Recensione: Tres Caballeros

Di Valter Pesci - 20 Ottobre 2015 - 9:00
Tres Caballeros
Etichetta:
Genere: Progressive 
Anno: 2015
Nazione:
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77

Eccoci giunti all’attesissimo appuntamento, dopo due album che hanno riscontrato enorme successo di critica e fan, esce nell’estate 2015 il terzo lavoro in studio della super band The Aristocrats, Tres Caballeros.
Se il primo disco aveva acceso un sano e meritato interesse nei confronti di questo nuovo progetto e il secondo aveva alzato l’asticella, rendendo quella che avrebbe potuto rivelarsi una meteora del panorama prog-fusion una impetuosa e tangibile realtà musicale, il terzo è atteso da tutti come la vera e propria consacrazione dello stile peculiare della band, nonché l’asso di briscola da giocare al momento più opportuno, per chiudere una volta per tutte la partita con una sentenza inscalfibile: The Aristocrats, una delle più riuscite idee musicali degli ultimi decenni.

Ci apprestiamo, dunque, a verificare se questo cd soddisfi le aspettative o meno.
Un bel riff country-prog ci introduce al primo brano, “Stupid 7”. I tempi sempre complessi danno vita al pezzo, coadiuvati alla grandissima dai fill e dalle parti solistiche di ogni membro. Guthrie Govan decide di lasciar libero il suo lato pazzoide e divertirsi con suoni ed effetti quasi cacofonici, seppur sempre conditi da virtuosismi tecnici di riguardo. Il sound è compatto e il lavoro di Beller e Minnemann nelle retrovie è, al solito, sublime ed incalzante.
Jack’s Back” parte in sordina, con la chitarra dell’inglese a scandire un riff dal tempo bizzarro (che continuerà in loop per gran parte del brano), presto supportato dall’ingresso in scena di basso e batteria che, senza invadenza alcuna, contribuiscono a dipingere un mood tra il misterioso e l’onirico. Un break elettrico e dal sapore assai più heavy fa capolino d’improvviso per poi tornare a lasciare spazio agli “esperimenti” armonici capitanati da Mr. Govan con piglio assai più soft. Questi cambi di umore continuano per tutta la canzone (come ci avevano già abituato in passato). Minnemann, maestro delle pelli, si lascia scappare qualche mini-asssolo di qualità assoluta. Nel complesso, però, sembra che il brano stenti a raggiungere uno scopo preciso, lascia un’idea di improvvisazione incompiuta e probabilmente risulterà essere uno dei meno riusciti dell’album.
Texas  Crazypants” alza i decibel e aumenta il tiro. I riff proposti dai tre musicisti presentano tutte le caratteristiche peculiari del sound della band, chiare fin dal primo album. Basso e chitarra proseguono all’unisono per la quasi totalità del pezzo il quale, arricchito da un paio di uscite fuori dal coro di Govan che inserisce armonici e assoli un po’ qua, un po’ la, scorre verso un finale quasi completamente ritmico: solo di Minnemann con tanto di tempo tenuto a battito di mani dai nostri. Il riff iniziale torna e accompagna il finale della canzone, sicuramente la più movimentata fino a questo punto.
Quarta canzone, “ZZ Top”, già dal nome non lascia tanti dubbi: si tratterà di un omaggio ai barbuti colleghi. Il brano inizia con un divertente siparietto in cui Marco conta il tempo prima di dare l’attacco. Un brusio di flanger fa capolino e la dedica suggerita dal titolo risulta evidente soprattutto grazie al riff che segue, aspro e countryeggiante. Per il resto, la struttura del brano segue la linea “aristocratica” consueta, in cui ogni membro si prende un po’ di spazio, a rotazione, per esprimere la sua opinione artistica: qui sono Guthrie e Marco gli attori principali. Con un paio di cambi di tempi e stacchi dispari ritorna il riff principale a chiudere le contese.
Un intro soft blues ci culla e accarezza l’udito quanto “Pig’s Day Off” spiega le vele. Il relax-mood, concetto chiaramente riadattato alla morfologia sonora dei nostri tre, prosegue per quasi tutto il pezzo, condito da strappetti non inaspettati e da quel pizzico di stravaganza virtuosistica di cui sono capaci Govan e compagni.  L’atmosfera si fa invece improvvisamente misteriosa e colma di pericolo attraverso un riff dispari, prima di tornare a distendersi nel finale. Dato il titolo della canzone, e conscio della bambinesca felicità suscitata in sé quando Beller e compagni si esibiscono nei loro sketch musicali coi famosi pupazzetti (un gallo, una gallina e un maiale, appunto), onestamente mi sarei aspettato qualcosa che includesse anche una loro massiccia presenza in line-up per questa song, peccato…
