Recensione: Vanexa [Reissue]

Di Stefano Ricetti - 14 Marzo 2007 - 0:00
Vanexa [Reissue]
Band: Vanexa
Etichetta:
Genere:
Anno: 2006
Nazione:
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90

Come ormai anche i sassi sanno, a cavallo fra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, in Inghilterra nacque e si sviluppò spontaneamente la New Wave of British Heavy Metal, il movimento musicale e di costume più importante in assoluto riguardo la  nostra amata musica di tutta la storia. Anche in Italia, come nel resto del mondo, il verbo della NWOBHM iniziava ad ammorbare l’aria e quattro ragazzi del savonese, inebriati dal profumo portato dai venti britannici, nel 1979 costituirono una fra le primissime HM band italiane che, al contrario dei colleghi più legati a stilemi blues ed hard rock, fu l’antesignana delle sonorità anglosassoni sopra menzionate.

Ancora oggi, sentendo il primo disco dei Vanexa, a stento si crede che non sia stato realizzato da una band di Sheffield piuttosto che di Leeds e non a caso la rivista Rockerilla, unico e inimitabile riferimento per i metalhead italiani all’epoca, li etichettò come la risposta italiana ai Saxon. La formazione vedeva Silvano “Syl” Bottari dietro le pelli, Sergio Pagnacco al basso, Roberto Merlone alla solista e Marco “Spino” Spinelli alla voce. Grazie alla grande intuizione di Marco Melzi, mastermind della rinata Minotauro Records, “Vanexa” ri-esce in Cd, in quantitativi finalmente ragguardevoli e in confezione con esterno cartonata. Infatti, qualche anno fa, precisamente nel 1995, il debutto dei liguri vide la luce su dischetto ottico ma in tiratura limitata, rendendo così quasi introvabile quella release, subendo la stessa sorte della versione in vinile.    
   
VANEXA
Si parte con Metal City Rockers: uno sferragliare animale di chitarra spiana la strada al vocalist Spino, mattatore insieme all’ascia di Roberto Merlone di questo brano fottutamente british HM carico di una velocità spropositata per chi fino ad allora si era dovuto “accontentare” dei mostri sacri dell’hard rock dei Seventies. Nella traccia successiva un riff classicissimo doppiato dal cantato vene interrotto dal chorus “Lost War Sons” che per i puristi avrebbe potuto essere po’ più “pieno” ma la produzione dell’epoca in Italia si sa quello che fosse. A metà pezzo i Vanexa improvvisano un ideale batti e ribatti con il pubblico, idea originale per quei tempi, per poi finire il brano a la Motorhead.

Come il manuale del giovane metallaro insegna un altro gran riff di chitarra è posto all’inizio di I Wanna See Fires, traccia che poi si sviluppa su ritmi più rock ‘n’ roll (di quelli robusti però) che non heavy metal. Da sottolineare il gran lavoro dell’inossidabile e granitica sezione ritmica dei Vanexa Bottari/Pagnacco (da sempre uno dei punti di forza del gruppo). In 1.000 Nights il ritmo si fa forsennato, al limite del nascente speed metal (chi ha detto Exciter?) e il singer Spinelli dà tutto quello che può: che mazzata! Grandi Vanexa, Grande Metallo! Il basso martellante di Pagnacco inseguito dalla chitarra di Merlone introduce If You Fear The Night che ricorda molto nell’incedere The Eagle Has Landed dei cugini d’oltremanica Saxon (…ma và?). Si tratta di  un mid tempo che fin dal primo ascolto in quel lontano 1983 mi è rimasto subito impresso grazie anche all’interpretazione del vocalist che, lungi dall’essere un fuoriclasse, (ricordiamoci chi c’era in giro in quel periodo in Inghilterra e negli USA) dimostra di saper cantare oltre che urlare.

Si arriva quindi ad Across The Ruins, il lento strumentale del lotto, che parte con un arpeggio di chitarra acustica suadente accompagnato dalle note di  violino di Giuseppe Merlone fino a che il ritmo non si fa più energico, con la chitarra a menare le danze pregna di un feeling anni Ottanta che ahimè ormai non si trova quasi più da nessuna parte. Si chiude con uno dei cavalli di battaglia dei liguri: Rainbow In The Night. Cavalcate ferocemente NWOBHM dettano legge fino all’esplosione (invero contenuta) del chorus inneggiante al “Rainbow in The Night”: uno dei pezzi migliori di tutto il Cd, senza dubbio. L’epilogo del brano vede Spino superarsi nell’urlo finale e nelle cascate di chitarra  che chiudono degnamente questo lavoro. Una curiosità che mi confidò Syl: nell’ultimo concerto dei Vanexa della loro storia presso un pub della Mandolossa in provincia di Brescia, dopo che i nostri avevano rotto gli strumenti, l’estasiato pubblico continuò ad intonare il coro “Rainbow In The Night” per parecchio tempo. Purtroppo per l’HM italiano quella notte lombarda fu il canto del cigno per i Vanexa.

 

L’edizione in vinile, dall’infelice copertina (i Vanexa badavano al sodo tralasciando gli aspetti di marketing), uscì in diverse colorazioni di fondo: azzurrina, bianca e verdolina. Quella della Minotauro presenta la colorazione con sfondo azzurro e, come la versione 1995, è impreziosita da ben tre bonus track, tutt’altro che dei filler: Sunshine in Her Eyes, One Night Women e Rebellion, che si muovono sulla falsariga del materiale sopra recensito. La resa sonora generale, come per il successivo Back from the Ruins – già recensito su TrueMetal – è dignitosa e ben bilanciata, permettendo di non perdersi un briciolo del profumo “NWOIHM pour Defender”… ah,ah,ah!      

I Vanexa, musicalmente parlando, rappresentano una gloria nazionale da non dimenticare. La passione, il credo ed il piglio di questi quattro metallari ha avuto pochi uguali nella penisola e, nonostante si siano sciolti da più di due lustri, molti ne sentono ancora la mancanza…  

Stefano “Steven Rich” Ricetti

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