Recensione: VII

Di Mattia Di Lorenzo - 18 Giugno 2007 - 0:00
VII
Band: At Vance
Etichetta:
Genere:
Anno: 2007
Nazione:
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65

VII. Settimo album in nove anni. L’accento è posto sul dato quantitativo, sin dal titolo. È un numero considerevole, sicuramente! Tanto più che in questi nove anni la qualità è sempre stata molto buona. Ma il titolo nasconde un retrogusto amarognolo: è un titolo rassicuratorio.
Come se la band dicesse: siamo arrivati al settimo album, nonostante tutto quello che è successo; siamo ancora qui in forma, pronti a deliziarvi col nostro “fresco power metal teutonico”.
Se c’è bisogno di rassicurare, non c’è dubbio, significa che qualcosa è successo sul serio! E il “qualcosa” sono i continui cambi di line-up, in particolare nel ruolo vocale: il giovane Rick Altzi succede al noto Mats Leven, a sua volta sostituto del founder Oliver Hartmann.
Due cambi nel ruolo più rappresentativo non sono cosa da poco, e indubbiamente rischiano di minare la compattezza di qualunque band. È così, poco da dire, anche se il leader, il chitarrista Olaf Lenk, è sempre riuscito a mantenere un’ottima coerenza interna nel songwriting riguardo a stile e linguaggio. Sembra insomma che gli At Vance “avanzino” coi piedi di piombo in questo settimo album. E in definitiva il prodotto è solo nella media, discreto.

Le killer-tracks, a scelta della band stessa, sono le radiofoniche “Shiver” e “Cold As Ice”: l’ambito è quello power, ma le influenze heavy melodico sono qui molto spiccate. Un nome che fa capolino è Masterplan, da canzoni molto efficaci come “Kind Hearted Light”. L’esito è buono, un timido passo avanti verso una possibile evoluzione in senso moderno. La voce di Altzi è calda e suadente, i refrain avvincenti, per quanto un po’ ripetitivi. Mats Leven si distingueva di più dalla massa: era più aggressivo ed espressivo. Con Olaf Lenk non andava d’accordo, e questa è stata la sua condanna (v. intervista): ma come voce niente da dire.

L’ambito in cui gli At Vance continuano a dare il meglio di sè, però, è sempre quello power più spinto. L’innovazione praticamente non esiste, ma in un periodo in cui tutti sembrano fuggire dalla tradizione consolidata verso nuovi lidi non sempre certi, sicuramente sono un gruppo degno di nota in quanto a solidità e coerenza. In tal senso va l’opener, “Breaking The Night” canzone molto melodica ma non banale, rappresentante di un power di medio livello, senza fronzoli. Stesso discorso per “Golden Leaves”, dalla struttura linearissima, forse anche troppo. I tempi sono vertiginosi, il ritornello si lascia cantare sin dal primo ascolto. Ma non è certo un capolavoro, essendo peraltro un po’ troppo mielosa.
Molto meglio “Victory” e “Shine”, che abbassano la velocità di qualche tacchetta di metronomo, ma sono meno scontate come scelte compositive, con qualche sezione strumentale degna di nota e arrangiamenti più curati.
Una traccia molto particolare è “Friendly Fire”, canzone hard rock-heavy che si ritaglia un suo spazio ben definito in un album complessivamente poco coraggioso. È una scelta inusuale, che trova gli At Vance abbastanza pronti su un terreno impervio e a facile rischio plagio. È in canzoni come questa che Altzi riesce a dare il suo meglio. Lenk farebbe bene a tenerlo presente per i prossimi dischi. Poco da dire invece su “Truth”, episodio molto breve e alquanto “filler”, che scorre via quasi senza lasciare traccia.

Un elemento molto positivo del cd sono le due belle ballad: “Answer Me”, sempre senza inventare nulla e concedendo parecchio all’ambito hard rock, è molto godibile e di facile assimilazione. I tempi sono abbastanza lenti, ma la sezione ritmica fa il suo dovere nel tenere desta l’attenzione. Il rischio di cadere nella ripetizione e nella noia è ottimamente evitato.
La conclusiva “Lost in Your Love” è la canzone più ispirata di tutto il cd: inizia con uno stupendo tema acustico, sorretto da tastiera e percussioni in atmosfere sognanti. Il preludio è quanto di meglio si possa sperare, strofa e ritornello convincono. Peccato solo che il corpo centrale si richiuda un po’ su se stesso col passare dei minuti.

Nel complesso, VII è un buon album. La prestazione è solida e senza alcuna sbavatura, il nuovo cantante è bravo e la produzione è ottima. Ma, come si legge tra le righe della mia recensione, oltre a questo non c’è molto. Non nego che il cd non mi ha pienamente soddisfatto. Le scelte sono in piena linea con la tradizione del genere. Gli spunti sono buoni, ma al settimo album sarebbe lecito aspettarsi qualcosa di più. Che poi, Olaf non è proprio un novellino nel settore… Non credo che qualcuno protesterebbe se osasse mettersi un po’ in discussione!
Tornando all’introduzione: la preoccupazione di far sapere che “ci sono ancora, e più in forma che mai” prende qui il sopravvento sul lato musicale vero e proprio. Il cd voleva essere una dimostrazione di potenza e salute: e lo è, tutto sommato. La band c’è. Ora però è il momento di ripartire sul serio. Con qualche preoccupazione in meno e un bel po’ di coraggio in più.
Il limbo non piace a nessuno: scegliere di starci è la cosa più deprimente.

Tracklist:
1. Breacking The Night
2. Shiver
3. Cold As Ice * MySpace *
4. Victory
5. Friendly Fire
6. Golden Leaves
7. Answer Me
8. Shine
9. Truth
10. Lost In Your Love

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