Recensione: Varjoissa

Di Manuele Marconi - 19 Gennaio 2022 - 17:10
Varjoissa
Etichetta: Misantropia Records
Genere: Black 
Anno: 2021
Nazione:
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85

Ogni anno ci troviamo ad ascoltare ed analizzare un’infinità di dischi; produzioni che nel mare magnum musicale moderno, intriso di streaming e piattaforme online, è diventato accessibile davvero a tutti. Per questo motivo, è diventato davvero difficile riuscire non solo a distinguersi da un lato, ma anche a rimanere colpiti dall’altro, da prestazioni via via sempre più simili fra loro. In questo lo stile del black metal anni ’80 a sua volta non aiuta: genere grezzo, sporco e acerbo per definizione; la sua semplicità risulta un’arma a doppio taglio, esattamente come la facilità di accesso alla musica di oggi (barriere all’ingresso del mercato pressoché nulle, ma difficoltà enormi nel creare qualcosa di notevole). Più passano gli anni e più si sviluppano altre correnti, altri stili, perché si ritiene che ciò che già è stato fatto abbia saturato quegli spartiti…fino a che non si trova l’ispirazione, l’idea giusta. Di questa idea si tratta quando si parla di “Varjoissa”, album di debutto del finlandese Wragnr sotto lo pseudonimo di Deceiver Legion, che si getta sulla scena musicale nel 2021, dopo un paio di demo di rodaggio nel 2020.

L’opener si presenta con una serie di urla demoniache che squarciano l’atmosfera, accompagnate da un riffing pungente e da tastiere molto evocative, che non lasciano respiro all’ascoltatore, che viene travolto da un muro sonoro infernale proprio dei grandi del genere. Ancora frastornati dall’apertura del disco, si arriva a passi svelti alla title track, che presenta un riff portante davvero notevole. Lavoro di chitarra in generale fresco, accattivante e catchy ma contemporaneamente cupo. Peculiarità qui – ma non solo – presente è la sensazione che il brano sia finito, mentre invece ne comincia la seconda parte che non cede il passo, ed anzi, risulta ispirata tanto quanto la prima, ma diversa. Qualità altissima. “Mustavalkoinen kangas” inizia a ritmi non particolarmente serrati, ma incalzanti. Brano ispirato e più d’atmosfera rispetto agli altri, arricchisce il disco e spezza il ritmo finché può: Wrangr non resiste ad una sommessa scorribanda in blast beat accompagnata da tastiere sognanti. Chiaramente la calma non poteva durare troppo, e pur arricchendo molto il disco e donando profondità, la cattiveria chiama: “ Paradoksi” spara nelle orecchie dell’ascoltatore un blast beat fin da subito. Pezzo quindi più aggressivo del precedente, con riffing tenebroso e d’atmosfera. Verso metà ci si riposa; dinamica ottima che cattura l’ascoltatore, come in tutti i brani: semplicemente suoni giusti al posto giusto. Abbiamo a chiudere il lavoro il brano finale di 11 minuti, “Helvetti”, spesso la sfida più grande di questo genere di album. Qui invece abbiamo un esempio perfetto di come si gestiscono questo genere di composizioni: dinamica, varietà e abbondanza di soluzioni. Cambi di ritmo, cambi di riff, voce assolutamente non monotona. Questi 11 minuti potrebbero essere tranquillamente metà album di tanti gruppetti dozzinali.

L’album si risolve così nei suoi 45 minuti di puro suono vecchia scuola con uno scream mai piatto e banale ed una produzione sporca quanto basta per essere vera. Le fonti d’ispirazione sono abbastanza riconoscibili: parliamo di un mix fra i primi Darkthrone, gli Immortal fino a “At the heart of winter” e gli Emperor di “Wrath of the tyrant” e “In the nightside eclipse”. Purtroppo il disco non è (ancora?) disponibile su spotify e simili, ma è facilmente rintracciabile su YouTube. Un consiglio? Dategli un ascolto.

La tradizione è identità e la fiamma nera (seppur flebile) è ancora viva.

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