Recensione: The Long Lasting Dusk
Album di debutto per i meneghini Will o’Dusk, band dedita ad una miscela rock dai contorni moderni in cui si agitano anime molteplici.
“The Long Lasting Dusk” è un debutto solido che li presenta come una band capace di unire immediatezza ed una certa ambizione narrativa senza scivolare nel puro esercizio di stile. Non è un esordio rivoluzionario, ma un biglietto da visita di buon livello, curato nei dettagli, che lascia intravedere un margine di crescita interessante.
Il quartetto italiano costruisce il proprio esordio attorno a un mix di southern rock, post-grunge, hard rock e una leggera impronta glam, puntando più sull’alchimia d’insieme che sull’immediatezza che possa stupire di primo acchito. Il risultato è un sound giocato sui contrasti, dove tensione e apertura melodica convivono senza che una dimensione cancelli l’altra.
L’album è un concept, elemento decisamente atipico per il genere proposto. Pensato come un viaggio quasi cinematografico, ha un approccio coerente che emerge tanto nella scrittura quanto negli arrangiamenti, sempre attenti a creare scene più che semplici brani. Pur senza cercare la complessità troppo elaborata, la band prova a dare ad ogni episodio un ruolo preciso dentro un percorso più ampio.
Molto curioso poi il titolo scelto: “The Long Lasting Dusk“, lascia intravedere un sottile senso dell’ironia che può connettersi con il senso del disco. Un crespucolo di “lunga durata” può probabilmente avere un senso nell’aspetto di annebbiamento che sta alla base del concetto filosofico che innerva il pensiero della band. Coesistenza degli opposti, frenesia del vivere e tensione emotiva che si perde in una eterno ottenebrarsi dei sensi.
“The Long Lasting Dusk” si articola idealmente in due atti: “The Descent”, che mette a fuoco caduta e riconoscimento del dolore, e “Resurgence”, orientata a rinascita e resilienza. Questa divisione conferisce al disco una progressione con i pezzi più abrasivi a fare da contraltare a momenti più aperti e luminosi.
La tracklist (dieci brani per poco meno di quaranta minuti) cerca l’equilibrio tra impatto e momenti di ampio respiro, con episodi come “Lucifer’s Tears” e “Let It All Explode” a incarnare la faccia più feroce e “SlowMo” o la conclusiva “Last Drop” a lavorare sulle sfumature e sul senso di comunione. La presenza della cover “Whitehouse Road” inserisce un ulteriore tassello nel mosaico delle influenze, senza però snaturare l’identità del gruppo.
Il principale punto di forza del disco è la coerenza delle emozioni: i Will O’Dusk sembrano avere ben chiaro cosa vogliono raccontare e in che modo, riuscendo a trasmettere quel conflitto fra distruzione e rinnovamento che attraversa l’intero lavoro. Ne esce un debutto che, pur muovendosi entro coordinate riconoscibili, sa mostrasri genuino e per nulla artefatto, frutto di una reale volontà di esprimere qualcosa di significativo piuttosto che privilegiare il colpo ad effetto fine a se stesso.
Si avverte però ancora un margine di rischio non pienamente esplorato. L’ideale cocktail di generi proposto funziona discretamente bene, ma lascia la sensazione che la band possa spingersi oltre i confini, osando di più in termini di scrittura e soluzioni sonore. È proprio questa frizione tra solidità raggiunta e potenziale ancora da sbloccare a rendere “The Long Lasting Dusk” un esordio promettente, più che definitivo.
Non ancora competitivi per dialogare su palcoscenici di livello internazionale ma comunque in divenire e con prospettive interessanti.
Li vedremo più avanti. Per intanto, buona la prima.
