Recensione: Uinuos Syömein Sota

Di Manuele Marconi - 1 Ottobre 2020 - 0:10
Uinuos Syömein Sota
Band: Havukruunu
Genere: Black 
Anno: 2020
Nazione:
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78

Oggi ci troviamo a trattare l’ultima fatica dei finlandesi Havukruunu, il monolitico “Uinuos Syömein Sota”, uscito alle porte di ferragosto per rinfrescarsi un po’ dopo la canonica sessione al barbecue. Il complesso finnico si presenta come un quartetto dedito ad un pagan black metal d’impatto e abbastanza tecnico nel complesso, non smentendosi con l’ultima uscita. Il disco parte col botto, con una rullata di batteria che ci trascina subito fra le onde del Baltico: l’introduttiva title track risulta infatti incalzante e incredibilmente indovinata. Questo grazie ai ritmi serrati e cambi di tempo oltre ad una prestazione vocale lodevole di Stefan, che si unisce alle schitarrate feroci, ma non casuali, di Henkka per completare il quadro di un brano trascinante e solido. Un altro punto a favore di questa release è la forte carica di atmosfera: ci sembrerà davvero di trovarci su un Drakkar in balia di una tempesta marina per tutti i circa 45 minuti di durata del lavoro, centrando davvero il punto sotto questo aspetto. I problemi iniziano a palesarsi però alla lunga: se l’ascolto dei singoli brani può esaltare e far tirare fuori qualche scapocciata sincera, la composizione generale risulta nel complesso solida ed esente da veri e propri difetti, ma molto ridondante e uguale a sé stessa. Atmosfere vichinghe, saliscendi melodici con pennate veloci e cori sono caratteristiche di ognuno dei sette pezzi (interludio escluso) proposti, senza variazioni degne di nota, nemmeno nell’impostazione e nell’ordine di tali attributi. Questo porta presto ad un senso di monotonia e leggera noia, che si fa abbastanza presente anche in virtù dello stupore iniziale. I due pezzi finali e successivi all’interludio, ovvero “Vähiin päivät käy” e “Tähti-yö ja hevoiset” sono gli altri due acuti che quest’opera regala. La prima varia leggermente nelle sonorità e concede all’ascoltatore un assolo di chitarra finale decisamente ispirato, la seconda rappresenta la degna chiusura del disco, e forse il suo pezzo migliore, pieno zeppo di partiture di chitarra taglienti e ricco di epicità. In generale comunque il livello rimane buono, restando costantemente all’interno del solco tracciato dal primo all’ultimo minuto, risultando così un blocco granitico, ma un po’ indigesto per chi apprezza l’atmosfera vichinga senza però farne il proprio carisma principale. Può essere invece una scelta ottima e consigliata per chi ama la componente variaga del black metal, piuttosto che le sonorità “true norwegian”.

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