Recensione: Unfold

Di Luca Montini - 19 Gennaio 2014 - 1:00
Unfold
Band: Almah
Etichetta: Scarlet Records
Genere:
Anno: 2013
Nazione:
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65

Dismessi i panni di cantante degli Angra a metà del 2012, Eduardo “Edu” Falaschi, classe 1972, si trova giocoforza costretto a concentrare tutto il suo talento di songwriter, composer e producer nel progetto Almah. Un progetto con un background già solido, nato nel 2006 con gli stilemi di un power metal classico declinato poi nell’ultimo periodo verso derive più dure e moderne. In questo contesto “sboccia” Unfold, ed in esso l’autore riversa ogni lato del suo istrionico carattere: genio e sregolatezza al servizio del nostro genere preferito. Riuscirà il nostro eroe a superare la pressione della situazione?

Apertura un po’ sonnecchiante, in verità: “In my Sleep” cavalca su una ritmica serrata, con un lavoro di basso e chitarre decisamente inconsueto tra speed, thrash e il prog, anche se il compositore sembra essersi scordato la melodia, un po’ claudicante e semplice e con un ritornello che non decolla… Alzano il ritmo “Beware the Stroke” e “Hostage”, col loro stile thrashy a risvegliare dal sonno, la strofa sincopata tra durezza e melodie in entrambi i casi suona quasi Metallica con spruzzate progressive; manca forse di nuovo il ritornello memorabile ma poco male.
Si placano i venti con “Warm Wind”, ballad romantica e positiva, di notevole impatto che riesce ad imporsi e riecheggiare nella mente anche ore dopo l’ascolto, tra il calore dell’amore puro cantato nelle liriche e quello del rassicurante vento delle coste sudamericane, a pochi chilometri dalla natìa São Paulo.
Raise the Sun” punta tutto sul ritornello catchy accompagnato dal pianoforte, con le chitarre affilate di Marcelo Barbosa che svolgono un gran lavoro; come del resto in tutto l’album.
Molto simpatica “Cannibals in suits” tra voci irate e di nuovo lo stile thrashy già visto in precedenza, epico l’assolo; ma il vero talento del Falaschi eccelle nei brani melodici, ed in questo le successive “Wings of Revolution”, “Believer” e la power-ballad “I Do”, seppur in maniera molto differente, riescono a cogliere nel segno, grazie ad una presa molto diretta ed incisiva dalla strofa al ritornello. Discorso differente per “You gotta stand”, un po’ stereotipata da ascrivere tra i filler.
Ad un passo dall’epilogo col suo arpeggio onirico in apertura, “Treasure of the Gods” è la lunga e complessa suite finale; molteplici e ben percepibili i richiami in apertura a “Spread Your Fire” da quel capolavoro che è Temple of Shadows (2004), con un’alternanza tra un sound più graffiante e moderno ed uno più classico di arpeggi e pianoforte. A mio avviso il pezzo più interessante della breve carriera degli Almah.
Chiude la ballad “Farewell” (gran titolo per un brano di chiusura), un triste addio per un amore perduto, ma anche un nuovo inizio… metafora lirica sul passato e sul futuro dell’autore?

Nello scrigno musicale di “Unfold” è protagonista la voce di Edu; c’è e si fa sentire in tutti i suoi colori, ma non si spinge mai oltre il dovuto verso l’alto come in passato, evidente segno di maturità, ma anche per scampare il facile pericolo di strafare, in particolare in questo periodo post-Angra durante il quale la sua voce è esposta a tanti riflettori. A quanto dichiarato, infatti, proprio delle difficoltà vocali furono la prima causa del suo allontanamento dalla band di Loureiro e Bittencourt. In “Unfold” il metal più contemporaneo e pesante del precedente e controverso “Motion” (2011) trova una nuova forma senza rinnegare nulla, in una sintesi tra classico e moderno più risolta, seppure ancora non del tutto definita nelle sue caratteristiche essenziali. Uno stile che sta ancora sbocciando, proprio come suggeriscono titolo ed artwork dell’album, a petali spiegati per irradiarci coi suoi effluvi. In definitiva, questo è un disco che non mancherà di mandare in visibilio i fan di Falaschi e degli Angra del “secondo decennio”, mancando d’altra parte l’obiettivo di imporsi come opera organica ben definita ed appetibile per una più ampia fetta di pubblico. Una grande carica di energia, velocità e passione, un disco dal cuore latino e dal sangue caliente, tra power brasiliano, heavy metal contemporaneo e ballad dal sapore antico.
 

“With memories I walk on, drift along
Our history just has begun…”

 

Luca “Montsteen” Montini

…discutine nella sezione relativa al Power Metal!

 

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