Recensione: Umskiptar

Di Alessandro Cuoghi - 24 Maggio 2012 - 0:00
Umskiptar
Band: Burzum
Etichetta:
Genere:
Anno: 2012
Nazione:
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Divenire un’icona di fama internazionale, nel bene o nel male, non dev’essere semplice: la prima cosa da fare è crearsi un personaggio ed avere qualcosa di interessante da comunicare. Il passo successivo è costituito da attirare l’attenzione dei media, in qualsiasi modo. A questo punto, l’icona nascente dovrà mantenere un profilo elevato, consolidare quanto fatto in precedenza e mantenere un alto livello di concentrazione mediatica sul proprio essere ed operare. 

Ebbene, il nostro Varg Vikernes pare essere un genio del settore, quantomeno nel cavalcare la propria immagine e le proprie gesta passate, treandone vantaggio anche a distanza di molto tempo. Sicuramente l’inflazionato omicidio di Euronymous è stato un incidente di percorso, come altresì i vari arresti conseguiti in seguito all’incendio di diverse chiesette norvegesi; per non parlare delle accuse di filo-nazismo e dell’hollywoodiana evasione dalla galera, avvenuta meno di un anno prima della scarcerazione. Ma, come è ormai facile dedurre, gli incidenti di percorso a volte costituiscono nuovi punti di partenza o addirittura vere e proprie rampe di lancio verso il successo. Cosa questa che è stata sfruttata a dovere dal succitato artista che, ritirandosi apparentemente a vita privata, continua tutt’oggi a rilasciare fior fiore di materiale (libri, dischi, interviste…) e ad alimentare la propria fama nel mondo.

Ormai ci troviamo di fronte ad un uomo nuovo: affettuoso padre di famiglia, accanito studioso di mitologia norrena, abile compositore, scrittore, saggista, ma soprattutto sublime agente di se stesso.   

Molti di voi si chiederanno il perché di tale incipit quasi biografico per introdurre la recensione di un prodotto musicale. La risposta risulterà chiara grazie ad un’analisi più approfondita del qui presente lavoro, che rappresenta per la cronaca la quarta uscita discografica targata Burzum (preceduta dallo splendido Belus, seguito a ruota da Fallen e dalla poco significativa antologia From The Dephts Of Darkness), dopo la scarcerazione avvenuta nel 2009.   

Umskiptar (in italiano Metamorfosi), dovrebbe rappresentare il disco della conferma definitiva del ritorno di Varg Vikernes. E, a dirla tutta, a livello promozionale esso si rivela davvero appetitoso, incorporando infatti ogni singolo elemento extramusicale che ha decretato nel recente passato il successo dell’artista:  una cover di matrice epico-romantica tratta dal quadro Slindebirken,del pittore norvegese ottocentesco Thomas Fearnley; un concept fortemente radicato nella mitologia nordica, in particolare sul poema epico Völuspá; e, sopra ogni cosa, l’inossidabile moniker Burzum, simbolo ed incarnazione assoluta del concetto di one-man-band Black Metal.  

A questo aggiungiamo i vari rumors riguardanti il solito presunto ritorno alle origini, l’importanza didattica e artistica dei testi, le interviste rilasciate a riguardo ed infine, come se ce ne fosse stato bisogno, pure un book fotografico di presentazione dove il nostro eroe si mostra bardato prima come un soldato della seconda guerra mondiale, poi come un guerriero del medioevo. Insomma un pacchetto commercialmente completo, corredato da un’attenzione ai particolari degna di una grande agenzia pubblicitaria e destinato a mietere un gran numero di vittime. Vittime, sì, perché per quanto sia difficile ammetterlo il mezzo scivolone lucroso del best of, il crescente puzzo di compitino svolto a dovere, l’ansioso sentore che qualcosa stesse prendendo una brutta piega, trovano qui una triste conferma . 

In questo disco, infatti, è tutto perfetto, tranne la musica.  

Prima di cominciare con l’analisi ci tengo ad illustrare una curiosità che mi ha colpito profondamente: le traduzioni inglesi delle lyrics in lingua madre, prima sempre presenti sul sito ufficiale di Burzum, nel caso di Umskiptar sono consultabili solamente sul suo libro, acquistabile ovviamente tramite un comodo link apposto ad inizio della pagina relativa al disco. Altra operazione lucrosa? Non lo sappiamo, non vogliamo passare per inquisitori e, sinceramente, la questione è facilmente risolvibile, infatti confrontando il booklet dell’album con lo scritto originale del Völuspá, si nota subito che le lyrics sono pressoché identiche ai versi del poema, come fra l’altro affermato anche dallo stesso artista. Quindi, per chi fosse interessato, trovare una traduzione online non risulterà affatto difficile.   

