Recensione: Versus the World

Di Daniele Balestrieri - 25 Dicembre 2002 - 0:00
Versus the World
Band: Amon Amarth
Etichetta:
Genere:
Anno: 2002
Nazione:
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91

Versus the World. Non ho scelto a caso questo giorno per pubblicare la recensione dell’ultima fatica degli Amon Amarth, dopo migliaia di ascolti, per cogliere la più piccola flessione del magnifico quintetto svedese, brutale araldo del viking metal incanalato nel possente flusso del death metal svedese.

È difficile iniziare a parlare di un album tanto importante, ma da qualche parte bisogna pur cominciare, e cominciamo dicendo che Versus the World è un album 100% Amon Amarth. È incredibile come risalti all’istante l’eredità di tale lavoro, dal primo accordo, dal primo maledetto accordo della prima canzone solo una parola mi è saltata in mente: Amon Amarth. È loro quella distorsione, è loro quella batteria martellante. Abbiamo dunque di fronte un album che non rappresenta una svolta epocale nella produzione di questa band: Versus the World è una palese riconferma dell’altissima qualità che ha sempre caratterizzato i loro pezzi. Insomma, solo tecnicamente, questo album vale la pena di essere acquistato, e non solo perché da ogni traccia trasuda l’ormai conclamata maestria nell’uso degli strumenti e della composizione, ma anche perché concettualmente non è stato abbandonato quel sentiero battuto sin da Sorrow throughout the Nine Worlds.

È infatti loro prerogativa quel mix abbastanza singolare di tematiche nelle canzoni. Al richiamo prettamente tolkeniano del nome della band, che non evitano di ribadire persino nella title track, gli Amon Amarth affiancano l’estrema brutalità delle tematiche belliche ai cospicui richiami mitologici e all’amaro anticattolicesimo, da sempre vessillo che ha conferito splendore ed epos a decine di band viking metal, dal padre Bathory alle ultime band emergenti.

Quest’ultimo album, come già detto, non fa eccezione: le canzoni hanno sempre qualcosa da dire, e questa volta molto viene detto, e detto in stile “Once Sent from the Golden Hall”. Mi permetto di disturbare il loro capolavoro per constatare qualcosa di molto importante. Con questo album sembra che gli AA si siano scostati dal duetto leggermente asettico Avenger-Crusher per riportarsi alle sontuose tematiche solenni, decadenti e melodiose di Once Sent, pur non perdendo nulla del death brutale e veloce del quale da sempre sono stati profeti.

La partenza è eccellente: “Death in Fire” racchiude in maniera rabbrividente tutte le caratteristiche della band svedese: veloce, scandita da una batteria martellante, con una doppia cassa che si allinea ai battiti del cuore del primo ascolto, con un Johan Hegg in grande forma che ci presenta un growling profondissimo e di gran lunga più espressivo di quello ascoltato in The Crusher, un simbolo di maturità artistica ormai tecnicamente raggiunta. Una rapida scorsa al testo per capire che ancora tutto questo album è una grande marcia di guerra, intrisa di sangue e immersa in pieno nella mitologia nordica. Non si cambia registro in “For the Stabwounds in our Backs”, dove le melodie articolate di Death in Fire lasciano lo spazio a un death più diretto, figlio delle tracce del tramonto di The Crusher, forse l’unica canzone che mantiene un legame così diretto con l’ultimo album prima di questo. Tutto probabilmente per lasciare spazio a una coppia fenomenale di tracce, “Where Silent Gods Stand Guard” e “Versus the World”, un continuum di melodioso e drammatico ricordo del massacro, ora del Ragnarok, e ora del dio dei Cristiani. Nella prima, di enorme impatto epico, le chitarre sorde seguono il percorso solenne del basso, che in entrambe le canzoni entra in risonanza con la batteria, creando dei brevi momenti quasi lirici che esaltano la drammaticità di entrambe le canzoni, che in Versus the World raggiungono quell’aspetto “tribale” che tanti gruppi hanno acquisito in questi ultimi anni (con alterne fortune), Einherjer e Thyrfing su tutti. Alla metà dell’album rintocca solenne “Across the Rainbow Bridge”, un riposo spirituale, sordo, in cui Hegg si cimenta in una prova di growling sostenuto che riesce a caratterizzare da solo quella che forse è la canzone più melodiosa, e tragica, dell’intero album. Il tentativo di concept prosegue con “Down the Slopes of Death”, che raccoglie a piene mani la preparazione del guerriero che dovrà attraversare il ponte Bifrost per gettarlo all’inizio del Ragnarok, con le orecchie assordate dal risuonare del corno di Heimdall, di cui è quasi percepibile il richiamo nella chitarra atona che accompagna l’ascolto della successiva, “Thousand Years of Oppression“, ringhio cupo e drammatico come il fragore continuo e lamentoso del corno, come un fischio, un acufene che ricorda che la vera fine del mondo degli déi pagani non è la rinascita del nuovo mondo, come ci insegnano anche gli Einherjer, ma i mille anni di oppressione del “dio che nel nome della misericordia ha versato il nostro sangue”. È la fine, la liberazione, una canzone che ci regala dei momenti drammaticissimi di silenzio e di tumultuosa discesa verso il massacro finale, rappresentato dalla coppia “Bloodshed” e “…and Soon the World will Cease to be”, che ben si pongono come finale e antifinale comuni a molti album di black/death viking. Finale rappresentato da una canzone cruda e cupa come Bloodshed e una più leggera e articolata come l’ultima menzionata, tutte e due comunque sincere nel classico stile Viking brutale che contrassegna ormai la produzione della grande band svedese.

