Recensione: The Ride Majestic

Di Gianluca Fontanesi - 24 Settembre 2015 - 0:08
The Ride Majestic
Band: Soilwork
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2015
Nazione:
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81

C’era bisogno di un altro disco dei Soilwork? Onestamente no! Il magnifico The Living Infinite, che aveva eccellenti anche gli scarti posti nell’Ep Beyond The Infinite, non aveva ancora finito di dire e di dare. Si può tranquillamente considerarlo come l’opus magnum dei Soilwork (primi dischi esclusi) senza pericolo di errore. Quale sorpresa, e quale terrore quindi, nell’apprendere che The Ride Majestic sarebbe stato dato alle stampe dopo appena 2 anni scarsi di silenzio discografico! Il percorso dei Soilwork in questi lustri è stato particolare: dimenticato lo swedish puro degli esordi, l’evoluzione della band, tra alti e bassi ha continuato a progredire per assestarsi con The Living Infinite nel momento in cui nessuno se lo sarebbe mai aspettato. Contrariamente a ciò che si sarebbe potuto pensare, la fuoriuscita di Peter Wickers fu un vero e proprio toccasana in grado di fare ottenere all’act svedese la miglior formazione di sempre. Ogni band in genere ha un membro che spicca, migliore degli altri o che comunque è in grado di distinguersi; nei Soilwork possiedono queste caratteristiche tutti i membri della band. La sezione ritmica di Ola e Dirk è il sogno di ogni chitarrista estremo: varia, intensa, veloce, progressiva, fantasiosa e potremmo andare avanti ore a forza di aggettivi; la coppia di chitarre composta da Sylvain e David sta sfoggiando partiture raffinate, mai banali, mai cliché e in grado di dare nuova vita a un genere stantio quanto inflazionato come il melodic death. Le tastiere di Sven fanno il loro lavoro di accompagnamento non essendo mai invadenti ma rivelandosi un ottimo valore aggiunto, e il signor Speed al microfono è il ciliegione da guinness sulla torta. Ogni anno migliora sempre di più e ad ogni prova in studio trova sempre la maniera di stupire ancora, rivelandosi un cantante tra i migliori sulla piazza; convince in growl, in clean e in qualsiasi altra cosa metta la sua ugola di cui ha finalmente totale padronanza. I Soilwork sono una band che ha fatto un percorso ben preciso, che non è nata imparata e che si è costruita il suo successo passo dopo passo e mattone dopo mattone; The Ride Majestic conferma tutto ciò, prosegue le coordinate stilistiche dell’opera precedente e, signore e signori, è contro ogni aspettativa un altro grandissimo disco!

 

La partenza è subito affidata alla title track che, contrariamente a quel missile terra aria che iniziava The Living Infinite, si rivela un riuscitissimo mid tempo. Era anche stato proposto come anteprima dell’album; niente di nuovo sotto il sole quindi, l’album le cartucce migliori le spara più avanti. Alight In The Aftermath parte in maniera piuttosto violenta e ha una partitura di batteria da denuncia; il buon Dirk qui si supera risultando veramente spettacolare. Il brano è imprevedibile, sale e scende d’intensità a piacimento ed è molto vario: passa dalla violenza più inaudita a momenti più riflessivi e melodici con una facilità disarmante. Decisamente una prova maiuscola, che la seguente Death In General mette ancora più in risalto con un incipit di altissimo livello. Anche in The Ride Majestic sono presenti parecchi momenti di puro prog che, come nel suo predecessore, portano le composizioni a un livello molto superiore alla media nel genere. La traccia si districa tra una strofa quasi da ballad e un ritornello riuscitissimo in maniera magistrale, contornando il tutto con bridge di altissima qualità. Enemies In Fidelity inizia apparentemente abbassando il tiro, rivelandosi invece un pezzo piuttosto violento;  molto bello il ritornello accompagnato dal blast beat di Dirk e il finale zuccheroso sempre con la batteria sugli scudi è un bijou. Petrichor By Sulphur ha un tiro che live farà sicuramente sfracelli e risulta uno dei brani migliori del disco: tecnicamente ineccepibile con partiture di chitarra impegnative e ariose e un ritornello da cantare a squarciagola riuscito egregiamente. Quando poi tutto sembra essere stato detto spunta un ponte in clean che mette un’ulteriore marcia in più assieme agli ottimi assoli. Chapeau. The Phantom riporta direttamente agli anni ’90 con partiture strettamente old school che a questo punto ci stanno; gli unici sprazzi di presente sono degli sporadici interventi delle clean vocals e un ponte progressivo decisamente fantastico. The Ride Majestic (Aspire Angelic) ha il riff iniziale che somiglia molto a quello di Tongue di The Living Infinite ma un mood totalmente diverso: alterna parti brutali ad altre strettamente hard rock come il ritornello e si rivela un brano riuscitissimo! Provare per credere! Whirl Of Pain la si può considerare come il primo lentaccio dell’album ma assolutamente non una ballad; le ritmiche rimangono sostenute e massicce e si accelera giusto qualche battuta. Non siamo a livelli stellari come i brani precedenti ma ci si difende bene e un discreto lo si porta a casa. All Along Echoing Paths accelera in maniera repentina e offre una strofa potentissima, un intermezzo in clean e un altro ritornello che è di facile ascolto ma non banale; l’altro highlight arriva però con la seguente Shining Lights, veloce oltre il limite consentito, ben concepita e accattivante al punto giusto. Chiude la tracklist ufficiale Father And Son, Watching The World Go Down: l’ennesimo ottimo brano che ormai non stupisce davvero più. Di certo ci si chiede durante tutta la tracklist come gli svedesi riescano ancora ad avere delle idee e averle così dannatamente buone, ma crediamo che il quesito rimarrà un piacevole mistero. L’edizione in digipack di The Ride Majestic offre anche 2 bonus tracks, Of Hollow Dreams e Ghosts And Thunder che non  sono di certo qualitativamente inferiori al palinsesto principale proposto, anzi, hanno purtroppo solo il difetto di esserne poste alla fine col rischio di allungare troppo il minutaggio e la fruizione del piatto centrale. Quisquilie in ogni caso.

 

Che dire? Se siete fan della band comprate pure a scatola chiusa, non rimarrete di certo delusi! Gli altri possono tranquillamente continuare ad evitare, se non amavano Soilwork prima non cambieranno sicuramente idea ora. The Ride Majestic ci consegna quindi una band in forma strepitosa, con una formazione stellare e pone i Soilwork come la miglior band di melodic death attualmente in circolazione. Anzi, le altre sono band melodic death; i Soilwork sono solo i Soilwork: unici, personali, riconoscibili tra migliaia e fuori portata a livello tecnico-compositivo per tantissimi act anche più blasonati. Complimenti.

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