Recensione: Weltschmerz

Di Edoardo Turati - 20 Ottobre 2020 - 12:43
Weltschmerz
Band: Fish
Genere: Progressive 
Anno: 2020
Nazione:
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80

Iniziamo la recensione con un piccolo sondaggio: alzi la mano chi di voi ha letteralmente divorato quel meraviglioso “triplete” d’inizio anni ‘80 composto da Script for a Jester’s Tear, Fugazi e Misplaced Childhood… Ottimo, fortunatamente non siamo pochi! Ed infatti sarebbe strano il contrario, visto che i Marillion furono i pionieri della seconda new wave del progressive-rock, quella che poi per definizione ancora oggi viene chiamata neo-prog (a cui aderirono band come IQ, Arena, Pendragon e Porcupine Tree). Sono tutte band musicalmente eleganti e raffinate, che sicuramente hanno dato continuità a un genere musicale abbandonato dai padri fondatori, ad esempio i Genesis, che fallirono un suo rilancio una volta esaurita l’onda travolgente degli anni 70. Per i Marillion invece quattro dischi in appena cinque anni con tour a livello mondiale, poi i problemi legati all’alcol di Fish, nonché una sua profonda crisi personale, porteranno alla divisione inevitabile fra le due parti. I Marillion ingaggeranno l’ottimo Steve Hogarth e con Season End (titolo esplicativo) inizieranno la loro personale metamorfosi, mutando il sound ma senza mai dimenticare del tutto le loro radici prog.

E Derek William Dick in arte Fish che fine ha fatto? Ingiustamente nella nostra memoria rimane il primo cantante dei Marillion, ma il suo percorso artistico è stato una carriera solista di assoluto rispetto. Dopo il primo e ottimo Vigil In A Wilderness Of Mirrors si sono susseguiti 3 dischi in cui il gigante scozzese sembrava aver smarrito la bussola, ma la fortunata collaborazione con Steven Wilson ha permesso a Fish di tornare in auge con 2 ottimi dischi quali Sunsets On Empire e Raingods With Zippos. Dal 2000 in poi ha regalato solo buoni dischi anche se la pubblicazione di un nuovo LP si attesta intorno ai 3/5 anni di attesa. Il penultimo disco dal titolo A Feast of Consequences risale a 7 anni fa ed è stato un lavoro superlativo.

Siamo arrivati quindi a Weltschmerz ultima fatica di Fish… ultima in tutti i sensi! Sul sito ufficiale, Fish stesso lo descrive come il lavoro conclusivo di una carriera dichiarando: «Avevo bisogno di chiudere la mia professione con il miglior album solista di tutti». Sicuramente in questi ultimi anni hanno avuto grande impatto per l’artista sia la morte del padre, sia la malattia degenerativa della madre, che hanno infatti rimandato più volte l’uscita di Weltschmerz, accrescendo così sempre di più nel cantante britannico la consapevolezza di un definitivo allontanamento da tutto ciò che riguarda il music business. Il titolo stesso del disco tradotto dal tedesco significa “Stanchezza del Mondo” come a descrivere lo stato d’animo di Fish dipinto anche magistralmente nel meraviglioso artwork in cui il volto segnato dal tempo si sgretola in muta rassegnazione.

Il disco viene presentato in doppio CD o doppio vinile, mentre nella versione Deluxe viene allegato anche il libro che contiene 100 pagine di nuove opere d’arte, foto, dipinti e illustrazioni originali di Mark Wilkinson di grandissima qualità. Esattamente come il precedente lavoro anche qui la condivisione di Fish con i propri fan è totale, difatti il libro contiene anche tutti i testi, con in aggiunta 8000 parole di note di copertina scritte da Fish riguardo alla creazione di Weltschmerz. Anche il sound di Fish è mutato nel tempo, scostandosi molto dalle origini con i Marillion, infatti quella di oggi è una proposta di più ampio respiro, una musica “totale” con forti connessioni alla musica popolare e influenze che vanno dalla musica mainstream, passando per la classica, il jazz ed il folk, proprio quel genere di cui Peter Gabriel è massimo esponente, nonché creatore per certi versi.

Mentre si mettono le cuffie per ascoltare il platter, viene un po’ di nostalgia al pensiero che questo è il suo ultimo disco: non ascoltare più la voce istrionica di Fish, non farsi coinvolgere più dalle sue storie raccontate magistralmente come un menestrello è qualcosa che rende tristi, ma è evidente che Fish non ha più nulla da dire. Tutto è stato già detto in Weltschmerz: ogni denuncia politica, ogni dolore fisico e interiore, le difficoltà con la propria moglie, l’isolamento da contagio, il terrorismo, la malattia, i rifugiati, le guerre civili. Amen.

