Recensione: Urminnes Havd

Di Daniele Balestrieri - 11 Luglio 2006 - 0:00
Urminnes Havd
Band: Månegarm
Etichetta:
Genere:
Anno: 2006
Nazione:
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79

Rieccoli i Månegarm, e stavolta con l’EP di rito, un classico per le pagan/folk band scandinave d’ultima generazione. La band svedese ha davvero poco bisogno di presentazione: dopo Havets Vargar, considerato da molti il picco della loro produzione, si sono davvero adoperati per diventare una delle band di spicco sfornando una fitta serie di album, tra i quali è compresa anche la raccolta dei loro due demo.
Poco dopo il discusso Vredens Tid quindi dobbiamo fare i conti con quel capitolo in cui i Månegarm abbandonano la strada principale per intraprendere un sentiero roccioso, bordato di alberi, che rappresenta la natura più spiccatamente folk della loro produzione.

Album completamente acustico, Urminnes Havd non è molto più di un semplice inciso nella produzione dei principi del pagan, un inciso fatto di voci pulite maschili e femminili, percussioni tribali, violini, flauti, violoncelli e chitarre classiche. Speranzosi probabilmente di ripetere il successo esplosivo di Visor om Slutet dei Finntroll, gli svedesi ce l’hanno messa tutta per ricreare un ambiente magico, a cavallo tra il perduto e il medievale, composto da ritmi in parte incalzanti e in parte delicati e introspettivi.

La tonante intro fa immediatamente pensare a un altro capitolo del folk mitteleuropeo, Buchonia dei Menhir, con il quale però non spartisce l’estrema lentezza e melodicità. Al contrario, già con “Himmelsfursten” e “Utfard” incalzano ritmi tribali, da locanda sperduta in pieno medioevo, con riff estremamente orecchiabili e buone sequenze che rendono difficile il mantenere entrambi i piedi fermi durante l’ascolto. Lo scambio continuo tra voci maschili e femminili è sempre ben orchestrato, e molti dei passaggi più centrati ricordano abbastanza da vicino gli exploit di Vredens Tid, l’album finora più folk della loro produzione.
L’EP è un susseguirsi di antichi strumenti in combutta con munnharpe e timpani, mai troppo scontati grazie a piccole inserzioni di rumori come il crepitio delle fiamme, il frinire dei grilli e il gorgogliare dei tuoni in lontananza.

Anche se sarebbe facile avvicinarlo al piccolo capolavoro dei Finntroll, è bene notare che quelle contenute in quest’album sono tutte tracce cantate, a differenza dei lunghi intermezzi ambientali di Visor om Slutet. Inoltre, è stata mantenuta con una certa perizia la firma “Månegarm”, che vuole pezzi leggermente oscuri, per quanto leggeri, a differenza delle esplosioni di euforia dei Finntroll che assumono comunque connotati a tratti grotteschi e a tratti canzonatori. Produzione alle stelle, grazie anche alle sapienti mani della Displeased Records che con quest’album si accomiata da una delle proprie band di punta, e libretto ben articolato – anche se leggermente spoglio – adornato da una splendida copertina che rende giusto omaggio alla fine tradizione artistica di tutta la produzione Månegarm.
Grazie a una solida, solidissima base di fans devoti e un percorso professionale impeccabile, sicuramente questo piccolo EP farà parlare di sé, quantomeno nell’ambiente pagan europeo, in attesa forse di quel botto che ha reso fortunati i troll finlandesi e che attende anche i Månegarm, se accolti tra le giuste mani.

Fate vostra questa piccola, breve e incisiva perla, perché nel lungo cammino ghiacciato del black pagan, a volte è corroborante fermarsi per una notte in una taverna impazzita, di fronte a un bel fuoco e a un buon boccale di birra.

TRACKLIST:

1. Intro
2. Himmelsfursten
3. Utfård
4. ?lvatrans
5. Hemkomst
6. Döden
7. Vaggvisa

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