Recensione: Voyeur

Di Stefano Burini - 22 Ottobre 2012 - 0:00
Voyeur
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Genere:
Anno: 2012
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45

I War From A Harlots Mouth nascono a Berlino nel 2005 e, dopo un EP e uno split album in compagnia dei Molotov Solution, arrivano alla firma di un contratto con l’etichetta Lifeforce Records. Il quintetto composto da Nico Webers alla voce, Simon Hawemann e Daniel alle chitarre, Filip al basso e Paule Seidel alla batteria suona fin dalle origini un math/deathcore piuttosto spigoloso e violento e il nuovo “Voyeur”, non modifica sostanzialmente questo trend; al più si può notare l’incorporamento di qualche influenza tipicamente djent, ma si tratta di un incorporamento più di forma che di sostanza, fatto di assonanze tra il sound delle chitarre di Hawemann e Daniel con quello dei più celebri Meshuggah o di un tessuto strumentale accidentato in cui le ritmiche complesse e serrate di Filip e Paule Seidel tendono a condurre il gioco, pur senza mostrare numeri da circo.  

Il limite maggiore dei WFAHM è che se da un lato si tratta di un gruppo sicuramente composto da musicisti di elevato livello tecnico, dall’altro lato la loro musica,cervellotica e violenta finché si vuole, manca di un’anima. Il nuovo “Voyeur”, uscito tramite l’etichetta francese Season Of Mist, è composto da canzoni, ben tredici, troppe in rapporto alla quantità di idee espresse, tutte giocate sulle stesse coordinate e prive di acuti, di melodie vincenti o di passaggi strumentali o assoli realmente degni di passare a memoria. Tredici canzoni in sostanza intercambiabili, poco distinguibili l’una dall’altra e globalmente incapaci di aggiungere qualcosa di personale ad atmosfere  che non siano quelle asettiche, cibernetiche e/o industrialoidi già sentite decine di volte in dischi come quelli degli Strapping Young Lad, dei Meshuggah o dei The Dillinger Escape Plan, né in grado di coinvolgere o di creare un climax emozionale davvero efficace.  

Dal marasma suddetto, pronto ad abbattersi sui timpani del malcapitato ascoltatore dopo l’inutile intro “Origins”, emergono la doppietta composta da “Of Fear And Total Control” e “Temple”, due tracce poste in rapida successione e concatenazione, le uniche in tutto il disco in cui si percepiscano un filo conduttore e un riffing sopra la media, e dalla seguente “The Black Lodge” nella quale i flebili spiragli melodici paiono giovare alla composizione. Per il resto c’è tanta furia monocorde e fine a se stessa e una tendenza a giocare su ritmiche rallentate che nel tentativo, probabile, di dare maggiore enfasi al growl robotico di Nico Webers, tendono invece ad appiattire ulteriormente il tutto. Si sente qualche cosina in più in “Scopophobia”, non a caso scelta come singolo per il lancio dell’album e si potrebbe affermare che gli intermezzi melodici in cui viene un po’ meno la tipica furia devastatrice dei War From A Harlots Mouth diano all’ascoltatore quel minimo di respiro che permetterebbe di apprezzare un po’ di più ciò che vi sta attorno. Si tratta, tuttavia, di brevi istanti, purtroppo diluiti in un album di 35 minuti nei quali, come detto, a mancare non è tanto la luce del giorno, quella che sarebbe inutile cercare in un disco di death/mathcore, bensì quella della ragione che ci ha condotto altre volte attraverso labirinti orrorifici e viaggi allucinanti in cui la musica ha saputo dare vita e forma ad incubi terrificanti ed annichilenti (“City”) o ad un estremismo sonoro a tratti geniale (“Miss Machine”).  

Nulla di tutto questo, purtroppo, “Voyeur” si rivela un disco piatto e banale e se probabilmente gli amanti della violenza sonora senza compromessi potranno individuare dei motivi di interesse in un tale dispiegamento di decibel, a fronte di band egualmente (o anche più) violente ma decisamente più interessanti (Meshuggah, The Dillinger Escape Plan, Periphery giusto per fare tre nomi stilisticamente non troppo distanti), “Voyeur” non può che ricevere una bocciatura, ferme restando la professionalità e le capacità esecutive dei vari musicisti. Sarà per la prossima.  

 

Nota a margine

La “Bonus Demo Version”di “Voyeur” contiene due ulteriori pezzi, l’ottima “Dolph Lundgren”, cover di una canzone degli alternative metaller Will Haven, inspiegabilmente estromessa da una tracklist cui avrebbe donato maggiore varietà, e una versione dell’altro singolo “To The Villains” che nulla aggiunge e nulla toglie a quanto detto finora.  

Stefano Burini

 

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Tracklist

01. Origins

02. Vertigo

03. H(a)unted

04. Terrifier

05. Of Fear And Total Control

06. Temple

07. The Black Lodge

08. Beyond Life And Death

09. To The Villains

10. Krycek

11. Scopophobia

12. Catacombae

13. Epiphany  

14. Dolph Lundgren (Bonus Will Haven cover)

15. To The Villains (Bonus Demo version)

 

Line Up

Nico Webers: voce

Simon Hawemann : chitarra

Daniel: chitarra

Filip: basso

Paule Seidel: batteria  

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