Recensione: Upheaval of Necromancy

Di Daniele D'Adamo - 26 Dicembre 2025 - 12:00
Upheaval of Necromancy
Etichetta: Xtreem Music
Genere: Death 
Anno: 2025
Nazione:
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Dalla Colombia arrivano i Funeral Vomit con il loro nuovo full-length, “Upheaval of Necromancy“, seconda uscita dopo “Monumental Putrescence”, del 2023.

Le formazioni sudamericane, escluso rari casi, si dilettano nel proporre thrash e death metal primordiale. Quelli che, successivamente, si sono evoluti nelle sembianze note oggigiorno. Non c’è una spiegazione precisa, in questa volontà di restare intrappolati nell’old school all’interno del perimetro territoriale del Sud America. Forse, si tratta di essersi assimilati agli embrioni dei Sepultura, Sarcofago, ecc. Una sorta di eredità, insomma, volta a salvaguardare un sound che altrimenti sarebbe già sparito dallla faccia della Terra.

E, bisogna dirlo, i Funeral Vomit seguono appieno questa filosofia, mettendoci comunque del loro per dar vita a un death metal volutamente rozzo, involuto e cattivo, che entra nelle ossa grazie a inserimenti ambient – “Intro (The Disentombment)“, “Interlude (Mortuary Ecstasy)“, “Outro (Effluvia of the Mass Grave)” – che, oltre ai canonici intro e outro, si trovano un po’ dappertutto. Il che li aiuta a creare un’atmosfera cupa, morbosa, catacombale; tenuto conto che le tematiche, le quali sono sempre le solite (tanfo ovunque, miasmi provenienti da cadaveri in decomposizione, ecc.), danno il loro fattivo contributo in ordine alla composizione molecolare dell’atmosfera suddetta.

Upheaval of Necromancy” è, allora, una specie di recipiente contenente sì budella, sì corpi disfatti, sì tanfo da cripta, ma anche un disco prodotto molto bene, a livello professionale insomma – e questo grazie alla Xtreem Music. Produzione che regala un suono pulito, all’interno del quale è facile seguire il lavoro di ogni singolo musicista.

A tal proposito è necessario menzionare per primo il chitarrista / cantante C. Monsalve, dotato di un growling a sua volta putrido, roco, cavernoso, che contribuisce fattivamente alla rifinitura dello stile della sua band pur essendo totalmente monocorde. Il riffing creato assieme a Y. Lopez è in linea con quanto più su menzionato: fradicio, zanzaroso, anche se il suo impatto sonoro non è particolarmente elevato. Quasi come fosse in secondo piano al resto della compagine. Malgrado ciò, le sei corde obbediscono formalmente e sostanzialmente al concetto musicale che impregna l’LP.

A bombardare senza pietà, invece, ci pensa H. Montaño, le cui linee di basso rombano come una tempesta di tuoni in sottofondo, mantenendo viva e palpabile, con continuità, la sua presenza all’interno del sound del combo di Barranquilla. Accanto a lui, J. Carvajal, drummer preciso e possente, che varia fra i BPM, più spesso assestati su mid e up-tempo, non disdegnando di scatenare la bestiale furia dei blast-beats (“Sulphuric Regurgitation“). I quali non fanno parte dell’old school, se si vuole spaccare il pelo in due. Tuttavia l’epoca è quella del 2025, per cui qualcosa di nuovo non poteva mancare.

E a proposito di ritmo, bisogna sottolineare che, quando esso si abbassa agli slow-tempo, diventa evidente il richiamo al doom (“Winds of Exhumation“). Si tratta solo di una percezione temporanea, che non sposta di una virgola quello che è lo stile dei colombiani. Percezione che, invero, almeno a parere di scrive, non risulta granché piacevole per via della mancanza di quel quid in più tale da renderlo interessante.

Come non sono particolarmente interessanti le varie canzoni. Fra esse, le migliori sono quelle ambient più su citate. Il che è tutto dire. A peggiorare la situazione, ancora, esse assommano cliché triti e ritriti, sia per la sezione prettamente musicale, sia per quella testuale. Malgrado l’impegno dei quattro ragazzi, e la loro innegabile passione, dopo pochi passaggi compare la noia, arcigna mietitrice delle opere musicali.

Quindi, riassumendo, seppure sia stata tirata fuori l’anima primordiale dell’old school death metal, e che la stessa sia stata lavorata per bene dai Funeral Vomit, la povertà del songwriting rende “Monumental Putrescence” incapace di raggiungere la sufficienza.

Solo per super-appassionati del (guasto) genere.

Daniele “dani66” D’Adamo

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