Ma tralasciando queste sciocchezze frivole e di poco conto, che in materia musicale hanno lo stesso effetto fastidioso di una zanzara famelica che ci disturba il sonno, pare a questo punto più esplicativo e corretto incentrare la nostra attenzione sull’aspetto lirico e compositivo del lavoro.    

Umskiptar, come già accennato,  trae la propria linfa vitale (nonchè la totalità dei testi) dal Völuspá,  poema fra i più significativi per la comprensione della mitologia nordica, contenuto nell’Edda Poetica e conservato in due manoscritti: il Codex Regius e l’Hauksbók. Tale opera è stata inoltre ripresa e rielaborata nell’Edda in Prosa di Snorri Sturluson, esimio storico, poeta e politico islandese vissuto a cavallo tra 1100 e 1200, capace con il proprio operato di rendere più chiaro ed assimilabile l’intricato universo mitologico norreno. 

Il poema rappresenta le visioni di un’oscura veggente evocata da Odino al fine di rivelare a lui e agli altri Æsir la completa conoscenza nordica, il destino del mondo ed i misteri primordiali. Interrogata dal padre degli dei, la profetessa risponde prima dicendogli che sa come egli abbia ottenuto la propria sapienza e dove sia finito il suo occhio, poi continua illustrando l’età dell’oro e la creazione dell’universo. Prosegue quindi narrando la guerra fra Æsir ai Vanir, predice la morte di Baldr (figlio prediletto di Odino, avuto dalla dea Frigg, episodio musicato dallo stesso Vikerness nel già citato Belus) e, attraverso un emozionante viaggio lirico, descrive la fonte della sapienza e gli inferi, parla del lupo Fenrir, delle Valchirie e del frassino Yggdrasill, concludendo il monologo con la profezia del Ragnarok (la guerra degli dei), che porterà alla distruzione e rinascita dell’universo, seguita da una nuova età dell’oro.   

Ora, forti di una seppur minima infarinatura storico-mitologica siamo pronti per affrontare la vera sfida del disco, cioè riuscire a capire dove Varg Vikerness  voglia andare a parare. Per una corretta lettura è bene puntualizzare che quanto contenuto fra le parentesi che seguono i titoli norvegesi dei diversi brani non sempre rappresenta la traduzione di essi, ma fornisce una sorta di didascalia indicata dall’autore stesso sul proprio sito ufficiale.  

Umskiptar si apre con l’ormai familiare intro di breve durata, intitolata “Blóðstokkinn” (Inzuppato di Sangue) atta a trasportare sin dalle prime vibrazioni l’ascoltatore all’interno del magico universo mitologico norreno. Un battito costante ed una voce marziale ci introducono in tal modo alla prima stanza del poema, dove la veggente chiede ascolto, intimando il silenzio ai figli umani di Heimdallr e chiedendo ad Odino cosa voglia sapere. Da notare, per i più puntigliosi, che il titolo del brano sembra non avere nessun nesso logico col testo. Il disco prosegue comunque con la successiva “Jóln” (Divinità), dove la veggente descrive la creazione del mondo, il gigante primordiale Ymir, nato da ghiaccio e fuoco, dal cui sacrificio ebbe origine l’universo; i figli di Borr che portarono il sole sulla terra; e le ricchezze dell’età dell’oro. Il brano presenta caratteristiche comparabili alle tracce dei dischi precedenti, tuttavia col suo incedere lento, slavato e ripetitivo non stupisce, fallendo nell’impresa di risultare incisivo. A risollevare subito le sorti del disco troviamo però la successiva “Alfadanz” (La danza degli Elfi, altro titolo di cui non si capisce bene il senso) che, impreziosita da una delicata intro di pianoforte dai forti richiami folk, racconta della creazione dei nani. Attraverso chitarre ritmate ed una voce più narratrice che cantante, il brano si dilata soffuso durante il lungo elenco di nomi dei maggiori rappresentanti della nobile razza. Il primordiale Black Metal delle origini si perde quasi completamente, lasciando il posto ad un atmosferico e coinvolgente Folk Pagan dalle tinte struggenti, che per oltre nove minuti ci culla fra le proprie note, trasportandoci in mondi antichi e fantastici. L’elenco nominale dei nani continua anche nella quarta traccia “Hit Helga Tré” (L’albero Sacro), altro brano dall’intento evocativo, che nonostante si muova sulle stesse coordinate del precedente risulta purtroppo meno capace di coinvolgere. E’ notevole come anche in questo caso Varg si limiti ad una narrazione, utilizzando un cantato vero e proprio solo in alcune parti. Il brano stuzzica però un ulteriore punto interrogativo, dato dalle solite lyrics, che risultano forzatamente apposte in una traccia che secondo il titolo dovrebbe logicamente descrivere il frassino cosmico Yggdrasill, ma che relega tale argomento solo ad un paio di strofe.  

