Recensione: Time Elevation

Di Fabio Vellata - 28 Dicembre 2009 - 0:00
Time Elevation
Band: Grand Design
Etichetta:
Genere:
Anno: 2009
Nazione:
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75

Derivativo è termine addirittura limitato per descrivere la proposta degli svedesi Grand Design, un gruppo di musicisti che, come colpito in pieno volto da uno scatolone contenente l’opera omnia di Joe Elliot e dei Def Leppard, ha deciso, dopo il pesante shock causato dall’immane botta, di ricalcarne in modo rigoroso e fedelissimo – quasi ai limiti del plagio – ogni minima sfaccettatura sonora.
Con particolare riguardo naturalmente, per il periodo migliore della band di Sheffield, quello, manco a dirlo, che da “Pyromania” è arrivato sino ad “Adrenalize”, passando per il divino “Hysteria”.

La caricatura è, come ovvio, forzata ed artefatta, ma è funzionale per rendere l’idea di quanto i cinque scandinavi siano alla costante e spasmodica ricerca del suono perfetto che vada a sovrapporsi in maniera definitiva a quello del celebre Leopardo Sordo.
Tutto, produzione, giri di chitarra, accordi di basso, cori a più voci, impostazione vocale, persino i colpi di batteria ed i celebri ritmi di Rick Allen, sono ripresi con carta copiativa e riproposti su brani che, talvolta, paiono addirittura scimmiottare alcune hit estrapolate da “Pyromania” ed “Hysteria”.
Un’operazione “nostalgia” che indubbiamente, solleva qualche legittima critica sulla sua opportunità, ma che, diciamolo senza timori, alla fine sortisce effetti inattesi.

In più di un caso in effetti, il songwriting sfora il semplice e puro “omaggio”, per arrivare ai confini dell’esagerazione. Per citare un esempio concreto, sarà sufficiente prendere in esame la sesta traccia di “Time Elevation”, intitolata “No Time For Love”. Impossibile, per chi abbia avuto qualche frequentazione con i Leppard, non riconoscere immediatamente l’inconfondibile attacco di “Gods Of War”, riproposto in modo tanto fedele da lasciar quasi presagire una sorta di coverizzazione della nota opener del lato B di “Hysteria”.
Salvo poi, cambiare repentinamente e virare non certo su di un’elaborazione personale del pezzo, bensì collegarsi ad un altro noto classico di Elliot e soci, ovvero la grandiosa “Rock Of Ages” tratta dal monumentale “Pyromania”.

Che dire poi della tambureggiante “Let’s Go Down Fighting”? I fulminanti assalti chitarristici sono un tuffo al cuore per i vecchi aficionados dei Leps: i volti sul retro copertina sono quelli di alcuni virgulti nordici, ma il sospetto che in realtà Phil Collen e Vivian Campbell (o sarebbe forse meglio citare Steve “Steamin’” Clark, pace all’anima sua) siano i responsabili degli accordi rubati a “Run Riot” presenti in questo lapillo di rock ottantiano, è davvero palpabile e ben difficile da allontanare.
Se poi non è ancora sufficiente, il famosissimo “trun ta-ta-ta-ta, trun ta-ta-ta-ta, trun ta-ta-ta-ta” – trademark inconfondibile della batteria a pedali di Rick Allen – è pronto a fugare ogni incertezza sul fatto che in realtà questi siano i Def Leppard sotto mentite spoglie nella successiva “Sheik Iddup”, un altro esempio di hard rock che, al di la di quanto si possa sostenere in merito alla genuinità delle strofe di cui è costituito, finisce per sorprenderci con un sorriso ed un certo senso di gratitudine per averci fatto riscoprire almeno un paio di sensazioni che credevamo smarrite nel lontano 1987.

Difficile insomma, fornire una valutazione obiettiva di un disco come “Time Elevation”, specie se si è grandissimi ed appassionati estimatori dei Leppard.
Da un lato, un minimo di stizza per la lesa maestà perpetrata da un cd che può apparire come un clone illegittimo è lecita. Ma d’altro canto, è davvero complicato, di tanto in tanto, non lasciarsi travolgere dal mare dei ricordi, permettendo a pezzi come “Air It Out”, “Piece Of The Action” (addirittura il titolo!) ed “Hello Mr. Heartache”, di rapire l’ascoltatore verso atmosfere che, come per magia, portano alla mente i colori ed il feeling di un trio d’album che, per una generazione di amanti dell’hard rock, ha rappresentato davvero molto.

Qualcuno ha definito quest’opera prima dei Grand Design, come l’ellepì che i Def Leppard non vogliono o non riescono più a realizzare da almeno tre lustri a questa parte.
Non esageriamo, le doti compositive dei cinque britannici erano, in epoca d’oro, qualcosa di irraggiungibile e sovrannaturale. Anni luce dai pur volonterosi svedesi.
La sostanza conclusiva ad ogni modo, ci porta in dote un disco forse spiazzante al primo impatto, ma comunque molto piacevole.
Un album che scorre amabilmente pur se infarcito di una serie infinita di deja vu, capace di conquistare proprio grazie ai meravigliosi flashback che evoca in modo più o meno voluto.

Troppo poco per dirsi entusiasti ed estasiati oltre misura. Ma per i nostalgici, un omaggio che non passerà di certo inosservato.

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Tracklist:

01.    Love Sensation
02.    Slugged Out
03.    Air It Out
04.    Piece Of The Action
05.    Sad Sound Of Goodbye
06.    No Time For Love
07.    Hello Mr. Heartache
08.    Let’s Go Down Fighting
09.    Sheik Iddup
10.    Love Will Know

Line Up:

Pelle Saether – Voce
Peter Ledin – Chitarre / Cori
Richard Holmgren – Batteria
Dennis Vestman – Chitarra
Andres Modd – Basso

 

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