Recensione: The Return of the Black

Di Daniele D'Adamo - 29 Giugno 2025 - 7:00
The Return of the Black
Band: Imminence
Etichetta: Autoprodotto
Genere: Metalcore 
Anno: 2025
Nazione:
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90

The Black“, quinto full-length in carriera degli Imminence, è uscito alla fine dell’anno scorso. Dopo pochi mesi, inframezzati dalla pubblicazione di “The Reclamation of I” (cioè la ri-registrazione del debut-album “I”, del 2014), è la volta della versione deluxe, intitolata “The Return of the Black“. Che, occorre evidenziarlo subito, non si tratta di una mera operazione per recuperare un po’ di soldi.

The Return of the Black“, difatti, è composto da sette brani originali, da due nuovi, da cinque ri-registrazioni (ciascuna con un ospite diverso), da tre remix e da una strumentale, anch’essa nuova di zecca. In sostanza, una propaggine di “The Black” che consente di effettuare una disamina anche di quest’ultimo, rinnovato come se or ora fosse stato dato alle stampe.

Gli Imminence, fedeli al proprio stile che vede lo sviluppo di uno straordinario metalcore melodico unitamente all’accompagnamento sinfonico e, soprattutto, all’uso del violino da parte del frontman Eddie Berg, ormai celebre nell’ambiente in virtù, proprio, di questa… anomalia strumentistica. Con ciò, tutto farebbe pensare che la band svedese abbia un sound morbido e delicato. No. Al contrario, essa è in grado di erogare una quantità di watt spaventosi. Suono duro, a volte addirittura brutale quando si scatena la furia dei blast-beats (“Heaven Shall Burn“), sostenuto da un’energia pazzesca che esce dal cuore e dalle anime dei musicisti, soprattutto per ciò che riguarda l’eccezionale prestazione vocale di Berg.

Certo, sia la coppia di chitarristi, sia basso e batteria svolgono alla perfezione il compito a essi affidato ma qui si tratta di qualcosa di più. Si può parlare di vigore spirituale, di intensità emotiva. Un flusso invisibile, cioè, che trapassa ogni membro della band sì da renderla come una specie di entità tangibile solo come espressione di forma d’onda percepibile dall’orecchio umano. Sentimenti pieni, robusti, declinanti spesso e volentieri nella malinconia se non nella tristezza (“Desolation“), che sgorgano incessantemente dal disco per avvolgere chi ascolta e trasportarlo in qualche Universo in cui si muove questa incredibile astronave intergalattica chiamata Imminence.

E a proposito di vigore, come non menzionare i terrificanti breakdown che spezzano le ossa della schiena assieme alla linearità delle canzoni? La possanza del sound, allora, assume dei valori così elevati tali da rendere, se possibile, sempre più netta l’antitesi fra dissonante aggressività e soave melodiosità (“Continuum“). Nella miriade di act che praticano questo genere, ma anche il deathcore, non è facile trovare qualcuno che sappia dosare così magistralmente la ridetta antitesi. Gli Imminence, oltre a riuscirci, a parere di chi scrive devono assolutamente essere presi a mò di esempio per stampare, su acciaio, i dettami del metalcore melodico.

The Return of the Black” è talmente pieno di musica che all’inizio del percorso di assimilazione può risultare indigesto. Lasciando andare la mente e ripetendo gli ascolti, l’opera assume i caratteri del capolavoro. E questo poiché, per prima cosa, il combo di Trelleborg ha raggiunto una maturità stilistica talmente perfetta da risultare unica al Mondo. Il che, inevitabilmente, lo porta a inventare canzoni leggendarie grazie a un talento compositivo stellare. Canzoni dall’incedere abbastanza lineare ma ricche di tratti codificati dalla mente del songwriter per progettare una forma-canzone irreprensibile nei suoi stacchi fra un segmento e l’altro, sempre nell’obiettivo del raggiungimento della personalità più penetrante possibile.

Canzoni leggendarie, s’è detto. Come definire altrimenti, sennò, giusto per tirare fuori dal cilindro un brano a caso, l’indescrivibile furia eppoi musicalità di “Come What May“, in cui compare la voce pulita di Tim Charles dei Ne Obliviscaris? Qui l’asticella è posta molto molto molto in alto, irraggiungibile dai comuni mortali, quasi fosse una composizione prodotta da civiltà aliene. L’armonia è talmente penetrante e paradisiaca che induce a lacrimare gocce che scorrono amare sulle guance, quasi a testimoniare in maniera decisa il mood melanconico dell’intero LP. Oltre alla già menzionata “Desolation“, voce e pianoforte aprono un altro capolavoro, intitolato “The Black“. Orlati da terremotanti stop’n’go, scivolano le eccelse note che costruiscono il magistrale ritornello, con un coro finale da brividi caldi, in cui si diviene inevitabilmente preda della trance da sindrome di Stendhal.

The Return of the Black” o “The Black” che dir si voglia, è un’Opera Maestra che ridefinisce il concetto di melodic metalcore, accompagnandolo verso orizzonti oltre i quali si nascondono favolose ed eroiche armonie, che solo gli Imminence riescono a scorgere e a far proprie negli anni a venire là, dove nascono i sogni.

Strepitoso. Imperdibile.

Daniele “dani66” D’Adamo

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