L’opener è affidata a “Grace of God” pezzo molto intimo con archi e violini che toccano le corde con delicatezza, e nel testo non possiamo non pensare al padre scomparso di Fish: «He sucks deep on his nebuliser, eyes closed in a moment’s peace His chest racks, his lungs exploding Coughing like a drowning man». Nel finale il sound si fa più intenso andando a scemare fino al saluto conclusivo. Siamo già totalmente immersi nel mondo di Fish, che continua il suo racconto con la successiva “Man with a Stick” in cui ci viene presentato un uomo anziano col bastone che fa gli ultimi conti con la propria vita, disgustato e stanco di un mondo che non sente e forse non ha mai sentito suo. Sembra chiaramente la fotografia di Fish e la musica è molto avvolgente con chitarre distorte da un drive leggero e un bel synth che si prende tutto l’assolo sul finire del brano. Seguono due pezzi folkeggianti, “Walking on Eggshells” e “This Party’s Over”. Quest’ultimo brano in particolare vuole essere quello più solare e vivace di tutto il disco, ma la sua (finta) allegria è anche il commiato più diretto di Fish, che infatti canta: «Where did it all go wrong? This party’s over. I want to turn my life around, This party’s over.» Con “Rose of Damascus” si parla di denunce e guerra, e veniamo catapultati nella distrutta Siria. In questo lunghissimo brano Fish ci racconta la storia di una donna fuggita dalla propria terra seguendo il proprio sogno adolescenziale, ma al suo ritorno si perde tra labirinti di macerie e i detriti dei propri ricordi. Un pezzo molto struggente con momenti introspettivi ed altri in cui l’intensità della musica accompagna il grido di dolore della protagonista. Il successivo brano, “Garden of Remembrance”, apre il secondo cd ed è il momento più toccante e personale di tutto l’album. Voce e pianoforte ci portano nel dolore della malattia, l’Alzheimer che ha rubato ricordi e lacrime della madre di Fish. Non c’è da aggiungere altro, se non ascoltare ad occhi chiusi un brano da pelle d’oca.

Seguono due song altrettanto valide e in “Little Man What Now?” troviamo un sax mellifluo (e a tinte da vecchio cinema noir) che accompagna e fa da spalla per tutta la durata del brano alla voce del cantante scozzese. Ci avviamo verso la fine e la seguente “Waverley Steps (End of the Line)” rappresenta con i suoi quasi 14 minuti il secondo brano più lungo in scaletta. Non siamo di fronte a una composizione puramente prog, quindi non ritroviamo (così come nella precedente lunga “Rose of Damascus”) tutti gli stilemi del caso, non ci sono sessioni strumentali lunghe, o cambi di tempo repentini, ma questo non appiattisce minimamente il sound proposto. Tutte le fasi compositive vengono scandite semmai dall’intensità della musica e della voce, che determinano sentimenti ed emozioni, facendoci vivere come in una giostra momenti adrenalinici, alternati a momenti di riposo e riflessione. La lunghezza dei brani in definitiva è determinata esclusivamente dal messaggio che vuole trasmettere Fish e di cose da dire ne ha veramente tante.

Siamo giunti alla fine della storia e la chiusura è naturalmente affidata a “Weltschmerz”. Il brano trasmette nelle parole un senso di epilogo ma non nella musica che non risulta mai deprimente o cupa. È un messaggio di riscatto per Fish, il commiato finale che libera il cantante dal giogo opprimente che lo ha assoggettato e soffocato negli ultimi anni della sua vita. Il disco si chiude così, in modo quasi brusco e la domanda a questo punto nasce da se: è il miglior disco in assoluto di Fish? Difficile dirlo, bisognerebbe entrare in empatia totale con l’artista, perché è evidente che non è il miglior disco in assoluto per chi ha ascoltato la musica, ma per chi l’ha scritta la prospettiva è diversa. Questa non vuole essere una riflessione polemica, ma la semplice constatazione della maturità di un artista che è sempre andato avanti nonostante tutto e tutti, scrivendo innanzitutto per se stesso, per dare sfogo alle proprie delusioni.

I testi sicuramente sono tra i migliori mai scritti, profondi, introspettivi e carichi di sentimento in ogni verso, per questo nella recensione ci siamo soffermati più su questo aspetto che sulla musica. Fish ha voluto lasciarci il suo ultimo messaggio e vale davvero la pena leggerlo tutto, soprattutto per chi l’ha amato e ammirato come artista. Non possiamo non ringraziare l’ex cantante dei Marillion per tutte le meravigliose storie che ci ha raccontato e che ci porteremo come ricordo indelebile. Egoisticamente sarebbe bello pensare che non sia un addio, ma umanamente non possiamo che abbracciare la scelta forte e decisa di Fish. Per questo il disco avrà un secondo voto, quello empatico, quello del cuore, quel del grazie di tutto, un 100 simbolico.

“Sono un guerriero con la barba grigia, un poeta di non mediocre acclamazione. Le mie parole sono le mie armi che offro con disprezzo. Il mio aspetto malinconico è qualcosa che non puoi ignorare. Non puoi mettere in dubbio le mie motivazioni né il mio forte senso del bene e del male”.

 

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