Recensione: The Shadow Mirror
Attivi ormai da sei anni, gli Adamanter sono autori del classico power metal italico direttamente derivato dai portabandiera Rhapsody, tanto da presentarsi, alquanto presuntuosamente come “la migliore novità italiana dall’epoca dei Rhapsody”. Prima di discutere questa affermazione, vorrei scrollarmi subito del peso di definire il genere proposto dalla band: i sei si etichettano come autori di un “symphonic progressive metal”. Sinceramente di progressivo nella loro proposta ci vedo davvero poco, per essere generoso. Credo che troppo spesso si allarghi il concetto di prog. a soluzioni comuni a qualsiasi genere come cambi di tempo (per altro sporadici), o contaminazioni (nello specifico quasi impercettibili) provenienti da sottogeneri di quello che ci accomuna…
Mi sobbarco la responsabilità di dire che gli Adamanter suonano power metal “all’italiana”, nella maniera più classica cui si possa pensare, per cui si muovono su un terreno irrimediabilmente battuto, se vogliamo collaudato, risultando a volte stereotipati e, alla lunga, noiosi.
Tornando al paragone con i conterranei Rhapsody da loro stessi accennato in sede di presentazione, non posso negare che qualche elemento comune è evidente, non fosse altro che per la voce di Mario Mosca, timbricamente vicinissimo a Fabio Lione, ma lontano anni luce in fatto di tecnica: il mixaggio mette la sua voce in grande evidenza rispetto agli altri strumenti, e mostra delle stonature ricorrenti, qua e là mascherate da sovraincisioni e cori, ma indefendibili in parti di sola voce che richiederebbero un’impostazione più studiata, per esempio sulle note iniziali di molti brani, su tutti i primi due.
Sul patibolo, comunque, manderei per tutti l’indecente lavoro dietro il banco mixer, in grado di sminuire una sezione ritmica già abbastanza minimale, ma meritevole di qualche spunto interessante puntualmente adombrato dal suono. Come se non bastasse le chitarre ronzano e il loro volume è altalenante, ed addirittura scompaiono letteralmente in alcuni punti, improvvisamente ed inquietantemente, lasciando vuoti imbarazzanti, non colmati dai virtuosismi di Nicola Massimo, sempre penalizzati dalla produzione che fa di tutto per non rendergli onore.
Purtroppo anche dal punto di vista compositivo, come già accennato, non mi sento di sponsorizzare questo gruppo, il cui sound (difetti di registrazione a parte) non è mai brilla di luce propria, visto che la personalità non consiste certo mettendo un’intro o un’outro di pianoforte su ogni song…
Di interessante rimane l’abilità di creare qualche controcanto orecchiabile, che forse, con una produzione all’altezza, eleverebbe il livello qualitativo del songwriting di quel tanto che basta per lanciare gli Adamanter al pari dei concorrenti del genere…
Tracklist:
- MINSTREL OF PAIN:
- i. Immemory
- ii. Killing Ride
- iii. The Shadow Mirror
- iv. Theatre of Madness
- v. Darkness to the End
- Bloodstorm
- A Leaf in the Whirl
- Elisewin
- Dancing Through the Clouds
- Father
- The Dark and the Ocean