Recensione: Thrashing
Quando si dice la rapidità.
Formatisi l’anno scorso, gli svedesi Tuck From Hell mettono immediatamente sotto scacco la teutonica Metalville Records e, quindi, danno alle stampe il loro primo album a tempo di record: “Thrashing”, uscito a fine 2010.
Il full-length ha una copertina colorata, in stile fumetto. Fatto, questo, abbastanza comune oggi fra le nuove leve (Austrian Death Machine, Bonded By Blood, The Propecy23), ma del tutto inconsueto quando, nei primi anni ottanta, il thrash faceva capolino fra heavy e hard rock con i primi vinili dalle cover livide se non blasfeme. Ciò palesa, a parere di chi vi scrive, una certa autoironia che male non fa; attitudine impensabile se si pensa a gente come Slayer, Testament o Sodom. Quest’approccio goliardico, connotato da temi più leggeri del solito, non inficia nel modo più assoluto la serietà musica che, al contrario, è di una pesantezza tale da sfiancare le reni anche a un elefante.
Il thrash sciorinato dal quintetto nordeuropeo è di una durezza quasi disarmante: le chitarre hanno un suono dalla compressione perfino esagerata, con conseguente estremizzazione della tecnica del palm-muting. La pressione generata dagli accordi delle sei corde è enorme: rombi di tuono e motoseghe al massimo dei giri. Assieme!
Questo fa sì che la base del sound sia così spessa e compatta da essere, oggi, l’evoluzione più spinta del rhythm-guitarwork, caposaldo inamovibile per le dieci canzoni del platter. Se poi aggiungiamo a ciò il basso metallico di Tomas Sonesson, che avvolge come una corda d’acciaio i micidiali riff macinati da Petrus Granar e Marcus Bengts, il risultato sonoro si più descrivere come una specie di «Exodus all’ennesima potenza». Frase che, nemmeno troppo velatamente, nasconde un punto debole di “Thrashing”: la derivazione dai lavori degli Exodus, appunto, e dei Testament. Questi ultimi, soprattutto, ben presenti nelle linee vocali di Niklas Ingels che, come purtroppo fanno tanti suoi colleghi, non riesce ad allontanarsi dall’irripetibile modo di cantare di Chuck Billy. Come da legislazione in materia, inoltre, non rimane che menzionare il drumming di Fredrik Johansson, perfettamente in linea con quello – per l’appunto – previsto dall’«Antologia del thrash». Si va quindi dai mid-tempo agli up-tempo senza mai sconfinare nella follìa dei blast beats, non osando discostarsi da un sempiterno quattro/quarti.
Niente da ridire in merito, comunque: il sound dei ragazzi della Dalarnas län è quanto di più moderno ci sia in ambito thrash. E di questo bisogna darne atto sia agli stessi musicisti, preparati e professionali, sia alla produzione, equilibrata e senza zone d’ombra. Sound perfetto per il genere. Anzi, talmente perfetto da essere impersonale. Sì, la continuità stilistica c’è, e questo è già un buon traguardo raggiunto. Quel che più importa, e cioè il raggiungimento di un timbro sonoro riconoscibile con facilità, non avviene. I Tuck From Hell, in parole povere, sono una band da prendere come esempio per la tecnica, ma da lasciar correre per quanto riguarda l’arte.
Certo, i riff da capovolgere anche il più statico dei thrasher non mancano: “King Of Thrash”, “I, Hellbilly”, “Tuckerz”, “Italian Stallion” (casualmente la migliore del lotto, con il suo irresistibile riff portante), “Headbanger” sono rette da un rifferama spaventoso per azione e dinamicità, capace di radere al suolo qualunque cosa e di far battere il piede di chi ascolta a terra sino a formare una buca. Non mancano neppure i cori urlati tipici dello stile, come in “Barbecue Beast” e “Death Before Disco”.
Sono discrete canzoni, sì; lontane anni luce, però, da capolavori come “Disciples Of The Watch” (Testament) oppure “Piranha” (Exodus), per fare due esempi a caso. L’insieme dei brani si regge in piedi con relativa scioltezza, poiché non c’è nemmeno un secondo di stacco fra un accordo e l’altro. Manca, però, quel «qualcosa in più» tale da fissare bene e per sempre “Thrashing” negli annali del thrash.
Se il disco non entrerà nella Storia del genere suddetto, potrà comunque entrare nelle case di chi ama questo genere. Il lavoro è ben fatto in ogni sua parte, e i Tuck From Hell hanno energia da vendere. Il CD passa con piacere – anche più volte – nel lettore, soprattutto se si tiene alto il livello del volume.
Qualcosa d’interessante si trova, fra i pezzi. Poca roba, però; per di più dispersa in un turbolento mare di note. Troppo poco per chi, invece, esige da un gruppo, oltre alla professionalità, anche un’elevata qualità artistica.
In ultimo, non bisogna dimenticare che è passato solo un anno dal primo incrocio degli strumenti di Granar & Co. Toricamente, giacché “Thrashing” è comunque un punto di partenza più che sufficiente, si dovrebbe solo migliorare. Situazione da tenere sotto controllo, quindi.
Daniele “dani66” D’Adamo
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Track-list:
1. Barbecue Beast 2:36
2. Death Before Disco 4:00
3. Tuckerz 3:16
4. Italian Stallion 4:32
5. I’m Rollin’ 3:11
6. I, Hellbilly 3:31
7. King Of Thrash 2:56
8. Idol Of Gold 3:29
9. Headbanger 2:44
10. Tequila Race 2:25
All tracks 33 min. ca.
Line-up:
Niklas Ingels – Vocals
Petrus Granar – Guitar
Marcus Bengts – Guitar
Tomas Sonesson – Bass
Fredrik Johansson – Drums