Recensione: The Human Price

Di Alessio Gregori - 28 Luglio 2016 - 10:00
The Human Price
Band: Utopian Trap
Etichetta:
Genere: Progressive 
Anno: 2016
Nazione:
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Dagli States, più precisamente dall’area della baia di San Francisco, giunge a noi il secondo album in studio autoprodotto degli Utopian Trap, band di cui sappiamo davvero poco o nulla, se non che appartiene al filone progressive metal e che ha ricevuto in passato critiche abbastanza favorevoli per quanto riguarda le capacità tecniche espresse. Di primo impatto, The Human Price si presenta con un artwork ben fatto e accattivante. Leggendo sul sito ufficiale della band, scopriamo inoltre che si tratta di una specie di concept che affronta il tema della perdita di vite innocenti causate da atti disumani e dell’ossessione per i social media. Notiamo infine, dando un’occhiata alla durata complessiva dell’album, che si tratta di una registrazione insolitamente breve e in contrasto con i canoni del genere cui pertiene: 35 minuti scarsi e solo 7 brani. Ammetto che qualche dubbio a tal proposito cominciava a insinuarsi, visto sarebbe più giusto inquadrarlo come un EP eppure, essendo presentato con certezza come il nuovo album in studio della band, come tale verrà giudicato.

Cercando quindi di superare ogni preconcetto, iniziamo l’analisi. La title-track, che è la colonna portante di questo lavoro ed è anche quella con la durata più lunga (quasi 10 minuti) è abbastanza semplice e diretta, lo stile ricorda vagamente i Power Of Omens, conosciuti ai più come una band molto tecnica, anche se poco originale. A dire il vero, gli Utopian Trap non stupiscono tanto in termini di virtuosismi ma hanno certamente dalla loro la capacità di produrre suoni molto puliti. Inoltre hanno il vantaggio di avere in line-up un cantante piuttosto duttile e ispirato. Nel complesso la song risulta gradevole, anche se non memorabile e non particolarmente innovativa. La successiva “Wired Ruins”, dopo qualche effetto sonoro, esordisce con un riff potente e particolare, con una distorsione che la rende alquanto originale. Proseguendo nell’ascolto riceviamo sensazioni abbastanza piacevoli, il pezzo rimembra un po’ i vecchi Nevermore e invoglia pertanto a continuare. Da qui in poi, ahimè, vi anticipo che saranno solo delusioni e una piattezza disarmante. Il terzo brano, intitolato “Verge”, è infatti una strumentale che non mette in evidenza particolari capacità e ha un ritmo che non decolla. Nel complesso sembra quasi un esercizio di una band che cerca di affinare gli strumenti e sinceramente non ne capisco la necessità. È tuttavia con la successiva “Athephobic” che tocchiamo davvero il fondo! Parliamo infatti di una sorta di jam session di basso che sa tanto di presa in giro per l’ascoltatore, un mero riempitivo suonato male e arrangiato anche peggio… meglio quindi stendere un velo pietoso e passare oltre. “The Final Figure” è una canzone abbastanza incolore e suona troppo di già sentito. Non facciamo in tempo a iniziare ad apprezzarne alcuni passaggi che finisce in un lampo, come fosse una storia senza idee, un compitino svolto di fretta. Quello che indispettisce maggiormente è che non ha nemmeno un finale vero e proprio, semplicemente il volume si abbassa progressivamente e cala il sipario, che tristezza…  “Walls of Justice” parte bene, con un riff acustico di pregevole fattura ma che si sviluppa poi in un crescendo fine a se stesso, nel senso che non porta assolutamente da nessuna parte, se non a un insieme di passaggi sconclusionati e copiati da questa e da quell’altra band. Chiude questa sofferenza uditiva un altro pezzo strumentale (tanto per cambiare) troppo breve e insignificante, la classica outro.
Che dire a questo punto? Credo si sia ormai capito, The Human Price non merita la sufficienza e lascia solo un forte senso di delusione, visto che si tratta di un album tutto sommato partito con delle buone premesse ma naufragato in un mare di banalità. Sembra pertanto un lavoro inconcluso, quasi terminato di fretta e furia, senza capo né coda. Se tenete conto che in 35 minuti abbiamo in pratica ascoltato soltanto quattro canzoni, di cui due buone (ma non certo entusiasmanti) e altrettante dozzinali, cui vanno aggiunti tre pezzi strumentali (due da dimenticare e uno addirittura insulso), la frittata è fatta. Spiace dirlo ma come direbbe qualcuno: avanti un altro, grazie.

 

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