Recensione: The Wheel

Di Marco Catarzi - 28 Settembre 2020 - 18:11
The Wheel
Band: Slægt
Etichetta: Van Records
Genere: Black  Heavy 
Anno: 2018
Nazione:
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74

Il tempo è galantuomo, e lo è anche per i Mercyful Fate. Sebbene non ne sia stata mai messa in dubbio la fondamentale importanza, negli ultimi anni si sta notando un ritorno di interesse per il gruppo danese, vuoi per l’annunciata reunion e per il prossimo tour rimandato a tempi migliori, vuoi per le meritorie ristampe dei primi album da parte di Metal Blade e per la speranza di un nuovo full-length. Si era comunque già notata una certa influenza di King Diamond e soci nel sound di band più giovani che hanno elaborato la lezione in maniera più diretta (Attic e Them) e fedele a territori classic metal (Portrait e Trial), oppure l’hanno traghettata in ambiti più estremi, come nel caso degli ultimi Vampire.

Sebbene la Danimarca in fatto di metal estremo abbia sempre vissuto un po’ all’ombra degli altri paesi scandinavi, stupisce non aver assistito proprio in patria a una rinascita delle sonorità più sulfuree. Una prima eccezione appare con gli Slægt, che a dispetto della giovanissima età, e dopo un esordio su binari black metal con Ildsvanger (2015), hanno proseguito la loro discografia, l’EP Beautiful and Damned (2015) e Domus Mysterium (2017), inserendo nel sound massicce dosi classic metal di ispirazione Mercyful Fate (ma non solo).

Arrivati al terzo album con The Wheel, per la raffinata Ván Records, e dietro un elegante packaging (tipico della label tedesca) pieno di simbologie, mostrano una capacità compositiva che colpisce per maturità. Non siamo su territori sperimentali, né alla ricerca di facili riscontri di mercato, le sonorità hanno radici lontane nel tempo, e già l’opener Being Born (Is Going Blind), seppur con riff di puro black melodico, mostra il forte legame con certo metal europeo (inglese per essere più precisi) dei primissimi anni Ottanta, accompagnato da uno screaming mai troppo esasperato e da un ottimo lavoro di batteria. C’è grande attenzione nella costruzione di ogni canzone, con intermezzi arpeggiati ed evocativi, melodie portanti che non nascondono le influenze NWOBHM e dei Maiden più oscuri, spingendosi anche verso il rock anni Settanta, fino ad arrivare ai padri Led Zeppelin (passione che sembra coinvolgere i nostri a livello di immaginario e di look), senza abbandonare completamente i retaggi black metal. I riff non sono mai troppo distorti, supportati da una sezione ritmica molto efficace, e in pezzi come Perfume and Steel e l’ipnotica title-track si sente l’eco dei migliori Angel Witch. Altrove emerge qualche concessione al melodic death di marca Dark Tranquillity, sempre però con una profonda anima occult rock (Citrinitas), per arrivare poi all’evocativa V.W.A, tra velocità e armonie luciferine, a ricreare le oscure atmosfere di un sabba.

C’è insieme tanta ricerca e tanta spontaneità nella proposta degli Slægt, e lo si capisce dalle esibizioni live, in cui i quattro danesi, pur proponendo sonorità completamente diverse, suonano con l’“urgenza” dei primi Metallica e dei primi Entombed.

Sebbene non privo di alcuni cali di tensione e con una produzione a tratti morbida, questo The Wheel mostra una band da cui aspettarsi ulteriori passi in avanti. Data la giovane età il rischio è quello di scivolare in una certa via dark romantica cara agli ultimi Tribulation, o di accentuare troppo le influenze rock (o addirittura post-rock) perdendosi in un mare ultimamente troppo frequentato. Ci auguriamo invece che possano mantenere e aumentare l’approccio heavy, quello che finora li ha resi così interessanti e spontanei.

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