Recensione: The Plague Of Truth

Di Pasquale Ninni e Leonardo Ascatigno - 11 Gennaio 2022 - 22:45
The Plague of Truth
Etichetta: Autoprodotto
Genere: Death  Thrash 
Anno: 2021
Nazione:
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78

Molti generi musicali sono longevi, ma non per questo incapaci di particolarismi o di prestarsi a delle nuove interpretazioni che magari, anche lateralmente, riescono ad allungare il genere stesso arrivando a tracciare dei nuovi percorsi caratterizzati da soddisfazioni e nuovi momenti intensi da vivere e apprezzare. Generi che vantano strane e affascinanti e mai indagate vite parallele, generate e create all’ombra dei giganti del genere, ma che conservano, immancabilmente, qualche proibito oggetto del desiderio voluto, talvolta tacitamente, anche dai nomi più acclamati. Oggetti del desiderio che danno vita a nuove e fortunate strisce di prodezze e bellezze che vanno a colmare quelle lacune che ogni genere musicale, a livello trasversale, ha conosciuto, conosce e conoscerà.

Nell’ambito del Thrash e del Death Metal una menzione particolare, tra coloro che danno dignità a un genere e che rispondono alla trattazione esposta nell’incipit, la meritano gli Endarken con la loro ultima fatica musicale intitolata ‘The Plague Of Truth’.

Con questo album ci troviamo al cospetto di un lavoro che, pur non brillando di totale eccezionalità, risulta piacevolissimo da ascoltare e in grado di farsi apprezzare sin dal primo ascolto oscillando in maniera originale tra il Thrash e il Death Metal. Il merito degli Endarken sta nell’aver reso più moderno qualcosa di già sentito, tipo i The Defaced, e di aver composto dei brani, nonostante qualche passaggio complesso, di immediata ricezione. Inoltre fanno abilmente lo slalom tra i paletti fissati da altre band quali Soilwork e At The Gates, ma esulando da un mero principio di imitazione.

La bellezza di ‘The Plague Of Truth’ è anticipata dalla bellissima cover, a firma del surrealista Jeff Christensen, che potrebbe tranquillamente vivere di luce propria rappresentando un’opera d’arte a sé stante.

Ascoltano sin dall’inizio il disco ci si rende subito conto, come già accennato, che l’opener ‘Prophets Of Apathy’ è decisamente in pieno stile At The Gates; brano di grande impatto e che rappresenta decisamente un bel biglietto da visita. La produzione si preannuncia secca e senza fronzoli, il che rende gli strumenti poco riverberati, ma decisamente ben equilibrati e definiti.

Il lavoro svolto da Tue Madsen (produttore danese di Meshuggah, Hatesphere, Rob Halford e molti altri), dietro al banco del suo studio di Antfarm, risulta essere certosino e di grande valore. La voce e i cori sono in primo piano, sia nel cantato simil black che a in quello presente nei break hardcore.

Il mondo musicale degli Endarken è interessante e piacevolissimo, cattivo nei riff, ma senza dubbio alleggerito dai chorus con le clean vocals, come per esempio in ‘Da Stargo Tora’. Quest’ultima contiene una sezione strumentale centrale invidiabile per bellezza e stile. Dennis Buhl alla batteria è preciso e sostiene il lavoro maligno dei due axe man in modo impeccabile. Una nota di merito va sicuramente a questi ultimi, ovvero a Anders Høeg e a Henrik Rangstrup, due chitarristi che curano molto l’aspetto melodico delle parti soliste e che non risultano invadenti nei lavori ritmici, facendo uscire dal loro cilindro magico sempre delle belle idee e ben realizzate.

Così tornano alla mente in molti passaggi i già citati Soilwork e per tutto il platter si respira aria Old-Swedish (e questo è un bene).

Reign Of Disgrace’ è trascinante, difficilmente si può restare immobili all’ascolto di questo brano. Come anticipato c’è anche del Thrash Old School in questo ‘The Plague Of Truth’ e il brano ‘Insurmountable’ lo conferma soprattutto nell’intro. Qui si può apprezzare un altro break strumentale di alto livello, un chorus struggente e sofferto che mette in risalto le doti vocali di Tim Nederveen, frontman che si rivelerà azzeccatissimo per questo wall of sound tecnico e spaccaossa.

Il disco si lascia ascoltare piacevolmente, le singole tracce convivono e si fondono perfettamente tra loro e allo stesso tempo brillano di luce propria. Così si giunge a ‘The Pledge’, brano che ha la particolarità di rappresentare la quintessenza del sound della band: un sound granitico e compatto, ma che non disegna affatto la melodia, sempre un’ospite di riguardo su questo ‘The Plague of Truth’, mai scontata o banale. Ha un’introduzione devastante, trascinante e potente; la cattiveria è sempre dietro l’angolo e il riffing si stampa nella mente come non mai. Il chorus lascia spazio alle polifonie di chitarra (sempre di gusto) e conferma quanto detto fino a questo momento, ovvero che siamo davanti a un disco, seppur non innovativo, davvero ben riuscito e che ha molto da dire.

Il finale con ‘Dead Swan Ballet’ è la ciliegina sulla torta, il riffing secco lasciato lì da solo è un tocco di classe così come le suddette polifonie chitarristiche, il potenziometro del volume dello stereo esigerà che lo facciate ruotare al massimo della sua corsa.

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