Recensione: Tommy

Di Pasquale Ninni e Leonardo Ascatigno - 29 Agosto 2021 - 15:03
Tommy
Band: The Who
Etichetta: Polydor Records
Genere: Hard Rock  Rock 
Anno: 1969
Nazione:
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80

Ci sono delle opere che, come degli occhi bellissimi, a osservarle viene voglia di guardarci dentro, in profondità e con intensità, come se fossero degli oblò in grado di aprire la visuale in un mondo stupendo, affascinante, indecifrabile per i mortali, perduto. Opere che diventano scrigno di emozioni, passioni, significati, trasposizioni, ma anche custodi fedeli di quel genio e leggenda che, a volerli cercare e spiegare, si perderebbe tempo, nonostante sforzi e applicazioni di sovrumane virtù. Quindi arriva il momento in cui, prima o dopo, queste opere avranno il loro giorno in cui saranno riconosciute come trionfali e, se la gloria non potrà essere eterna, ci si chiederà almeno il perché di tale essenza non ci si è alimentati prima. Quindi la storia diventa retroattiva e consente, spintonando coloro i quali credono che non esista, di entrare nella macchina del tempo e tornare in un dato momento per potersi ammaliare di una fantastica opera, quasi a voler colmare il tempo perduto.

Oggi, anno del Signore 2021, è giunto il momento di tornare in quel lontano 1975, ma non per assistere all’apertura del negozio Six o per essere testimoni della genesi degli Iron Maiden, ma per poter essere presenti alla prima del film musicale/drammatico Tommy, diretto da Ken Russell, ispirato all’omonimo album dei The Who. Che il film si caratterizzi come qualcosa di insolito e affascinante lo si evince già dalla presenza di Russell il quale, essendo un pilota della RAF, risulta assolutamente calato, per affinità, nella narrazione del film stesso.

Questo infatti narra, in estrema sintesi, di un bambino, appunto Tommy, che assiste all’uccisione dal padre, pilota della RAF e questo evento lo rende autistico. Dopo gli inutili tentativi di cura operati dalla madre e dal patrigno un giorno Tommy scopre i flipper e di questo gioco diventerà un campione acquisendo fama e ricchezza. Un giorno la madre, stanca delle cure a cui si sottopone il figlio, distrugge, in un atto di disperazione, lo specchio nel quale lui si riflette quando non gioca a flipper. Questo porta a una svolta: Tommy riprende il contatto con la realtà e addirittura crede di essere un nuovo messia e quindi fonda una sua setta. Questa esperienza fallisce drammaticamente e, in seguito ad alcune peripezie, Tommy scalerà una montagna per raggiungere quella che sarà la sua vera libertà.

Il film, che vede la partecipazione anche (tra gli altri) di Eric Clapton e Tina Turner, è anarchico, visionario e quasi, per gli spunti che offre, totalizzante; di sicuro si potrebbe definire un “film di formazione”, in quanto il protagonista, a seguito di tante esperienze vissute, raggiunge un “suo” e “personale” livello di maturità. L’arte, declinata in tutte le sue sfaccettature, è piena di esempi similari, quasi a voler sugellare la bontà, la fortuna e l’interesse verso questo filone. Volendo parafrasare il titolo del fortunato e innovativo manuale di letteratura scritto dal Prof. Gargano e intitolato Costellazioni Letterarie, possiamo affermare che Tommy si inserisce all’interno della sterminata “costellazione di opere di formazione” e tra queste ricordiamo: per i libri I Promessi Sposi, Martin Eden, Il Signore Delle Mosche e Il Giovane Holden; per i film: The Goonies, Breakfast Club e Stand By Me; per gli anime: Barefoot Gen.

Sarebbe ingeneroso classificare Tommy esclusivamente in questo modo, infatti il film si configura, come già anticipato in apertura, come una sorta di scrigno che una volta aperto diventa una testimonianza culturale che vede i suoi prodromi in un tempo passato non definibile. Ecco che questa testimonianza diventa un manifesto culturale e sociale che può essere tranquillamente utilizzato come un “documento sociale”.

Lo spettatore, guardando Tommy, si ritroverà a confrontarsi con una sorta di Diagramma di Venn con molteplici intersezioni tra la trama e tanti livelli di visione, pur rimanendo fortemente isolato in una splendida specificità. Quindi, così come la letteratura ha fornito ampi esempi, il film si presta a tanti livelli di osservazione. Certamente quello più immediato sarà relativo a una grande opera rock, ma il film potrà soddisfare anche gli spettatori più esigenti e ricercati. Per esempio la rottura dello specchio porterà inevitabilmente il pubblico ad approdare nell’ambito della “catarsi” con chiare ed esplicative aperture verso la psicanalisi e la religione classica, infatti questo evento può essere classificato come “catartico” oppure, volendo oscillare nel perimento della narratologia, potremmo definirlo come lo “spannung” del film, vale a dire il momento di massima tensione della narrazione o visione nel caso specifico.

Oscillando su altri livelli di visione anche quello bellico ha la sua importanza, ma, volendo immergersi in un abisso raffinato a tratti irraggiungibile diventa una sublimazione trovare connessioni con tutte le teorie relative allo sviluppo dei “superpoteri”. Come le più accreditate teorie sostengono (e hanno provato) questi si sviluppano in adolescenti (come Tommy) che vivono una situazione “di conflitto” e infatti il protagonista assiste all’uccisione del padre e alla rottura dello specchio. Quindi è bello e affascinante pensare ci sia stata un’approfondita opera di documentazione da parte dei The Who prima e di Russell dopo. Il brano ‘Smash The Mirror’ rappresenta una perfetta narrazione in musica, con la pazza danza e fuori senso, di un episodio fortemente caratterizzante.

