Recensione: Unholy Retribution

Ho scoperto per caso, dando un’occhiata ai social (grazie Orso), l’uscita del qui presente “Unholy Retribution”, nuovo lavoro dei brasiliani Violator. La ragione è da ricercarsi – oltre che nella mia disattenzione, ovviamente – anche nel fatto che i nostri baldi ragazzuoli latitavano da un po’ dalle scene: l’ultimo album da studio dei nostri, “Scenarios of Brutality”, era infatti datato 2013. Da allora un EP, un paio di live, uno split e poco altro, che mi avevano fatto perdere le tracce dell’iracondo quartetto sudamericano. Per fortuna i Violator sono tornati belli carichi, e con questo “Unholy Retribution” ci ricordano perché, quando si parla di thrash metal, non ci si deve mai dimenticare della compagine di Brasilia.
Fanno thrash della vecchia scuola, i Violator, e lo fanno dannatamente bene: voce strafottente, riff taglienti e dinamici, ritmiche frastagliate, atmosfere malsane, melodie furiose e sporche, cambi di tempo a pioggia e la giusta quantità di critica sociale (che non risparmia nessuno: si passa dalla pandemia alla situazione politica in Brasile e al conflitto israelo palestinese) sono gli elementi di base della proposta dei nostri, che fa del dinamismo e della foga battagliera e vendicativa il suo marchio di fabbrica. Le influenze dei nostri spaziano da Slayer a Kreator, Possessed e Sepultura – a cui aggiungono elementi black e death per spingere dove serve – ma anziché fungere da mere e stagnanti appropriazioni, queste influenze vengono miscelate alla matrice sonora del quartetto per creare un mix di vecchio e nuovo, una meditata rielaborazione dell’esempio dei maestri. Anche la produzione, che miscela queste sfumature rendendo distinguibile ogni strumento senza far sembrare “Unholy Retribution” né antiquato né plasticoso, aiuta molto in questo senso. Il livello qualitativo si mantiene alto per tutto l’album, grazie a una notevole organicità lungo una scaletta piuttosto variegata ma anche bella tesa e concentrata. Otto tracce, quaranta minuti e spicci di musica spacca denti e poi tutti a casa: otto frustate, una dietro l’altra, che mettono in mostra una forma invidiabile e una fame ancora ben radicata nel DNA dei nostri. “Unholy Retribution” è un lavoro sferzante, isterico, dinamico e rabbioso, ma non dimentica di proporre alternative al cieco martellamento sonoro. Ecco quindi che, di tanto in tanto, rallentamenti di scuola Slayer concedono qualche prezioso attimo di tregua, spostando momentaneamente l’attenzione sul semplice groove (l’incipit di “Rot in Hell”) o dotando i pezzi di qualche accenno incombente o maligno (“The Evil Order”, “Vengeance Storm”). Il resto è un metallo crudele, insistente e vorticoso, dalle velocità normalmente sostenute ma pregne di ulteriori accelerazioni, perfettamente inquadrato dall’accoppiata iniziale “Hang the Merchants of Illusion”/“Cult of Death”: un muro di suono in continua evoluzione, eretto da chitarre instancabili tenute insieme da una sezione ritmica pulsante e bellicosa, i cui cambi di tempo ed atmosfera tengono sempre sul chi vive e colorano ogni brano di sfumature ora sinistre, ora violente, ora minacciose.
Potrei spendere molte altre parole per descrivere “Unholy Retribution”, ma alla fine basta dire che i nostri hanno tirato fuori dal cilindro un lavoro teso, frenetico e giustamente cafone, nonché un robusto concorrente al titolo di disco thrash dell’anno, punto e a capo. Dopo gli Helstar, un altro graditissimo ritorno.