Recensione: What Comes Around Goes Around

Di Alberto Vedovato - 30 Marzo 2009 - 0:00
What Comes Around Goes Around
Band: Tuff
Etichetta:
Genere:
Anno: 1991
Nazione:
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78

“Attitudine: 1 disposizione naturale per qualcosa; 2 atteggiamento, posizione del corpo.”

Quante volte parlando delle nostre band preferite si è parlato di “attitudine”? Caratteristica che spesso risulta essere fondamentale per decretare o meno il successo di una band.
Quando, oltre alla musica, ci sono i modi di fare che rendono speciali i nostri beniamini. E se l’attitudine è davvero genuina, si può anche concedere alla band qualche mancanza di originalità.

É questo il caso di una band “di periferia” giunta nella città dei Santi verso la fine degli ’80, è questo il caso dei Tuff.
I quattro “sleazy” capitanati da Steve Rachelle, spesso paragonato al “poisoniano” Bret Michaels, sia come timbrica, sia come aspetto, Jorge DeSaint (chitarra), Todd Chase (basso) e Micheal Lean (batteria), accumulano numerosi anni di gavetta partendo da Phoenix fino ai locali losangelini, e finalmente approdano negli studi della Atlantic Records. Qui registrano dieci tracce, marchiate di un hard rock di tutto rispetto che spazia dai brani più tirati alle immancabili ballad, abbondando di pregevoli lavori di seconde voci e cori – vero punto di forza del disco – e di riff rocciosi e immediati che facilmente si stampano in testa. Punto debole, però, sono le palesi influenze della band.
Ma, come si diceva prima, è una pecca in fin dei conti tranquillamente perdonabile ed irrilevante. Se è vero, infatti, che a tratti si riconoscono Alice Cooper, i Motley Crue o, soprattutto, i Poison, è anche vero che i nostri non tentano nulla per tenerlo nascosto. Anzi!
Tra gli ospiti presenti nei cori figurano personalità che con le band citate, e altre ancora, hanno fatto album epocali; o addirittura si prodigano in un intero brano dedicato ai loro miti, dove su sonorità poisoniane, infilano riff e arie tipiche di Sixx e soci, dando vita a uno dei migliori pezzi del lotto.

Ma andiamo con ordine.
Il disco si apre con “Ruck A Pit Bridge”, opener azzeccatissima per il suo incedere spinto e accattivante, sostenuto da quello che è forse il miglior riff dell’album. Da sottolineare la curiosa coda funky che nulla c’entra col resto del brano, gradevole e divertente intermezzo in cui le sei corde di DeSaint e il basso di Chase danno vita a un minuto scarso di puro groove.
Subito dopo ecco “The All New Generation”, canzone che si presenta come tribute-song alla storia del rock, dove i nomi e i titoli dei “grandi” vengono snocciolati con nonchalance partendo dai 50’s per arrivare all’epoca d’oro del glam in un unico grande inno al nostro genere preferito. Quasi a dire: “è cambiata la forma, ma la sostanza è la stessa”. Provate a fare un elenco di tutti i nomi citati nel testo, e vedrete che di “grandi” ne mancheranno davvero pochi!
Quando si parla di “attitudine” al genere, e per gioco si citano i brani e i gruppi che ne sprigionano da ogni poro, beh, è il caso che ci si segni in lista anche questo pezzo e lo si piazzi nelle posizioni più alte: “Rock n’ Roll is communication, Singing out loud all around the world”.
Questo è il Rock!

In terza posizione nella track list troviamo “I Hate Kissing You Good-bye” che è forse una delle più famose ballad di sempre, nonché primo singolo tratto dall’album. In pieno stile semi-acustico sulla scia di “I Remember You” degli Skidz, ci presenta un Rachelle sugli scudi che si esibisce in un cantato graffiato, molto efficace e un ritornello toccante che rende il pezzo davvero riuscito.
A seguire due brani più tirati, “Lonely Lucy” vera mazzata dal riffing vigoroso e tagliente e “Ain’t Worth A Dime”, traccia in cui il basso si rende protagonista martellando giri incantatori.

A smorzare un poco i toni ci pensa la seconda ballad dell’album “So Many Seasons”, o meglio, semi-ballad, in virtù di un ritmo decisamente sostenuto rispetto agli standard del genere. Chitarre acustiche miscelate a una batteria ben spedita e cori che non possono far altro che coinvolgere l’ascoltatore trascinandolo a unirsi nel cantare. Ottimo compromesso per allentare un po’ la tensione tra le tirate precedenti e la successiva “Forever Yours” che si assesta sempre su regimi molto frizzanti.
Ancora Rachelle poi, si esibisce in un’ottima prestazione sulle linee vocali di “Wake Me Up”, composizione quasi totalmente acustica, se non per qualche inserto solistico e i canonici power chords nel refrain.
Terza e ultima ballad dell’album, è forse uno dei migliori pezzi del lotto. Ispirata e toccante quanto basta, senza scadere mai nello “sdolcinato”, è condita da un assolo davvero notevole e delicato e da dei cori perfettamente riusciti, le cui voci si incastrano alla perfezione creando dei veri e propri intrecci vocali nel finale.
Il pezzo, secondo il sottoscritto, scalza tranquillamente dalle classifiche molte altre famosissime ballad di band più blasonate.
Il platter si conclude poi con le spinte e marcatamente “street”, o “sleaze” che dir si voglia, “Spit like this” e “Good Guys Wear Black”, quest’ultima vera e propria fucilata finale con chiusura in doppia cassa, ottima per riepilogare l’aria che si è respirata per tutto l’album terminando col botto.

In conclusione, che siano o meno debitori del loro sound ai nomi storici, i Tuff hanno saputo imparare la lezione e hanno sfornato un album al 100% Hard Rock che si lascia ascoltare e riascoltare.
Questi ragazzi avevano tutte le carte per lasciare un segno indelebile nella storia del genere, vere e proprie anime strabordanti sfacciataggine e voglia di divertirsi. Peccato siano arrivati quando ormai l’epoca giusta era agli sgoccioli, e che non abbiano avuto l’occasione con i due album successivi di poter avere il giusto spazio.
E nonostante non si abbia la certezza che fossero un fuoco di paglia o un talento mancato, non si può certo negare che “What Comes Around Goes Around” non sia stato, e non sia tutt’ora, una delle migliori uscite in ambito Sleaze dell’ultimo periodo d’oro.

Questo è quindi un disco da avere, che saprà rispondere alle esigenze di chi bazzica nel mondo del cotonato e che ben s’incastrerà nella vostra lista di ascolti.

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Tracklist:

01. Ruck A Pit Bridge 3.44
02. The All New Generation 3.38
03. I Hate Kissing You Good-bye 4.20
04. Lonely Lucy 3.05
05. Ain’t Worth A Dime 3.10
06. So many Seasons 4.12
07. Forever Yours 3.03
08. Wake Me Up 4.18
09. Spit Like This 3.37
10. Good Guys Wear Black 4.17

Total Time: 37.24

Line Up:

Stevie Rachelle – Voce
Jorge DeSaint – Chitarra, Cori
Todd Chase – Basso, Cori
Michael Lean – Batteria, Cori

Guest:

Howard Benson – Tastiere
Kane Roberts (Alice Cooper)- Cori
Ken Mary (Accept, Chastain, Alice Cooper, – Cori
Tommy Funderburk – Cori
Frankie Muriel – Cori
Kristy Majors (Pretty Boy Floyd) – Cori
Vince Kelly – Cori
Kenny Chaisson (Keel) – Cori
Spike (The Quireboys)- Cori

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