Recensione: The Work

Di Daniele D'Adamo - 4 Ottobre 2021 - 0:00
The Work
Etichetta: Metal Blade Records
Genere: Death 
Anno: 2021
Nazione:
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85

Regolari nella produzione discografica, tornano i Rivers Of Nihil con il quarto album in carriera, “The Work”. Subito un inciso per essere chiari: definire death metal il loro stile non ha ormai più senso, data l’estrema progressione verso un genere indefinibile, che abbraccia la musica in toto. Ciò che si era constatato in “Where Owls Know My Name” (2018), cioè, è andato avanti con un andamento quasi esponenziale, trasformando “The Work” in un’opera a tutto tondo, abbracciante con forza parecchie fogge musicali, fra le quali alcune che nulla hanno a che fare con il metal.

Certo, la natura primigenia si fa ancora sentire, come accade in ‘Dreaming Black Clockwork’ e ‘More?’, per esempio, violentissimi attacchi frontali che mostrano la consistenza di una band che, se volesse, potrebbe fare male, molto male. Ma non è questo ciò che essa ha in mente. L’idea è difatti quella di variegare quanto più possibile una pietanza che altrimenti prenderebbe il nome trito e ritrito di technical death metal. No. Occorre mettere da parte classificazioni varie poiché il disco, in ordine a questo aspetto, è totalmente spiazzante. Raramente, nell’ambito del metal estremo, si è avuta una trasformazione simile. Anzi, probabilmente i Nostri sono fra i primi a trasformare la propria natura in maniera così pesante, massiccia. Una natura che si può assimilare a un caleidoscopio dai mille riflessi, senza che ce ne sia uno predominante. Una natura che si esprime in totale libertà di azione, senza che ci siano paletti cui ancorarsi, senza che ci sia un percorso ben definito; libera di scatenarsi nello spazio come meglio le aggradi.

È chiaro che, per supportare questo approccio… anarchico, sia necessaria una grande preparazione tecnica e anche una spiccata abilità nel songwriting. Ma, soprattutto, un talento speciale che faccia sì che, comunque, il tutto sia tenuto assieme in un sound preciso nel rispettare i dettami stilisti del concetto espresso in fase di composizione. Sennò, al contrario, si cade nel rischio di mettere assieme canzoni che nulla hanno a che fare le une rispetto alle altre. O incongrue se prese singolarmente. Rischio che il quintetto statunitense evita accuratamente in virtù di una bravura tale da far rientrare la spaventosa mole di note in un unico contenitore i cui margini sono ben definiti. Insomma, tantissima musica, che qualcuno potrebbe pensare come esagerata, tantissimi riflessi ma uno stile unico: quello dei Rivers Of Nihil.

Per queste caratteristiche, “The Work”, per essere prima compreso e poi assimilato, necessita di una pazienza giobbiana. I primi ascolti sono assai complicati, poiché ci si perde nella (quasi) infinita marea che rende lo spartito musicale denso come una stella sui generis; spartito di cui non si riesce a intravedere la fine giacché supportante oltre un’ora di musica. Poi, a poco a poco, si riesce a entrare nella mente di Jake Dieffenbach e compagni, per godere appieno di brani semplicemente rock come ‘Wait’, per dirne uno. Estremamente stridenti rispetto a quelli già citati. Ed è proprio Dieffenbach, assieme al bassista Adam Biggs che, con la loro duttilità vocale, dirigono la musica come dei direttori di orchestra, abbracciando praticamente tutti gli stili vocali del metal: clean, harsh e growling s’intrecciano continuamente per non fornire un punto di riferimento e, quindi, consentendo di spaziare senza remore in un ambiente, come più su osservato, scevro da dimensioni cartesiane.

Tornando al songwriting, esso, esattamente come lo stile, si può vedere come un essere senziente, dotato di una moltitudine di tentacoli che, uno per l’altro, sono metafora di massima varietà possibile. Situazione che ovviamente si riflette nei singoli brani, assolutamente diversi gli uni dagli altri. Un po’ come se “The Work” fosse un puzzle i cui pezzetti siano identificabili nelle undici song che compongono l’LP. Un rompicapo, si ribadisce per invogliare a non mollare la presa, che alla fine ha un suo perché, una sua motivazione: quella di regalare a chi ascolta la possibilità di gioire per un’opera che praticamente non ha mai fine. La cui longevità, per meglio dire, non ha limiti apparenti. In mezzo a questa titanico lavoro compare più volte la melodia, che non è né easy listening, né troppo orecchiabile ma che, a lungo andare, si insinua nel cervello per andare a incastrarsi fra i neuroni (il sax di ‘The Void from Which No Sound Escapes’ e i meravigliosi disegni della chitarra solista…). Ecco che, allora, tutto diventa più semplice, più immediato, più naturale, più lineare. Quasi fosse una specie di miracolo. Non ci sono hit, manca il brano che fori l’etere ma non è questo ciò che vogliono i Rivers Of Nihil. Ciò che vogliono, invece, è lasciare un segno profondo nella Storia del metallo oltranzista. In questo, a parere di chi scrive, con “The Work”, ci sono riusciti.

Da armarsi di una buona dose di sana pazienza per non perderlo. Questo è il segreto, nemmeno così originale, per vivere l’esperienza di qualcosa di davvero eccezionale.

Daniele “dani66” D’Adamo

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