Recensione: Underworld

Di Leonardo Arci - 6 Dicembre 2005 - 0:00
Underworld
Etichetta:
Genere:
Anno: 2005
Nazione:
Scopri tutti i dettagli dell'album
64

I precedenti lavori di questa band svedese dedita ad un power/heavy metal piuttosto canonico e monocorde non avevano destato grande interesse nel sottoscritto, anzi, forti erano le critiche che espressi anche su questo sito, motivo per cui mi sono avvicinato all’ascolto di questo quarto full-length del combo capitanato dal singer e chitarrista L-G Person con una certa diffidenza, certo di trovarmi di fronte all’ennesima uscita trascurabile in ambito power. Nulla di più sbagliato.

La band finalmente riesce a sopperire a quell’atavica mancanza di appeal e di pathos, peculiarità che non dovrebbero mancare mai in un disco di musica metal, che ha caratterizzato le uscite precedenti targate The Storyteller. Questa volta la musica si lascia apprezzare grazie anche alla sapiente alternanza fra tracce più sostenute e capitoli più cadenzati e riflessivi, alla presenza di qualche novità inaspettata, come l’inserimento di parti di violino nella complessa ma accessibile The Fiddler, ad un’atmosfera complessiva finalmente coinvolgente, ad un songwriting non originalissimo ma evidentemente maturo e riconoscibile e a delle liriche epicheggianti che mi hanno ricordato ora i Blind Guardian, ora gli Hammerfall.

Il disco si apre con Changeling, introdotta da un intreccio di basso che mi ha riportato alla memoria l’intro di When the sinner degli Helloween. La traccia è un mid tempo particolarmente riuscito, le chitarre sono in piena evidenza con un riffing costante ed asciutto sul quale si innesta la voce potente ma un po’ troppo monocorde di Person, il chorus centrale risulta particolarmente azzeccato, facilmente memorizzabile e catchy, davvero una bella opener. La successiva Eyes of the dead è più sostenuta, i ritmi sono sapientemente miscelati ed alternati conferendo alla traccia originalità ed imprevedibilità che ne costituiscono il maggiore punto di forza, il singer si lancia opportunamente in un acuto finale sperimentando tonalità più alte e variando un cantato che per il 90% della durata del disco si assesta su toni medi. La già citata The Fiddler esordisce con un solo di violino lasciando intuire la volontà della band di cimentarsi in una composizione più elaborata e ricercata, dai tratti fortemente malinconici e folkeggianti e dai ritmi piuttosto bassi, una canzone strutturata sugli stilemi tipici di certe doom songs, una piccola gemma di heavy metal vecchio stampo. Watcher in the deep è una cavalcata in perfetto power heavy sulla scia di quanto composto da Running Wild e da Blind Guardian, soprattutto per certi cori epici e decisamente accattivanti e per l’assolo di chitarra sprigionato a metà traccia, magistralmente eseguito.Your time has come è l’immancabile ballad di rito, una traccia dall’anima medievaleggiante che risente fin troppo dell’influenza dei già citati Blind Guardian; tuttavia la canzone non annoia affatto per l’inevitabile effetto dejà-vu, risulta anzi molto gradevole, purtroppo la traccia dura meno di 3 minuti, per cui veniamo irrimediabilmente bombardati dalla successiva Beauty is the beast, traccia compatta e rocciosa, ben strutturata e sviluppata su un riffing grezzo e tagliente, su tempi sostenuti e con cori cari agli Hammerfall di Glory to the brave. Underworld sembra estratta da un cd degli Edguy, soprattutto nel bridge e nel chorus tornano alla mente certe influenze del metal teutonico degli anni ’90, la canzone si presenta piuttosto sostenuta ma mai iperveloce e fastidiosa, forse avrebbe dovuto osare un po’ di più nell’affrancarsi da un certo tipo di metal già ampiamente sperimentato, ma si tratta di una pecca di secondo piano. Magic Elements è a mio avviso la migliore traccia del lotto, sorprende per la sua freschezza e per la sua forza coinvolgente, si tratta di una happy metal song in doppia cassa, molto melodica ed orecchiabile dall’atmosfera complessiva riconducibile a certi lavori dei primi Helloween, l’assolo di chitarra centrale, infatti, sembra uscito dalla mente perversa di sua maestà Kai Hansen. Certo, Person non ha nulla a che fare con Kiske, ma le linee vocali risultano ugualmente suggestive. Shine on riporta l’album su ritmi più cadenzati, francamente questa canzone non mi ha convinto per nulla, il coro centrale è banale ed insipido, senza mordente né forza, una composizione nella quale la band appare addirittura svogliata. Il disco si chiude con la cover dei Motorhead, Ace of Spades, anche su questa traccia la band non offre una grande prestazione (probabilmente pesa il confronto inevitabile con la versione originale), mi sento di poter affermare che trattasi di un riempitivo e di una mossa commerciale, nulla più.

La band ha mostrato in questo quarto capitolo della propria discografia di essere sulla strada giusta per raggiungere una propria definitiva identità musicale. Certo, il lavoro da compiere appare ancora molto, ma la band sembra non aver voglia di correre; il songwriting, non particolarmente originale ed ispirato, mostra i segni di una crescita verso una personalizzazione della propria proposta, il sound è facilmente riconoscibile e le canzoni quasi tutte semplici ed immediate. Buon passo in avanti.

Leonardo ‘kowal80’ Arci

Tracklist:

01. Changeling
02. Eyes of the Dead
03. The Fiddler
04. Watcher in the Deep
05. Your time has come
06. Beauty is the Beast
07. Underworld
08. Magic Elements
09. Shine On
10. Ace of Spades

Ultimi album di The Storyteller

Genere: Power 
Anno: 2015
60
Genere:
Anno: 2005
64
Genere:
Anno: 2002
40