Recensione: Twilight Of The Gods

Di Luca Recordati - 20 Novembre 2013 - 19:01
Twilight Of The Gods
Etichetta:
Genere: Thrash 
Anno: 2013
Nazione:
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65

L’imitazione è una pratica assai comune nella musica della generazione x, vuoi perché se da una parte non è più possibile innovare (sarà vero?), dall’altra imitando c’è il rischio di non sbagliare completamente e quindi di camminare su una strada sicura.

Questo concetto sta alla base di “Twilight of The Gods” (titolo ripreso dall’album omonimo dei Bathroy) dei conterranei Concrete Block, che si muovono tra il thrash, che vuole pescare dai Sepultura e dai Testament, e l’hardcore dei Biohazard e Killswitch Engage. Le tracce migliori si hanno là dove l’imitazione è evidente, ma quando i cinque italiani si discostano e lasciano fluire la creatività, paradossalmente, l’album ne risente pesantemente e si assiste ad un già sentito.

L’ugola di Sgramella ricorda molto quella di Chuck Billy dei Testament, così come la batteria di Pugliese ammicca più di una volta ai suoni tribali di “Roots Bloody Roots” dei Sepultura e infine le chitarre di Chiruzzi e Valenzisi pescano dal repertorio groove. La produzione non è niente di stratosferico o funambolico anche se il lavoro è stato svolto con dedizione, eccetto la batteria che a volte risulta troppo grezza stravolgendo il lavoro svolto sugli altri strumenti. Per quanto riguarda il songwriting, i cinque italiani si attestano su un livello mediocre, non riuscendo a trovare elementi nuovi che li discostino dalle altre band. Un altro elemento che salta all’occhio è quello di voler ricreare l’immaginario metal scandinavo, al punto di usare una foto scattata in un giorno di neve per il retro del disco. Inoltre la copertina ammicca anche al black metal.

Le migliori tracce sono “Through The Bars”, “Death is The Only Law” e “Kill Me If You Love Me”. Nella prima canzone troviamo, come elemento caratterizzante, la batteria grezza che pesca da quanto prodotto da Igor Cavalera e la voce cavernosa di Sgaramella che riporta inequivocabilmente a quella stentorea del frontman dei Testament. La seconda traccia e la terza hanno un riffing serrato molto groove che a volte si avvicina ai Soundgarden (soprattutto nel terzo brano) e la voce non cala di potenza. La traccia finale “Armageddon” pur essendo una cover dei Carnivore è comunque da annoverare tra le migliori dei Concrete Block, merito del gruppo in questo caso, dato che non è fedele all’originale. Manca, però, oltre ad un sound old school, l’attitudine hardcore del cantante. Le restanti tracce non aggiungono molto essendo molto simili tra di loro a livello di songwriting e anche per una certa somiglianza con quello che già propone a paccate il vasto panorama metal. Proprio qui, tuttavia, viene a mancare quell’imitazione che aveva portato per assurdo le altre tracce a non sfigurare.

Quest’album dimostra che non basta la dedizione e il duro lavoro per saltare fuori dalla mischia, ma che è necessario comunque un minimo di innovazione misto a talento. I Concrete Block dovranno essere bravi a correggere gli errori e le sbavature di quest’album per poter essere sulla buona strada. Solo il tempo ci dirà se questa sarà l’ennesima band che si inserisce in un panorama saturo.

Luca Recordati

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