Recensione: The Last Kind Words

Di Davide Iori - 27 Agosto 2007 - 0:00
The Last Kind Words
Band: DevilDriver
Etichetta:
Genere:
Anno: 2007
Nazione:
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80

Ritorno discografico per il progetto del frontman Dez Fafara che, dopo l’ottimo debutto
Devildriver e l’ancor più convincente The Fury of Our Maker’s
Hand
, viene chiamato alla fatidica prova del terzo album per dimostrare di non essere solamente un fenomeno passeggero, ma una band in grado di diventare una realtà consolidata del panorama Thrash-Death. Una volta comprato il disco e portatolo nell’oscurità della propria cameretta i pensieri che si affollano durante i lunghi tentativi di apertura del rivestimento in cellophane sono innumerevoli: dove saranno andati a parare questa volta i nostri? Avranno continuato sulla via della melodicizzazione della loro proposta oppure avranno fatto un passo indietro tornando a calcare lidi più consoni alla loro filosofia originale, ossia un metal che, pur nella sua musicalità, aveva come primo compito quello di esprimere la violenza più pura? Andiamo a scoprirlo.

The Last Kind Words è un disco che indubbiamente fa dell’aggressione e della forza bruta le sua caratteristiche fondamentali. Riffs taglienti si alternano all’inconfondibile voce di Dez, il quale si prodiga in una prestazione senza compromessi, uno scream al vetriolo da tonsille sanguinanti. Il gruppo può contare su uno dei migliori batteristi thrash-death attualmente in circolazione e lo sa benissimo: John Boecklin gode dunque di tutta la libertà espressiva e del risalto in sede di mixaggio che si merita, cosa che gli permette di sfoderare un drumming roccioso ed allo stesso tempo estremamente tecnico, in cui la cassa si ritaglia un ruolo di primissimo piano ed il rullante schiocca come mai prima. La produzione è assolutamente perfetta e riesce a catturare un sound sporco ed aggressivo senza la minima penalizzazione nei confronti della chiarezza e della definizione degli strumenti i quali si sentono tutti alla perfezione (il basso costituisce la solita eccezione, che in questo caso tuttavia non è nemmeno così grave in quanto in cuffia è abbastanza facile avvertire anch’esso e comunque vi sono momenti in cui si ritaglia un ruolo da protagonista, come ad esempio in
Monsters of the Deep).

Giungendo a parlare della musica la prima notizia che si deve registrare è il fatto che i
Devildriver abbiano deciso di tornare in parte al passato, calcando ancora una volta i lidi straight edge che erano stati così ben espressi nel loro primo lavoro, ma allo stesso tempo alternando canzoni “classiche”
(Not all who wander are lost, When Summoned, Clouds Over
California
…) ad altre evidentemente ispitrate, udite udite, al death melodico di Gotheborg, con particolare riferimento agli In Flames. Horn of Betrayal rivela aspetti che la band non aveva ancora mostrato, con un tema di chitarra nell’incipit che ricorda cose già sentite in canzoni come ad esempio
Crawl Through Knives (Come Clarity); la successiva These Fighting Words poi, con il parlato iniziale, va addirittura a sconfinare su territori già esplorati da gruppi come ad esempio gli
Unearth. La cosa potrebbe far storcere il naso ai puristi in un primo momento, ma dopo un paio di ascolti questo nuovo aspetto made in
Devildriver, assieme ai neo arrivati assoli, non potrà fare altro che piacere, in quanto introduce elementi di variazione in un album che altrimenti rischierebbe di essere piatto pur nella sua ballezza.

Dez Fafara e soci riescono dunque a realizzare un disco che aggiunge nuovi elementi alla discografia del loro progetto anziché accontentarsi di utilizzare meccanismi compositivi già rodati e la cosa non può fare che piacere, anche perchè i nostri, in questo
The Last Kind Words, non hanno di certo perso le prerogative che avevano permesso loro di imporsi come uno degli acts principali di un movimento, quello thrash-death, che forse non ha mai annoverato tantissimi gruppi al suo interno, ma che di questi tempi, con gli acts storici lontani dai loro anni migliori, ha bisogno di gente che tenga alta la bandiera sfornando lavori di qualità. Unica pecca di questo platter è forse la mancanza della hit assoluta, della
I Could Care Less della situazione, ma, come si sa, quelle sono canzoni che vengono fuori poche volte nella vita artistica di ciascuno. In ogni caso ciò non pregiudica, se non in minima parte, la votazione complessiva. Siete amanti del death più aggresivo?
Devildriver, una garanzia.

Tracklist

1. Not All Who Wander Are Lost
2. Clouds Over California
3. Bound By The Moon
4. Horn Of Betrayal
5. These Fighting Words
6. Head On To Heartache (let Them Rot)
7. Monsters Of The Deep
8. Tirades Of Truth
9. Burning Sermon
10. When Summoned
11. The Axe Shall Fall

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