Recensione: Virtues of the Vicious

Di Andrea Bacigalupo - 25 Luglio 2020 - 23:28
Virtues of the Vicious
Band: Let Us Prey
Etichetta: M-Theory Audio
Genere: Thrash 
Anno: 2020
Nazione:
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82

ALLORA ‘Dark Melodic Power Thrash Metal’ … azz! Ma quante cose fanno i Let Us Prey, band di Boston nata da un’ idea del vocalist Marc Lopes (anche nei The Ross The Boss Band e con un’esperienza nei Meliah Rage) e del chitarrista Jon Morency.

Per questo prendo ‘Virtues of the Vicious’, debut–album disponibile dal 24 luglio 2020 via M-Theory Audio, un po’ prevenuto, come sempre del resto quando leggo queste affermazioni, ritenendo che, di fondo, di Heavy Metal ce n’è uno e che i vari generi stanno più che altro ad indicare gli stili nati dalle diramazioni dei vari movimenti (a mio semplice parere, se in un brano Thrash si usa il clavicembalo non s’inventa il baroque–metal … sempre Thrash è, con, al massimo, un valore artistico aggiunto).

Al contempo, però, sono parecchio curioso, come succede da quando, molti anni fa, mi è stato proposto di ascoltare un album con in copertina un malvagio zombie con una scure in mano,

Passo dunque all’ascolto.

Al primo giro … un delirio. Ho messo su il disco mentre stavo facendo altre cose e mi è stato impossibile seguirlo: troppe distrazioni.

Allora mi sono armato di cuffia, ho occupato la mia postazione casalinga e, con calma, ho cominciato ad entrare dentro questo incredibile lavoro.

‘Incredibile’ è il termine che più gli si addice: una mazzata fatta di trame sonore continue, un’esplosione di ferocia angosciante ed un’articolazione compositiva estenuante, sofisticata e di classe.

Anche in questo caso nessun nuovo genere, ma questo è proprio il meno.

Quanto dichiarato dalla band si sente tutto: melodie oscure soffocanti, ritmiche serrate furenti ed andature epiche unite, senza soluzione di continuità, con altro ancora, come elementi industrial e progressive o spasmodiche tirate death.

In pratica, ‘Virtues of  the Viciuos’ ha gli stessi connotati di una sinfonia composta da più movimenti, con le partiture armonizzate sapientemente per suscitare emozioni cangianti e profonde senza risultare scontate o discontinue.

Gli elementi cardine sono una voce duttile di ampio registro tonale, che passa senza sforzo dal melodico al growl, con mille sfumature intermedie che esprimono rabbia, disperazione e determinazione ed un drumming preciso e d’assalto che ferma il cuore.

Nel mezzo un lavoro degli strumenti a corda senza pace, fatto da riff assassini, melodie penetranti che arrivano anche a rasentare la follia, ritmiche grevi ed assoli di gran lustro.

Completa il sound l’uso di tastiere sinfoniche, che avvolgono i momenti di particolare enfasi senza pomposità, fondendo i suoni senza sovrastarli.

Per cui, tanti elementi che, compenetrandosi, diventano un tutt’uno evidenziando la personalità del combo: si sente il Power ma i Let Us Prey non assomigliano ai Blind Guardian, si sente il Thrash ma non c’è niente in comune con i Metallica e così via.

Tra i brani, tutti di difficile descrizione, vista la complessa articolazione, citiamo ‘Above the Vaulted Sky’, che apre l’opera con effetto immediato, dalla tessitura Metalcore, con strofe feroci e refrain più melodici ed un interludio ad andamento epico.

La Title-Track ‘Virtues of the Vicious’ feroce e terrificante quanto insana, contrapposta a ‘In Suffering’, melodicamente potente e penetrante.

E ancora: ‘Halo Crown’ infernale, ‘Murder Thy Maker’ inquietante ed indemoniata’ e così fino ad arrivare a ‘And Hell Followed with Me’ un percorso onirico di oltre otto minuti dentro la foschia, che trasforma l’inquietudine in durezza e determinazione.

I Let Us Prey parlano del comportamento umano, dell’oscurità, dell’intelligenza artificiale, di morte, depressione e guerra, tutti argomenti ben aderenti all’andamento delle musiche.

Virtues of the Vicious’ è stato prodotto da Marc Lopes e mixato/masterizzato da Peter Rutcho (Revocation) vede, inoltre, la partecipazione di diversi ospiti, come i chitarristi Jonathan Donais (Anthrax), Metal Mike Chlasciak (Halford, Testament), Jimi Bell (House of Lords), Matt Fawcett (Sinate) ed il compianto Oli Herbert (All That Remains), che hanno suonato un assolo, e del batterista Yanni Sofianos (Obsession).

L’album è eclettico, completo, estremo, con qualche buon gioco d’azzardo e dal forte senso artistico. Un buon lavoro, insomma, che mette pienamente in risalto le qualità degli artisti e la loro coesione. Attendiamo il prossimo lavoro e, soprattutto, appena sarà possibile, di vederli dal vivo. Giudizio molto positivo!

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