Recensione: Tragic Separation

Di Giorgio Massimi - 11 Ottobre 2020 - 9:00
Tragic Separation
Band: DGM
Etichetta: Frontiers Music
Genere: Progressive 
Anno: 2020
Nazione:
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85

Ricordo perfettamente il momento in cui conobbi i DGM. Era il 1999 e un amico proprietario di un negozio di dischi a Roma (negozio che ora è scomparso come tanti altri purtroppo) mi segnalò l’album del nuovo gruppo di Luciano Regoli cantante dei Raccomandata Ricevuta di Ritorno, si chiamava “Wings of Time” ed era davvero un grande lavoro. Sono ormai passati più di due decenni da quel giorno, i DGM sono ancora qui e, se della formazione originaria è rimasto solo il bravissimo Fabio Costantino alla batteria, il loro stile, pur filtrato da nuove influenze e da tanti cambi di line-up, è ancora fedele alle origini, un progressive metal che ha come prima influenza e punto di riferimento i Symphony X. Anche Tragic Separation, loro decimo studio album, non fa eccezione ovviamente.

Prima di parlare del disco in sé, va fatta una premessa: i DGM sono in gran forma, in una forma strepitosa, hanno fatto tesoro delle esperienze passate e hanno fuso con maestria la sacra triade di questo genere musicale, ossia classe, melodia e intensità. Nemmeno nel precedente Passage erano riusciti ad amalgamare gli ingredienti della loro musica con tale precisione… in poche parole, Tragic Separation è una bomba sonora!

 

L’inizio è folgorante e al fulmicotone. “Flesh And Blood” (invito a vedere il suo bellissimo video se ancora non lo avete fatto) è tutto quello che il progressive metal dovrebbe essere, trasuda tecnica e imprevedibilità, e il riffing di Simone Mularoni richiama da vicino Michael Romeo senza esserne però un clone, cosa che dimostra senz’ombra di dubbio nel meraviglioso assolo; la sezione ritmica incanta tra cambi di tempo e di dinamiche, il ritornello, stupendo, ci consegna un Mark Basile veramente in grande spolvero soprattutto sulle note alte, dove raggiunge vette interpretative da brividi. Insomma, Tragic Separation parte forte, anzi fortissimo.

Con “Surrender” ci muoviamo su territori più hard rock da sempre cari ai DGM e anche questo pezzo convince per la sua ritmica travolgente, con Andrea Arcangeli e Fabio Costantino sugli scudi, e le parti vocali ariose e accattivante di Basile fanno da degno complemento. “Fate” è forse il brano meno riuscito di tutto il disco: deciso e potente all’inizio, si sviluppa poi strutturalmente in una semi-ballad piacevole ma dimenticabile. Diverso discorso, invece, per “Hope”, un mid-tempo favoloso dove tutto gira perfettamente, con un assolo alternato chitarra-tastiera-chitarra che ricorda i duelli sonori dei Dream Theater e mette in luce tutta la tecnica e il talento di Emanuele Casali.

Non siamo ancora a metà album ma le sensazioni nel complesso sono davvero positive e il meglio deve ancora arrivare… Un violino dolcissimo si muove sinuoso su un tappeto melodico ricamato dalle note del piano di Casali, la quiete prima della tempesta di note che sta per esplodere. La title-track è davvero un gioiello che viaggia spedito e senza sbavature per tutti i suoi quasi otto minuti di durata; veramente d’applausi la parte centrale dove gli strumenti si amalgamano alla perfezione mettendo in risalto anche l’ottima produzione dell’album, laddove il virtuoso duo Casali/Mularoni regala momenti di pura magia.

Anche la successiva “Stranded” è notevole e propone un power metal senza troppi fronzoli, che, pure nei suoni degli assoli, ricorda tantissimo gli Stratovarius dei tempi d’oro; bellissimo inoltre il ritornello, che, struggente e drammatico, si stampa nel cuore dell’ascoltatore. “Land of Sorrow” richiama i DGM della prima ora con un’iniezione di potenza e modernità, un bel pezzo con un refrain ancora una volta azzeccato, ma è con la successiva “Silence” che il livello torna a salire; un fill tritacarne di Fabio Costantino, infatti, ci catapulta in un fiume di adrenalina power metal che non può lasciare indifferenti. Magnifico anche l’assolo di Mularoni che qui ricorda il Petrucci più ispirato. Giungiamo così all’ultima perla del disco, “Turn Back Time”, che si apre con un intro dal sapore vagamente techno con i bellissimi suoni delle tastiere di Casali che fanno da preludio a un’altra cavalcata prog rock di grade effetto. Chiude le fila l’outro “Curtain” che spezza l’incantesimo e ci lascia il tempo di riprendere fiato e di riflettere su quanto abbiamo ascoltato.

 

Con Tragic Separation i DGM hanno fatto un ulteriore passo verso il loro destino di grandi musicisti, si tratta di un lavoro fatto di cuore, tecnica e passione, quella che il gruppo romano mette da più di vent’anni nelle proprie creazioni, ma soprattutto è un grande album da ascoltare e riascoltare e che fa capire quanto la nostra scena musicale sia ancora sottovalutata.

 

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