Recensione: Vortex

Di Roberto Gelmi - 20 Maggio 2018 - 12:00
Vortex
Band: Toundra
Etichetta:
Genere: Progressive 
Anno: 2018
Nazione:
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85

I Toundra non possono non incuriosire, stiamo parlando di un gruppo strumentale spagnolo che ha strappato un contratto all’InsideOut Records e si propone come band di culto. I madrileni dal moniker atipico e suggestivo si riuniscono nel 2007 e propongono un sound che porta a un connubio ideale potenti riff post-metal e melodie profonde, affiancate da atmosfere intricate e con un occhio di riguardo per la sede live. Riscuotendo un buon successo di pubblico, pur trattandosi di musica strumentale per palati fini, i Toundra pubblicano tre album autoprodotti (intitolati molto semplicemente I, II e III), fanno tour per tutta Europa (incluso il Primavera Sound), infine ottengono un contratto con la Superball Music nel 2014. Con il penultimo album, IV (2015), arriva il successo vero, raggiungendo la posizione n°2 delle classifiche spagnole e andando anche in tour negli States. Oggi gli spagnoli ottengono nuova visibilità grazie all’InsideOut, label che ha il pregio aggiuntivo di far scoprire gruppi troppo sottovalutati, e punta su di un’altra band “senza testi” come i Long Distance Calling.

A fronte di attese così alte, non resta che ascoltare l’album: un sole nero (incombente di fronte a una figura appiedata dello stesso colore) in un deserto senza tempo inizia a far lavorare la nostra immaginazione… Dopo un intro cinematico, l’album decolla con “Cobra”, brano da subito potente: vengono alla mente i Mastodon, ma la componente stoner a tratti predomina e le atmosfere chiaroscurali dipingono scenari torbidi e opethiani. Il disco vive di una giusta alternanza tra momenti tirati e altri più tranquilli, il punto, però, è che non è dato sapere quando e come. In “Tuareg”, ad esempio, tutta la prima parte è un assalto sonoro (anche con parti di batteria vagamente tribali), poi il cielo si rischiara per un paio di minuti come negli attimi successivi a una tempesta di sabbia portata dal Ghibli. I Toundra si divertono anche a proporre brani corti come “Cartavio”, una delizia semiacustica quasi ambient, seguita da “Kingston Falls”, uno degli highlight dell’album, dall’avvio trasognato e un finale in crescendo maestoso. Gli ultimi venti minuti del platter vedono tre canzoni importanti. La lunga “Mojave” è un vero e proprio manifesto, va ascoltata avendo in mente l’artwork infuocato e magicamente il tempo perderà le sue coordinate ordinarie, tra momenti di musica rabbiosa, passaggi dalle dinamiche ricercate e voglia di osare. “Roay Neary” (tributo spielbergiano?) introduce, infine, “Cruce Oeste”, pezzo conclusivo forte di alcuni momenti fatati da brivido. L’album si chiude comunque con accordi di chitarre abrasive e il vortice di emozioni che abbiamo sperimentato è qualcosa di oggettivamente sconvolgente.

Come descrivere il sound dei Toundra? EM parla di atmospheric post-metal e sicuramente c’è del vero, tuttavia il gruppo madrileno è qualcosa in più. La capacità narrativo-emotiva della loro musica ha del geniale, riesce a farsi dura come una colata di cemento, per poi risgorgare rinfrancante come un placido rivo riscaldato da un pallido sole al tramonto. Tra stoner, grunge e effetti semiacustici un amalgama ben riuscito che innova grazie a una sana ispirazione e alla capacità di ribadire un’identità sonora che non scende a compromessi. Dopo il bellissimo IV, Vortex è un altro album da avere per scoprire nuovi lidi sonori.

Roberto Gelmi (sc. Rhadamanthys)

 

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