Spossato dall’ascolto di questo album così vario, drammatico e distruttivo mi piacerebbe fermarmi qui. Eppure devo ricominciare da capo.

Non contenti di aver coniato un grande Versus the World, gli Amon Amarth ci presentano una versione digipak di grande pregio, la quale contiene un secondo CD con la collezione di tutti e tre i demo degli Amon Amarth, compreso il famoso Thor Arise, da sempre considerato oggetto di culto introvabile, tanto che la band fu costretta a includere l’omonima track nel digipak di The Avenger, sotto pressante richiesta dei fans europei.

Il secondo CD inizia con “Siegreicher Marsch”, a dire la versione in tedesco di Victorious March, da sempre considerata cavallo di battaglia della band, la cui versione originale si trova, neanche a dirlo, in Once Sent from the Golden Hall. Questa versione è leggermente più marziale, e vanta un growling primordiale di un Hegg che rappresenta, stavolta, il vero anello di congiunzione tra i moderni Amon Amarth e il primo Death Svedese, una grandissima scuola che ha influenzato gli Amon Amarth disperati di Sorrow Throughout the Nine Worlds, che segue a ruota Siegreicher Marsch. Inutile soffermarsi su quanto sia di gran valore ascoltare le radici di una band tanto influente nel panorama Viking, specialmente quando ci viene presentata anche nella registrazione sorda che tanto è stata apprezzata nei primi anni novanta.

Davvero degne di nota, nell’orgia death brutalissima del secondo CD, la versione di “Without Fear” contenuta nel frammento di “Arrival of the Fimbul Winter”, che ci mostra l’aspetto più dannatamente thrash di quello che è il loro secondo cavallo di battaglia, intrappolato in un turbinio di screaming e di doppia cassa davvero ai limiti del respiro. C’è da rimanere davvero sbalorditi da tanta ricchezza, specialmente laddove ci presentano il primo demo, un’orgia ai limiti della follia di suoni ai limiti dell’estremo, un brutal cupo, velocissimo, martellante, gorgogliante, assordante, con un growling estremo, come un mostro che cammina divorando tutto ciò che incontra, e basti un semplice ascolto di “Army of Darkness”, un’esperienza forse pari all’immersione nella parte più attiva di un uragano. Concludono questo tour di quasi due ore la leggendaria “Thor Arise” e una cupa cover growlata e indemoniata di Sabbath Bloody Sabbath degli immortali Black Sabbath.

Cosa dire alla fine di questa estenuante immersione in Versus the World…?

Gli Amon Amarth si sono riconfermati maestri nell’arte del Viking e sapienti dosatori delle loro possibilità, creando delle misture alchemiche di velocità e brutalità death tormentate da tematiche degne del genere e teorie interessanti. Guardiamo questa produzione da tutti i lati: l’assenza dell’Abyss non si nota, francamente. La registrazione è avvenuta agli Berno Studios, che probabilmente hanno limitato i ritardi che invece furono accumulati prima dell’uscita di The Crusher. Odino fulmini chi assegna a questo album uno dei problemi del death, ovvero la monotonia. Versus the World trasuda ricchezza compositiva da ogni traccia, creando delle sonorità uniche che difficilmente si ripetono tra di loro, pur mantenendo inalterato lo spirito quasi grottesco che è ormai marchio di fabbrica degli Amon Amarth. Ogni canzone è stata costruita con abilità certosina, in ogni battuta sono state aggiunte piccole variazioni dei temi portanti, dei ritornelli, e le parole diventano musica in più di una occasione, nella preghiera di “Across the Rainbow Bridge” o nel giuramento di Thousand years of Oppression.

Versus the World è un’opera da sentire, non da ascoltare. L’ascolto che vola non gli renderà mai giustizia, ed è questo il dramma di chi giudica troppo presto. Per Versus the World ci vuole tempo, ogni fibra di questo album deve penetrare nel sangue, deve arrivare al cervello, stordendolo non solo con la maestria degli strumentisti e con la grande espressività di Hegg, ma anche con l’assordante, incredibile batteria di Fredrik Andersson, che ancora una volta, e non mi stancherò mai di farlo notare, è sceso in terra da Asgaard per donare la sua abilità disumana al Viking Metal.

Chi cerca la pura innovazione dovrà rivolgere la propria attenzione altrove, questo non è il genere adatto.

Chi ama il death scandinavo brutale con varietà da vendere, chi ama il growling di grande impatto, le tematiche vichinghe (non particolarmente ricercate in quest’album, comunque), e la grande musica non può ignorare questa uscita, tanto più che l’edizione di lusso, (la “Viking Edition”) che contiene due CD per un totale di 23 tracce, costa l’eccellente somma di 20€, laddove “The Crusher” da solo in edizione normale ne costava tra i 16 e i 18. Non speculare su questa uscita, e anzi “svenderla”, visto il prezzo molto basso, mi ha colpito non poco, è una cosa assolutamente inedita nel mercato triste dei CD metal e non può non passare inosservato e aggiungere grande valore a questa uscita, che vanta anche un artwork di grande prestigio, in puro stile Amon Amarth.

“På Vida Fältet
Härmän Svingat
Det Blanket Svärdet
Och Banen Mött
Till Den Höges Sal
de Iära Förts
Och Vid Mjödet Hör
Odin Kväda”

Tusen Takk, Amon Amarth.

TRACKLIST:

  1. Death In Fire
  2. For The Stabwounds In Our Backs
  3. Where Silent Gods Stand Guard
  4. Vs The World
  5. Across The Rainbow Bridge
  6. Down The Slopes Of Death
  7. Thousand Years Of Oppression
  8. Bloodshed
  9. …And Soon The World Will Cease To Be

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