Se all’ascolto di “Smuggler’s Corridor”, vi sentirete pervadere da una strana sensazione di deja-vu dal sapore vagamente tarantiniano, nulla di strano, la western-oriented sesta traccia dell’LP ci teletrasporta letteralmente in un altro mondo, fatto di sfide a duelli, polverose radure e loschi individui trasudanti tequila. Mai fino ad ora una traccia di questo album fu più in linea con l’artwork in questione. Per ricalcare il concetto descritto fin qui, come se non bastasse, ci si mette un baritonale coro (eseguito sempre dai nostro tre simpatici amici), che lascia poi spazio alla lenta parte conclusiva del pezzo.
Pressure Relief” sembra un pezzo tratto da un album solista di un chitarrista, in effetti ha una chiara matrice alla Steve Vai, a tratti sembra quasi un brano estrapolato dalle pietre miliari della sua discografia di inizio anni ’90. Nella sezione solistica però, come è normale che sia, molti tratti del playing tipico del cappellone inglese aristocratico giungono inequivocabili, così come altri giochetti sonori di casa Govan. Il tappeto della traccia è sempre di ottima qualità, seppure i due colleghi del guitar hero si vogliano limitare a fornirgli il miglior supporto possibile senza andare oltre… Nel complesso una bella canzone, meno da Aristocrats delle altre ma di levatura degna di nota.
Se fin qui era un po’ mancato quel perfetto mix di ingredienti, quali ironia, tempistica bizzarra e frenetica e quel sano, adrenalinico gusto del bel virtuosismo, che aveva caratterizzato ed espresso al meglio l’offerta della band nei primi due album, con “The Kentuky Meat Shower” finalmente si fa un tuffo nel recente passato. Riff country assassino di Govan, coadiuvato da un playing esuberante e fuori dalle righe dei suoi due compagni di viaggio. Parti all’unisono in tempi dispari accattivanti, ritmo incalzante e tiro da grandissimi artisti. Sicuramente il pezzo più divertente dell’intero lavoro.
In men che non si dica, arriviamo all’ultima fatica del platter: “Through The Flower”. Intro dedicato alla sola chitarra di Guthrie, poi con garbo si inserisce il resto della band che continuerà il suo andirivieni sulla scena per l’intero pezzo, lasciando il ruolo da protagonista al solito Govan, libero di gestire a suo piacimento i cambi di mood della canzone sempre senza sconfinare una certa soglia di decibel e bpm, disegnando un clima tutto sommato tranquillo e pensieroso. Basso e batteria, accompagnano egregiamente il pezzo ma non escono dagli schemi più del dovuto, anche il manico solitamente fumante della sei corde si prende un momento di relax. Ottima prova di dinamicità da parte dei tre musicisti, i quali dimostrano magistralmente la loro evidente capacità di alternare tocchi piumati a vere e proprie percosse senza disdegnare graduali crescendo e giochi di volume. Il finale è decisamente più movimentato con piccole sfuriate solistiche di Minnemann e Beller.

Bene, concludendo questo terzo viaggio musicale dei The Aristocrats pensiamo si possa asserire che, tralasciando l’indiscussa sublime qualità di musica e interpreti, l’ascoltatore che si era abituato ad essere strabiliato e sconvolto nei primi due ispiratissimi lavori in studio, stavolta probabilmente rimarrà leggermente delusi da un disco meno impetuoso e aggressivo dei precedenti. Ci si aspettava il definitivo boom della carriera di questi ragazzi, magari il punto più alto e comprensibilmente più raggiungibile in carriera e nel futuro della band e invece sembra di essere di fronte ad un’opera un po’ più sbrigativa delle precedenti e che denota un leggero passo indietro rispetto quanto sentito nei primi due album. Guardando il lato positivo, a quanto pare lo zenit aristocratico deve ancora essere raggiunto e si potrà sperare di ascoltarlo nel prossimo CD, la speranza è l’ultima a morire.

 

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