La quinta traccia “Æra” (Onore), incentrata sulla guerra primordiale fra  Æsir e Vanir,  le due stirpi divine, tenta di mostrare un po’ i denti, con la conseguenza di risultare semplicemente piatta, priva di mordente ed approssimativa. Durante questo brano il nostro eroe si esprime addirittura in uno dei pochi screaming veri e propri presenti sul disco, dimostrando purtroppo di essere completamente fuori forma e ponendo l’accento sulle vocals, che per gran parte del lavoro sono limitate ad un cantato quasi sussurrato e sporco, efficace in alcune parti ma completamente privo di carattere in altre. Il racconto procede attraverso la successiva “Heiðr” (Stima), breve brano di passaggio sulla morte di Baldr e sfocia nella discreta “Valgaldr” (Canzone Dei Caduti), pezzo chiaramente di mestiere, molto vicino a quanto avevamo sentito in Fallen, che terminando il racconto della morte del figlio di Odino fornisce una dettagliata descrizione degli inferi nei quali egli fu segregato fino alla propria risurrezione, avvenuta alla fine del Ragnarok. Nonostante il brano non aggiunga molto al valore del disco riesce comunque nel proprio intento,  grazie ad un mood sufficientemente evocativo ed ipnotico. 

Giungiamo così a quello che pare l’apice creativo del lavoro: la drammatica e sognante “Galgviðr” (La Festa del Patibolo), una sorta di manifesto del Depressive con reminescenze Doom. Il brano procede lentissimo, sulfureo e funereo come a descrivere la marcia di un condannato a morte. Non vi è necessità di leggere le lyrics per capire sin dalla prima nota che l’argomento trattato sia di una drammaticità epica. Il canto solenne di Varg accompagna la mente attraverso gli ultimi giorni di pace degli dei del Nord, che avvisati dal canto dei tre galli attendono il momento della battaglia finale, il Ragnarok, che porterà molti di essi ad un’eroica quanto inevitabile morte. Flebili inni di Bathoryana memoria descrivono così il suono del Gjallahorn, il corno con cui Heimdallr darà l’allarme, la liberazione dell’inferocito Fenrir dalle proprie catene ed il sussultare delle radici dell’albero cosmico Yggdrasill per l’imminente battaglia.  Il brano trova il suo seguito nella successiva ed emozionante Surtr Sannan (Oscurità dal Sud), che attraverso un riffing ipnotico e costante descrive la furia dei giganti guidati dal feroce Hrymr, che solcano i mari d’oriente alla volta del regno degli dei sulla nave Naglfar, costruita con le unghie dei morti. Anche il serpente Jörmungandr, figlio di Loki, si contorce d’odio, sferzando le onde e bramando la morte di chi lo imprigionò sul fondo dell’oceano. Altri nemici giungono da est e da sud, i giganti del fuoco ed il loro capo Surtr, assieme a Loki, il dio degli inganni ed al lupo Fenrir. 

