Recensione: The Undrunken Curse
Secondo album per i capitolini Blodiga Skald, band nata da una manciata di anni e dedita ad un folk metal godereccio e casinista che tanto ricorda gruppi come i primi Finntroll, i Trollfest e tutta una serie di compagini localizzate perlopiù nell’area est-europea. Sebbene non mastichi più questo tipo di folk metal come facevo anni fa, essendomi ormai venuto abbastanza a noia, devo dire però che ho apprezzato molto questo “The Undrunken Curse” – figlio di un concept dal gusto fantasy che è tutto un programma – per via di una resa molto più eterogenea e matura rispetto al precedente album degli scavezzacollo romani, che infarciscono la loro materia prima con profumi decisamente variegati, donandole carattere senza snaturarla, e anzi confermando ciò che di buono traspariva dal suo immediato predecessore. Ecco quindi che, alle classiche tracce di folk metal goliardico in cui si mescolano death melodico, ritmi saltellanti, melodie danzerecce e vocioni cupi, fanno da contraltare brani più narrativi, articolati, in cui si insinua un certo afflato epico ed altri più compassati, distesi, che cedono il passo a profumi di volta in volta pirateschi o esotici; non mancano infine gradevoli intermezzi strumentali e motivi antichi come il Tourdion (ripreso praticamente da chiunque, dai Rhapsody a Ritchie Blackmore), in un continuo botta e risposta tra il serio e il faceto che, lungi dal creare confusione nell’ascoltatore o denotare scarsa personalità, tratteggia invece i diversi aspetti di una proposta musicale intrigante e scorrevole che sa bene dove vuole arrivare ma non per questo vuole arrivarci subito. C’è perfino, in chiusura, una traccia che riprende alcune melodie dell’album in una versione techno–folk al tempo stesso cafonissima e incredibilmente godibile, splendida per concludere con una bella frustata di auto ironia un album assolutamente divertente, solido e sempre sul pezzo. Ottimo lavoro.