Recensione: The Persistence

Di Roberto Gelmi - 23 Dicembre 2018 - 12:00
The Persistence
Band: Kingcrow
Etichetta:
Genere: Progressive 
Anno: 2018
Nazione:
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85

The Persistence è il settimo album in più di vent’anni di carriera per il sestetto romano guidato dai fratelli Cafolla e a ragione uno dei migliori dischi prog. metal italiani dell’anno insieme a Cracksleep dei livornesi Eldritch. Dopo il trittico d’eccellenza composto da full-length della qualità di Phlegethon, In Crescendo ed Eidos non era facile riproporsi su livelli d’eccezione, ma la sfida è vinta ancora una volta dal combo capitolino.
L’avvio del disco non potrebbe essere migliore e più icastico: “Drenched” è un pezzo ricercato e robusto che trasmette già dal primo ascolto un che di grandioso e trascinante. In cinque minuti e mezzo sono condensati i vari lati del sound Kingcrow, innervato di chitarre abrasive, linee vocali pulite e ariose, drumwork incisivo e i soliti rimandi all’albero del porcospino. Più oscura e gloomy la successiva “Closer”, brano dall’incedere volutamente smagato, con alcuni inserti djent e una coda semiacustica da incorniciare. Traccia atipica (ma non per i Kingcrow) “Everything Goes” per 180 secondi non sembra nemmeno un pezzo metal, ma un intarsio magistrale di atmosfere sospese e sintetizzatori eterei. Le chitarre elettriche compaiono nel finale, forse si poteva azzardare di più e lasciare un brano completamente scevro di parti della 6-corde. Superato il primo tris di composizioni, la tracklist presenta due song dal minutaggio attorno ai sette minuti ciascuna, aspetto che avvicina il gruppo romano a band che prediligono una durata medio-lunga come i Communic. “Folding Paper Dreams” inizia e finisce su toni dimessi, salvo inglobare una parte centrale dal crescendo irresistibile, tra prog. e power. Che i sogni (di carta) siano come da pascoliana memoria l’ombra infinita del vero?
La title-track presenta momenti quasi ieratici, dalla solennità chiaroscurale, un refrain melodico da brividi e una parte solistica che alterna schiarite improvvise a dissonanze disturbanti. Ancora rimandi a Steven Wilson in “Every Broken Piece of Me” (già il titolo è poesia), mentre in “Devil’s Got a Picture” lo spettro di Awake dei Dream Theater è palese nell’uso delle tastiere. “Night’s Descending” si può intendere come manifesto di un notturno moderno, genere musicale e tematico nato in ambito romantico ormai due secoli fa. Se possiamo aggiungere una velleità estemporanea, diciamo che ci sarebbe stato a pennello Daniel Gildenlöw come ospite nelle strofe iniziali… e così eccolo comparire come ospite d’eccezione! Gli ultimi dieci minuti non presentano punti di debolezza. “Father” si dimostra ipnotica se ascoltata con attenzione in cuffia con la dovuta concentrazione. “Perfectly Imperfect” chiude il cerchio in modo magnificente ed è il sunto dei Kingcrow a oggi, una band che ha fatto proprio un sound debitore dei grandi maestri del genere, ma rinvigorito da una costante ricerca melodica, arricchita e contornata dalle giuste asprezze e da testi evocativi nella loro semplicità. Si vorrebbe che il disco continuasse ancora (cosa rara al giorno d’oggi) con brani dalle sfaccettature inedite.
Insomma, The Persistence è un altro tassello notevole della magnifica discografia dei Kingcrow. Unico difetto un’eccessiva somiglianza tra i pezzi (spiccano l’opener ed “Everythig goes”, il resto è ottima musica, però meno memorabile) e l’artwork spiazzante, molto meglio quello del 2013 di In Crescendo.

 

Roberto Gelmi (sc. Rhadamanthys)

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