Recensione: The Obscure Light Awaits
A distanza di quasi un anno rispetto al precedente appuntamento su queste pagine con riferimento i Sonum, torniamo oggi a trattare il tema, andando a porre un occhio (anzi, un orecchio) sul loro nuovo album: “The Obscure Light Awaits”. Il terzetto di Vicenza era chiamato al disco della definitiva maturazione, dopo aver posto delle basi interessanti con il precedente “Visceral Void Entropy”, e abbiamo dato spazio a questo nuovo lavoro con grande curiosità, considerando anche l’approdo nell’paniere di un’etichetta come la Dusktone.
Il disco si apre con una breve strumentale ad introdurre “In This Void We Dwell”: brano carico ma ordinato, con buoni spunti alla batteria e chitarra. Dopo questo primo – ed incoraggiante – episodio purtroppo però, si cade in una pericolosa sacca che intrappola il disco: in tutti i pezzi c’è la continua sensazione che “prima o poi succederà qualcosa”, ma poi alla fine si rimane in attesa del guizzo, della sezione dirompente, del colpo di coda, attesa che rimane tale. Bisogna arrivare a “Ad Mortem (Iter Est)” per ritrovare un po’ di freschezza, regalando una traccia varia e trascinante, finalmente tirando fuori qualche soluzione interessante. Sicuramente notabile poi il pezzo di chiusura “Deliver Us (Final Trip)”, tra l’altro di gran lunga il più dilatato del disco (oltre i 9 minuti), che presenta un notevole contributo al basso e alla batteria ed una parvenza più “prog” nel senso creativo del termine, ma anche qui si rimane nella costante attesa/aspettativa del sospiro di stupore, che non arriva mai.
Il prodotto non è assolutamente di scarsa qualità, ma ha il sapore di un piccolo passo indietro rispetto al precedente. La produzione è strana, troppo cupa e compressa, e manca lo spunto che elevi davvero il disco a qualcosa di più. Dispiace perché i ragazzi del Vicentino hanno talento, e il tipo di offerta musicale che sembrano voler proporre in Italia non presenta chissà quanti profili di rilievo; ma la scarsa concorrenza da sola non basta per far distinguere un prodotto che risulta un po’ troppo monocorde.