Il culmine del poema, la battaglia fra bene e male, il crepuscolo degli dei e la rinascita del mondo vengono riversati nella penultima traccia del disco, intitolata “Gullaldr” (l’Età dell’oro). Il brano, morbido e dall’atmosfera dilatata, caratterizzato da chitarre soffuse e malinconiche, risulta ben strutturato e capace di descrivere l’epica battaglia in chiave diversa dal solito, gettando maggior luce sull’aspetto drammatico del Ragnarock che su quello epico. L’atroce conflitto fra Odino ed il Lupo Fenrir, nel quale il padre degli dei perse la vita, la vendetta da parte del figlio Víðarr che conficcò la spada a fondo nel cuore della bestia, lo scontro mortale tra Thor ed il serpente, nel quale morirono entrambi, la distruzione e rinascita del mondo; questi e molti altri avvenimenti si delineano nel brano sotto forma di nenia funebre e toccante venendo sviscerati dall’alone epico ed infarciti di drammaticità solenne e malinconica. Una simile scelta stilistica pare senz’altro originale, tuttavia lascia un po’ di amaro in bocca ed il sentore che un argomento tanto rilevante potesse essere trattato con maggior riguardo. 

Il disco si chiude con gli oscuri versi finali del poema. Attraverso l’outro ambient “Níðhöggr” (Attacco Dal Basso), delineata da un battito costante e sinistri rumori, viene evocato magistralmente il congedo della veggente, che inabissandosi in acque oscure proferisce un’ultima frase (dal significato tutt’ora poco chiaro)riguardante il malefico serpente alato Níðhöggr, che volerà come un’ombra sul nuovo mondo.   

A conti fatti risulta ormai sicuro che il qui presente Umskiptar  rappresenti una sorta di congiunzione tra i diversi aspetti musicali e non del nuovo corso del progetto Burzum. Da una parte la sicurezza ed il savoir faire di un’artista ormai consolidato e l’affascinante mondo della mitologia nordica, dall’altra il tremendo spettro dell’operazione commerciale e dell’auto emulazione data da una, speriamo temporanea, mancanza d’ispirazione (già preannunciata dall’uscita di un’antologia). La formula della narrazione con accompagnamento musicale anziché del  vero e proprio insieme di canzoni è stata ponderata o può forse rappresentare un’escamotage alla mancanza di idee? Non lo sapremo mai, ma rimane comunque il fatto che il disco trasmette per la maggior parte del tempo un quieto e ridondante torpore, cadendo a volte nella noia e rivelandosi spesso buon dispensatore di sbadigli. Anche dopo ripetuti ascolti l’atmosfera generale rimane quella della ninnananna. Anche i testi, in seguito ad un’analisi approfondita, si dimostrano troppo poco amalgamati con le sensazioni che la musica dovrebbe trasmettere, sembrando in diversi episodi  addirittura inchiodati sulle composizioni senza alcun criterio logico.

Se comparato con Belus e Fallen, da un punto di vista emozionale e musicale questo lavoro perde praticamente su ogni fronte e se ne va lasciando solo qualche vago ricordo, come se la magia e la passione dei predecessori fosse stata fotocopiata malamente e riproposta in una busta dorata. In fin dei conti i pezzi destinati a lasciare veramente il segno sono solamente una manciata, tra i quali andiamo nuovamente e debitamente a citare “Alfadanz” e “Galgviðr”, che attraverso la magia che tanto ci aveva affascianti rendono giustizia all’opera dalla quale sono tratti. Vero è che due brani reputati sopra le righe farebbero la gioia di una qualsiasi band emergente, ma chi  ha seguito, come il sottoscritto, l’evoluzione del progetto Burzum, rimarrà pervaso da una vaga amarezza nonché da un fastidioso senso d’incazzatura, dato da quella che sotto alcuni aspetti sembra una presa per i fondelli in piena regola.   

Per giustificare infine l’incipit della recensione: con Umskiptar pare che l’artista abbia sfruttato più la fama e la conoscenza dei gusti del pubblico che il proprio talento compositivo, consegnando un prodotto non all’altezza, ma impacchettato e pubblicizzato col massimo dell’impegno. Quindi, per quanto riguarda la valutazione finale (che, data la presenza di alcuni episodi di valore, non vuole essere una bocciatura su tutti i fronti) non me ne vogliano i fan incalliti di Burzum, ma quando ci vuole ci vuole, perchè da un’artista complesso e capace come Varg Vikerness è sinceramente lecito aspettarsi di più.


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Lineup

Varg Vikernes: vocals, all instruments

TRACKLIST

1.  Blóðstokkinn 

2.  Jóln 

3.  Alfadanz 

4.  Hit helga Tré 

5.  Æra 

6.  Heiðr 

7.  Valgaldr 

8.  Galgviðr 

9.  Surtr Sunnan 

10. Gullaldr 

11. Níðhöggr   

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