Recensione: Treachery

Di Daniele D'Adamo - 29 Giugno 2012 - 0:00
Treachery
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Genere:
Anno: 2011
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78

La fulminante carriera dei nostrani Slaughter Denial, cominciata nel 2009 e che ha visto l’EP “Eyes Of Madness” (2010) quale punto di partenza discografico, trova un primo punto di riferimento importante con il full-length “Treachery”, dato alle stampe nel dicembre scorso dalla Crash & Burn Records.

Il CD, registrato da Fulvio Glerean nei Refuse Studio di Roma (In Cold Blood, Disnomia, Analepsy) poi missato e masterizzato da Nick Savio ai Remaster Studio di Vicenza (Hatred, Headquakes, 4th Dimension), si avvale anche dell’opera di Eliran Kantor (Atheist, Testament, Sodom) per quanto riguarda la copertina; dimostrando, con ciò, l’assoluto taglio professionale che il quartetto capitolino ha voluto dare al proprio lavoro.  

Una serietà che già s’intravedeva in sede di realizzazione dell’EP sopra citato, e che con “Treachery” trova sfogo in tutte le sfaccettature di cui è composto un album di lunga durata. Dall’esecuzione della prima nota alla registrazione dell’ultima, non c’è nemmeno un passaggio che possa essere negativamente criticato: l’opera, in quanto a manifattura, sfiora la perfezione mostrando quindi l’innata capacità dei Nostri nel saper costruire un prodotto musicale che nulla abbia da invidiare alle migliori realizzazioni internazionali. L’ottima miscela death/thrash che forma l’ossatura sonora del combo romano è intellegibile accordo dopo accordo, in un equilibrio così ben bilanciato, fra gli strumenti e la voce, che in qualsiasi momento è possibile discernerne ogni singolo passaggio. Una maturità tecnica e una chiarezza d’idee che stride, quasi, con la giovane età della band della Capitale. Il che, naturalmente, rappresenta un pregio non da poco tenuto anche conto che, rispetto alla formazione che ha messo giù “Eyes Of Madness”, c’è ora un chitarrista in meno con conseguente – almeno teorica – diminuzione di consistenza sia a livello di suono, sia per quanto riguarda la creatività. Un calo che, in effetti, non c’è stato: il guitarwork è, difatti, di una graniticità spaventosa. Si tratta di un muro di suono dalle trame precise, pulite e ordinate, sorretto da una quantità di riff stoppati e iper-compressi come da migliore scuola thrash, con un’efficacia enorme in fase ritmica e qualche debolezza in occasione dei soli. Fatto che, comunque, non incide granché sul sound del quartetto, giacché il suo stile aspro e asciutto si basa sull’armonia dei ritmi piuttosto che sulla melodiosità degli accordi. Uno stile che si avvale della precisione cronometrica dell’esecuzione per soddisfare anche i palati più fini, comunque messi alla prova da un groove a volte rabbioso in virtù della più che buona prestazione vocale di Fabrizio Losapio, pure lui molto accurato nella propria prestazione che abbraccia un orizzonte piuttosto ampio comprendente screaming, growling e inhale. La scelta di non forzare mai il ritmo verso vertiginosi valori di BPM conferma, inoltre, la volontà di abbracciare l’ascoltatore con la forza di un drumming deciso, marcato e possente invece che con la rapidità, per esempio, di reiterati blast beats.        

Una propensione così marcata per il rigore della messa in opera, se da un lato offre un disco rotondo come il cerchio di Giotto, dall’altro toglie, a voler essere pignoli, un po’ di spontaneità al tutto. È bene evidenziare, però, che non si tratta di un difetto oggettivo quanto di una percezione legata ai gusti personali. L’amante della ‘quadra’ a tutti i costi troverà in “Treachery” la realizzazione dei propri sogni mentre chi ama le sonorità marce e putride più tipiche del death puro dovrà rivolgersi altrove, insomma. Anche il songwriting, nondimeno, risente di quest’impostazione assai pragmatica per cui, da “Ruthless Throwback” a “Mind Diverted”, non si trovano elementi di esplosiva innovazione ma, nemmeno, né cali di tensione né vizi di forma: il platter è bello tosto e non presenta neppure un secondo d’indecisione stilistica. Una sicurezza sotto tutti i punti di vista, per sintetizzare.  

Può essere, quindi, che gli Slaughter Denial debbano… lasciarsi un po’ andare ma, senza ombra di dubbio, è innegabile che “Treachery” non sfiguri di fronte anche ai migliori lavori contemporanei nel campo del death/thrash. E, alla fine, è forse questo, che conta di più.

Daniele “dani66” D’Adamo

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Tracce:
1. Ruthless Throwback 4:41     
2. Milwaukee Cannibal 3:46     
3. Strategy Of Tension 3:20     
4. Illusion Of Doubles 4:09     
5. Reedemer Butcher 4:50     
6. Treachery 4:49     
7. Chilling Abduction 4:12     
8. Psychopathic 4:31     
9. Mind Diverted 4:43    

Durata 39 min.

Formazione:
Fabrizio Losapio – Voce
Alessandro Trotto – Chitarra
Claudio Colantoni – Basso
Simone Tempesta – Batteria
 

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