Recensione: The Underfall Yard

Di Giorgio Giusti - 3 Maggio 2021 - 12:11

Recensione a cura di Giorgio Giusti e Tiziano Panzera

 

Con l’occasione della ristampa del suddetto album ci addentriamo a carpire i segreti della sua magnificenza.

Dodici anni fa i Big Big Train realizzarono The Underfall Yard, proprio quando David Longdon si unì alla band come nuovo cantante e Nick D’Virgilio diventò il loro batterista. L’arrivo di David Longdon, dotato di carisma, presenza scenica e grandi qualità vocali, che presentano non poche affinità con quelle di Peter Gabriel, rivoluzionò completamente il gruppo portando il loro livello a ridosso delle migliori band progressive/rock in assoluto. Con il suo maestoso suono sinfonico, la complessa interazione strumentale (compreso l’uso di strumenti inusuali come flauto e ottoni), la sua integrità compositiva e la voce che mostra la sua ispirazione attraverso le sue influenze di retaggio saldamente britannico, The Underfall Yard si ritaglia uno spazio rilevante nel novero delle uscite che contano.

È altresì un disco caratterizzato da collaborazioni di prestigio – Dave Gregory (XTC), Francis Dunnery (It Bites) alla chitarra, Jem Godfrey (Frost*) alle tastiere – ed è ricchissima anche l’elaborazione degli arrangiamenti, con generose dosi di Mellotron e bei ricami orchestrali, inseriti con eleganza, senza esagerare con inutili farciture. Insieme ai suoi grandiosi assoli privi di autoindulgenza, pomposità o cliché, The Underfall Yard, nella sua apparente pacatezza, scorre energico e dinamico invitandoci a seguire il suo filo compositivo tutt’altro che scontato. I richiami ai Genesis di Peter Gabriel sono evidenti, anche se viene conservata una certa originalità di fondo che fa sì che i BBT non possano assolutamente essere considerati come gruppo derivativo.

The Underfall Yard, dicevamo, possiede ed esprime al meglio tutti gli ingredienti tipici del miglior progressive: grande inventiva nella creazione delle linee melodiche, riuscite parti solistiche nei momenti opportuni, perfette linee e intrecci vocali, arrangiamenti curati e complessi, ma comunque fruibili e non cervellotici. Per quanto riguarda la ristampa del 2021 occorre segnalare che si tratta della versione remixata dell’album originale con una rivisitazione audio per dare a TUY il trattamento sonoro che meritava ab ovo. È incluso inoltre un secondo disco contenente: “Songs From The Shoreline” (un lungo brano al cui interno è presente una versione ri-registrata di “Victorian Brickwork“), l’arrangiamento dal vivo del brano “Fat Billy Shouts Mine” (una canzone dallo stesso periodo di tempo che apparve nel successivo Far Skies Deep Time); infine la versione ri-registrata di “The Underfall Yard” (preceduta da un preludio che riflette alcuni dei temi musicali del brano epico), sino a chiudere con “Brew and Burgh”, una nuovissima canzone di Greg Spawton.

Ci piace ora soffermaci proprio sui brani dell’opera originale descrivendoli in un rapido track-by-track.

“Evening Star”
Il brano inizia con un coro “a cappella” e si sviluppa in una sezione strumentale caratterizzata da un raffinato arrangiamento. Particolarmente suggestivo è l’ingresso della sezione di ottoni a metà brano. Grande inizio che mette anche in evidenza l’ottima qualità tecnica della registrazione.

“Master James of St Georges”
Brano caratterizzato dalla splendida voce solista di David Longdon, spesso contrappuntata dai raffinati intrecci vocali degli altri membri della band e da potenti sezioni strumentali sostenute da profonde note di basso.

“Victorian Brickwork” 
Una delle massime vette di questo bellissimo album. Un brano di 13 minuti che, pur essendo complesso ed articolato, riesce ad essere anche fruibile e di presa immediata. Presenta una toccante linea melodica, ricorrente in più punti durante lo sviluppo del brano, e riuscite parti strumentali che non sfociano mai nell’inutile virtuosismo. La parte finale del brano è caratterizzata da un toccante assolo di tromba accompagnato da un bellissimo sottofondo di ottoni. Veramente un brano splendido.

“Last Train”
Ricorda il lato acustico dei Genesis di Peter Gabriel, combinato con la potente sezione ritmica assicurata dal bravissimo batterista Nick D’Virgilio e dal bassista Andy Poole che spesso si ispira allo stile e alle sonorità del “maestro” Chris Squire.

“Winchester Diver”
Comincia con una riuscita parte strumentale, dove spicca un bell’assolo di flauto suonato da David Longdon, che poi prende per mano lo sviluppo del brano con la sua toccante interpretazione vocale.

“The Underfall Yard”
Con la qualità di questi primi 5 pezzi, l’album potrebbe terminare qui e rappresenterebbe comunque un picco nella variegata scena progressive. Ma i BBT ci riservano ancora una perla, un’epica suite da 23 minuti, nonché title-track dell’album. In questo brano il gruppo ci accompagna in un magico percorso, dove le singole parti fluiscono magnificamente e catturano continuamente la nostra attenzione e immaginazione. È difficile, con un brano così lungo, non annoiare e mantenere sempre vivo l’interesse dell’ascoltatore. I BBT ci riescono in pieno, suggellando con questa splendida suite un album da annoverare fra le massime espressioni del progressive.

 

In conclusione The Underfall Yard è una gemma che brilla di luce propria tra le sue mille influenze coese ad arte, scorre senza pause, senza intoppi, senza esitazioni… e anche in questa nuova versione ci regala la sua melodia avvolgente, decisa e magnificamente progressive.

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Anno: 2019
80