sua particolarità (ormai non più tanto originale, visto il proliferare di band un-black) risiede senz’altro nelle liriche incentrate sul cristianesimo e sull’esaltazione dello stesso. Caratteristiche da tenere sicuramente ben presenti al momento dell’ascolto e dell’acquisto del disco..

Tracklist:
01 Rites of Death
02 Old Times Cruelty
03 Via Dolorosa
04 Raade
05 The Crown I Carry
06 Betrayed
07 Vale of Tears
08 The Return
09 As I Die
10 Mitt Hjerte

Emanuele Calderone

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