Recensione: Triumph of Tragedy
Non capita spesso di aver la possibilità di restare fermi, immobili, zitti ad ascoltare. Tante, troppe volte la sensazione del “trito e ritrito” mi ha fatto abbandonare dischi in giro per le macchine degli amici, o chiuse in qualche scatola dimenticata in cantina. Tante volte la sensazione amara e sgradita di déjà-vu mi ha fatto riporre dei dischi nel buio cassetto delle cose inutili…
Ma questo disco no, per niente.
Questo disco mi ha colpito, mi ha spiazzato e sorpreso. Mi è stato consegnato in un’anonima busta trasparente in una pausa pranzo, tra un panino e svariate birre. La curiosità è stata forte, tanto da metterlo nel lettore della macchina per sentirlo subito. Devo ammettere che ho dovuto fermarmi sul ciglio della strada e iniziare a ciondolare la testa in quel confuso e disordinato orgasmo di capelli tanto caro a chi apprezza questa musica, ai più noto come headbanging.
Perché i belgi The Dying mi hanno travolto come non succedeva più da tempo, forti di un assalto frontale privo di remore e di controllo. Triumph of Tragedy, album d’esordio su Drakkar Records, è un lavoro che va ascoltato tutto d’un fiato, sempre con il piede sull’acceleratore, sempre tirato al massimo e, possibilmente, a tutto volume. E’ un disco brutale per certi versi, “ignorante” quanto basta e molto ben suonato. Oltre alla furia thrash c’è anche molta tecnica e un lavoro magistrale in sede di produzione. La prestazione di Jan Bavik al microfono è brillante: tutto ruota attorno alle sue urla, davvero congeniali al genere trattato.
Apre The Beginning of the End, intro dal sapore disteso e pacato, adatta a creare quel “balzo” emotivo con la prima canzone vera e propria: Scars and Stripes, tirata e poderosa come un tuono! Frastornati da una potenza inaspettata, attenuata soltanto verso la fine del brano, si precipita nel turbinio musicale creato da Bottles and Pills: motivo dai ritmi altalenanti, tra una doppia cassa inarrestabile e gli stacchi rallentati dei refrain, quasi recitati. Il martellamento, incessante, prosegue con Gotham e Serpent; quest’ultima esordisce con sonorità quasi black per poi mutare, proprio come un serpente, durante lo svolgimento. Difficile trovare il tempo per pensare, tanta la foga artistica del combo belga. Una voglia di scaricare la propria musica in faccia all’ascoltatore che non lascia indifferenti: Blessed with Tragedy fa rifiatare un po’ solo nel finale, con un malinconico e tenue assolo di chitarra. Nessuno si illuda, i ritmi si mantengono frenetici anche con la seguente Killing the Drama. Scarred Like Us, anticipata da un’intro sottotono (un cliché già sentito all’inizio dell’album), è dominata dai ritmi della batteria di Ben Dolezal, mattatore indiscusso dietro le pelli. The Sadist Virus, Jesus the Judas e Slaves of Tomorrow concludono un disco da 43 minuti abbondanti, niente male per una giovane band.
In conclusione, mi sento di consigliare vivamente l’esordio di una band che, se supportata a dovere, potrà dare molte soddisfazioni al popolo degli appassionati.
Daniele Peluso
Tracklist:
01 The Beginning of the End
02 Scars and Stripes
03 Bottles and Pills
04 Gotham
05 Serpent
06 Blessed with Tragedy
07 Killing the Drama
08 Scarred Like Us
09 The Sadist Virus
10 Jesus the Judas
11 Slaves of Tomorrow