Entrando nel merito degli aspetti prettamente musicali l’Overture è enigmatica e piena di richiami al sound dell’epoca; una strumentale che lascia spazio a una piccola gemma intitolata ‘It’s a Boy’, dove le chitarre acustiche in strumming e quelle in arpeggio si uniscono in un vortice folk davvero evocativo. La pomposità riveste il ruolo da protagonista, soprattutto nel finale corale.

1921’ è la degna parentesi successiva. Dolce e soave con le sue dinamiche altalenanti ci trasporta nel mondo (o nella mente) di Pete Townshend ed è incredibile cosa sia riuscito a ideare e creare questo grande artista. Le chitarre sembrano delle piccole risposte ostinate ai versi.

Amazing Journey’ ha un crescendo tipico The Who: riff immortale che si stampa nella mente e nel cuore.

L’intro di ‘Sparks’ fa sobbalzare dalle poltrone, un tiro incredibile al basso e tanto pathos per un’esecuzione transitoria davvero intensa.

The Hawker’ rappresenta uno dei punti più ispirati dell’intera OST, le clean guitars sono perfette e quanto mai conferiscono quel senso ritmico innato della band. I giochi di tom di Keith Moon e il basso di John Entwistle fanno sapientemente il resto.

Segue ‘Christmas’, apparentemente spensierata con un chorus trascinante e dei giochi di voci che ai più ricorderanno frammenti di quel capolavoro intitolato ‘Salisbury’ che uscirà due anni dopo ad opera degli Uriah Heep. Nella OST abbiamo a seguire la cover di un un brano di Willie “Sonny Boy” Williamson: ‘Eyesight To The Blind’. In occasione di questa opera rock come special guest figura, come già anticipato, “Mr. Slowhand” Eric Clapton.

Gli intrecci vocali e le polifonie sono la chiave di lettura della seguente ‘Cousin Kevin, episodio tra i più commoventi e ispirati grazie all’ugola di Roger Daltrey e agli arrangiamenti strumentali sul finale.

L’arpeggio iniziale di ‘The Acid Queen’ è storia: il riffing è come sempre marchiato a fuoco dal solito Pete Townshend e nel film compare una giovanissima Tina Turner al microfono.

Underture’ è incentrata sul basso praticamente dall’inizio alla fine ed è davvero un bel sentire (seppur nel mixing risulti un leggermente troppo alto e per questo un po’ slegato rispetto a tutti gli altri strumenti). All’improvviso i cori e delle chitarre ossessive creano uno special di pochi secondi, quanto basta per uscire un po’ dagli schemi del brano stesso.

Apertura Beatlesiana per ‘Do You Think It’s Alright?’ che lascia spazio immediatamente a ‘Fiddle About’.

A questo punto si giunge, come una tappa del viaggio omerico, al monumento vero e proprio, ovvero ‘Pinball Wizard’. Questo è il punto del film dove Tommy (il solito Roger Daltrey) scopre di poter sentire le vibrazioni diventando un giocatore esperto di flipper. Il brano su pellicola vede la partecipazione alle lead vocals di Elthon John. Incredibile a distanza di così tanti anni constatare la classe e lo stato di conservazione di questo brano ormai leggendario (qui il riferimento però va alla versione originale). Intro di chitarra acustica incredibilmente malinconico all’inizio, poi sfocia nel brano vero e proprio pochi secondi dopo. Questo strumento sarà molto presente all’interno di questo quarto album del combo, senza però risultare invadente o addirittura stancante. Da notare l’incredibile lavoro dietro al mix. Tutti gli strumenti sono molto definiti, le riverberazioni incredibilmente palpabili e le dinamiche sono da manuale. Queste ultime vero e proprio punto di forza in questo capolavoro del rock. Così come da manuale è il lavoro di Kit Lambert alla produzione e di Damon Lyon-Shaw come ingegnere del suono.

Breve interruzione dal titolo ‘There’s a Doctor’ e si passa a ‘Go To The Mirror!’ In questo brano il sound è molto teatrale (non a caso molti hanno definito Tommy la prima e vera opera rock della storia); da notare anche qui i passaggi di basso, molto ispirati anche se conferiscono al tutto quel sound forse un po’ troppo gonfio.

Con ‘Tommy Can You Hear Me?’, ‘Smash the Mirror’, ‘Sensation’ e ‘Miracle Cure’ ci troviamo di fronte a un momento di transizione che per certi versi ha la funzione involontaria di “allungare” la pellicola dedicata, ma questa sezione può essere considerata come “modello” di ispirazione per chi poi formerà una “piccola band” di nome Queen.

I’m Free’ contiene una delle intro più ispirate di tutta l’opera, accordi che scandiscono la semibreve e danno vita ad un crescendo strumentale molto intenso. Unica pecca la non totale originalità delle linee vocali del chorus.

‘Welcome, per gli arrangiamenti, è a metà strada tra il folk e il musical; il vocalist è incredibilmente versatile in entrambi i versanti.                              

Pochi secondi per ‘Tommy’s Holiday Camp, geniale con la sua “The holiday’s forever!”.

Il finale è da brivido con ‘We’re Not Gonna Take It’ e ‘See Me, Feel Me/Listening to You’, con Roger Daltrey in grande spolvero e l’immancabile Pete Townshend spalla perfetta con le risposte alla sei corde. I cori sono imperanti, soprattutto nella versione cinematografica, obiettivamente più potente e ispirata. Brano intenso e degno finale dunque, soprattutto per quello che si definisce in gergo “un finale col botto”. Atmosfere eroiche e inquadrature epiche al tramonto chiudono questo stupendo viaggio.

Chiosa e chiusa migliore quindi non avrebbero potuto esserci per questo cammino in un’opera di ieri, ma che guarda avanti mai dimenticando il genio dei The Who.

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