Recensione: The Marriage Of Heaven And Hell – Part II

Di Mauro Gelsomini - 26 Gennaio 2003 - 0:00
The Marriage Of Heaven And Hell – Part II
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Anno: 1996
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90

Quest’album rappresenta la seconda parte della trilogia iniziata con “The Marriage of Heaven and Hell part 1” e conclusasi con “Invictus”, ed è incentrato sulle vicende di Endyamon ed Emalaith e sulla loro eterna storia d’amore. Come tutte le grandi opere, essa cela, dietro la storia più superficiale, conflitti profondi e temi metafisici, ovvero quello dell’eterna lotta tra bene e male. L’impegno di tali contenuti dal punto di vista letterario deve essere sostenuto da un grosso sforzo compositivo, dacché il concept in questione è grandioso, e ben si adatta allo stile romantico-epico dei Virgin Steele e al loro personalissimo songwriting. E’ con quest’album, infatti, che si tracciano marcatamente i lineamenti del sound che caratterizzerà la loro futura e fortunatissima produzione.
In “The Marriage of Heaven and Hell part 2” lavorarono tre diversi batteristi, ma Frank Gilchriest (che suona tre delle tredici tracce) decise di rimanere con la band, confidando nel futuro, e sembra che il tempo gli abbia dato ragione.
Preferisco questa seconda parte alla precedente, perché il sound è più compatto e più vicino a quello degli odierni Virgin Steele… Certo, si tratta solo di sfumature colte da un appassionato, come per esempio l’iniziale prologo “Crown Of Glory”, tradizionale richiesta d’ispirazione alla musa, qui simboleggiata dallo spirito del true metal. E’ indicativa a questo proposito anche la presenza di diversi intermezzi strumentali (“From Chaos To Creation”) che collegano i vari episodi, e che diventeranno un marchio di fabbrica nello stile dei Virgin Steele.
Se facciamo un passo indietro potremmo considerare l’opener “A Symphony Of Steele” come un pre-prologo, ancora non pienamente calato nell’atmosfera teatrale del disco, ma adatto a fissare l’attenzione sulle chiare intenzioni di Defeis e compagni. Più volte questa song è stata accusata di somigliare un po’ troppo alla manowariana “Wheels Of Fire”, ed è impossibile non riportare il paragone in questa sede. Certo è che nessuno nota i serpeggiamenti blues della tastiera ad inizio pezzo e l’anthemico ritornello ben poco “denim & leather”; la propensione a inneggiare al metal non scema mai durante questo album, e si ripropone con insistenza nelle potenti “Twilight Of The Gods” e “Rising Unchained”, immortalate dal riffing di Ed Pursino.
Sono però le due canzoni “lunghe” del disco, “Prometheus the Fallen One” e “Emalaith”, che riescono a rubare la scena, la prima con il suo feeling quasi aor, i suoi vibrafoni mediorientali, e una sezione slow-down tra le migliori mai composte dai VS; la seconda che fa subito l’andatura imponendo il tema ricorrente del disco (e dell’intera trilogia) in una traccia scorrevole e eccezionalmente avvolgente. “Emalaith” è anche la mia preferita dell’intero album, soprattutto per la straordinaria performance vocale di David, ma è l’attitudine teatrale a rendere grande il brano, narrante la morte dell’eroina: arrangiati con una classe sopraffina si susseguono diversi temi musicali che ripercorrono un po’ tutta la carriera della band.
Ci sono poi gli episodi “di raccordo”, diciamo così, come “Transfiguration”, dall’anima blues, sulla scia di “Self Crucifixion” dell’album precedente. La song affronta il tema della vita dopo la morte, riprendendo un po’ il dualismo del titolo del disco, quindi sarà impossibile non notare le sue tinte più oscure, quasi doom, e le emozioni a tratti funeree ma sempre di magniloquente impatto.
Lo stesso dualismo viene affrontato anche in “Devil/Angel”, song più scostante rispetto al resto dell’album, così vicina allo standard ottantiano di “Noble Savage”. Si tratta comunque di un ottimo pezzo metal, tirato e “sudato”.
Il viaggio post-mortem prosegue con “Victory Is Mine”, epic-power di grande effetto, soprattutto dopo la parentesi super-ispirata di “Emalaith”. Tocca a “Strawgirl” dare il conclamato brivido di romanticismo alla vicenda: una ballad sing-along dall’appeal ruffiano e raffinato, sullo stile delle ballad di certi Savatage, accattivante come la conclusiva “Unholy Water”, dominata dal più pomposo aor.
Cala il sipario con l’ennesimo riarrangiamento del tema “The Marriage Of Heaven And Hell”, stavolta guitar oriented, con un groove che forse è il migliore della serie.
E’ abbastanza per me. Un simile turbinio di emozioni è degno di finire nell’olimpo degli album preferiti, colpevole unicamente di essere stato superato dall’immenso “Invictus”, anche se nel 1995 non lo consideravo un evento possibile.
By The Gods!

Tracklist:

1. A Symphony Of Steele
2. Crown Of Glory
3. From Chaos To Creation
4. Twilight Of The Gods
5. Rising Unchained
6. Transfiguration
7. Prometheus The Fallen One
8. Emalaith
9. Strawgirl
10. Devil/Angel
11. Unholy Water
12. Victory Is Mine
13. The Marriage Of Heaven And Hell Revisited

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