Recensione: The Harvest Floor

Di Francesco Sorricaro - 2 Aprile 2009 - 0:00
The Harvest Floor
Etichetta:
Genere:
Anno: 2009
Nazione:
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80

I Cattle Decapitation sono una band che ho seguito sempre con curiosità. Alfieri di un brutal death che spesso e volentieri sfocia nel grind più estremo, hanno fatto parlare negli anni di sé soprattutto per l’ideologia che accompagna per intero la loro proposta artistica e che, per chi non lo sapesse, è fondata su una totale misantropia ed un fiero moto d’accusa all’intero genere umano, colpevole del quotidiano massacro indiscriminato ed ingiustificato di animali che, secondo questi californiani, ha superato da tempo i limiti imposti dalle leggi della natura e della piramide alimentare.

Dal 1996, anno d’inizio della loro carriera, in poi si sono sprecati i commenti sul loro essere vegetariani e sulle mooolto esplicite cover dei loro dischi, tralasciando a volte l’analisi approfondita della loro evoluzione musicale, per la verità quasi impercettibile fino a questo momento.

The Harvest Floor segna infatti una sorta di piccola svolta nella discografia del gruppo. Si tratta infatti di un album che, pur non tradendo le aspettative degli amanti della brutalità sonora, porta avanti quelle sperimentazioni timidamente accennate nel precedente Karma Bloody Karma, facendone sempre di più delle salde componenti del sound proposto, nonché elementi divertenti in grado di aumentare la godibilità della loro musica.

La terrificante opener The Gardeners of Eden è perfettamente esemplificativa in questo senso: una fucilata in pieno volto impreziosita di cambi di tempo, improvvisi rallentamenti e dissonanze disturbanti. Un brano dalle tinte prog per certi versi. Ma niente paura… Si tratta in verità di uno dei pochissimi esempi di innovazione, per così dire totale, presenti nell’album. A partire dalla successiva A Body Farm apre la macelleria dei timpani e il massacro ci viene servito senza tanti complimenti dal grugnito incessante dell’orco Travis Ryan, dalla velocità turbinante del riffing di John Elmore e dal duo ritmico formato dal corpulento bassista Troy Oftedal e dal nuovo batterista David Mcgraw, il quale sembra esserci nato dietro le pelli dei Cattle, tanto sembra a suo agio a seguire i ritmi indiavolati e supersonici degli altri tre.
We are Horrible People sbatte in faccia ancora una volta, dapprima con ritmo solenne e marziale e dopo con furia in stile black metal, tutto l’odio che i quattro di San Diego provano per il genere umano: i “malati di mente” indebitamente autoproclamatosi specie superiore, sul pianeta che stanno portando ad una inesorabile distruzione.

Si susseguono, brutalmente piacevoli, i capitoli di The Harvest Floor, un headbanging continuo rotto solo da intermezzi sonori che mettono a dura prova il sistema nervoso o dai tipici versi di animali incazzati, uno dei marchi di fabbrica del combo, episodi che vedono la partecipazione amichevole di ospiti come Ross Sewage degli Impaled e Dino Sommese dei Dystopia oltre che la fondamentale presenza dell’artista del noise John Wiese, che aveva già collaborato con loro in passato.

Arrivati al termine della divertente Into the public bath, però… sorpresa! I versi indistinguibili e i rumori insopportabili si rompono improvvisamente in una melodia pacifica ma angosciante, ed è qui che appare dalla nebbia una voce eterea ed inconfondibile per alcuni: è quella di Jarboe. L’ex cantante dei grandissimi Swans entra in scena per questo inatteso cameo come l’angelo della morte che preannuncia la tua fine, accompagnata dal violoncello della brava Jackie Perez-Gratz e da una marcetta che sembra condurre gli esseri umani condannati a morte, direttamente al macello: scena magnificamente rappresentata nell’inquietante artwork del disco da Wes Benscoter.

È dunque questa sorprendente title track che sfocia lentamente nel brano conclusivo di questo lavoro: la potente Regret & the Grave, un altro di quei pezzi diciamo meno convenzionali, la quale si avvale ancora della partecipazione del violoncello a dipingere un malinconico tappeto come sfondo dell’esecuzione finale.

I Cattle Decapitation non sono mai sembrati più sicuri di sé: hanno tirato fuori un lavoro che, grazie anche alla ottima produzione di Billy Anderson, risuona solido e maturo, hanno saputo spingersi un passo più in là e questo presagisce un futuro roseo per loro e devastante per noi. Attenti alla mietitura!

Francesco ‘Darkshine’ Sorricaro

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Tracklist:

1. The Gardeners of Eden 05:38
2. A Body Farm 03:28
3. We are Horrible People 03:56
4. Tooth Enamel & Concrete 02:57
5. The Ripe Beneath the Rind 02:49
6. The Product Alive 03:04
7. In Axetasy 04:43
8. Into the Public Bath 03:10
9. The Harvest Floor 03:07
10. Regret & the Grave 04:39

Total playing time 37:31

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