Recensione: Winds of Time

Di Stefano Usardi - 4 Novembre 2025 - 10:00
Winds of Time
Etichetta: High Roller Records
Genere: Heavy 
Anno: 2025
Nazione:
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82

Saliti alla ribalta due anni fa col debutto “Gates of Twilight” – che seguiva di un anno l’EP auto titolato – i losangelini Wings of Steel sono oggi chiamati a confermare, col qui presente “Winds of Time”, le alte aspettative createsi tra gli amanti del metallo classico. E i nostri si fanno trovare pronti, se posso permettermi un piccolo spoiler (che poi tanto spoiler non è: l’album è uscito da diversi giorni e il suo tasso qualitativo non è più un segreto per nessuno). Ebbene sì: “Winds of Time” non solo conferma quanto esibito dai nostri nel debutto, ma rilancia grazie a una formula più concentrata e spessa. Ma qual è, in fin dei conti, questa formula? Presto detto: uno sfacciato heavy metal che più classico non si può; di quelli cromati, strafottenti e massicci che si divertono a mescolare le carte da una traccia all’altra o anche all’interno dello stesso brano, che guardano fieramente al passato e a gruppi come i primi Queensrÿche e i Crimson Glory come a veri e propri numi tutelari e che fanno del bilanciamento tra tecnica e feeling il proprio mantra. Un metallo diretto ed appagante, dunque, che riesce a giostrare minutaggi disparati (si passa dai tre minuti scarsi ai dieci abbondanti, con tutto ciò che si trova nel mezzo) suonando sempre solido e attento, senza dar l’impressione di allungare il brodo in cerca dell’idea giusta, e dispiega notevoli doti di scrittura senza scadere nella fredda e sterile vanagloria. Un metallo, in definitiva, che ci ricorda in ogni momento come immediatezza e sciatteria siano concetti che non vanno mai confusi. Una sezione ritmica pulsante si dimostra puntuale in ogni frangente, a suo agio sia quando c’è da spingere che quando si deve procedere coi piedi di piombo, e permette alle chitarre di ricamare trame robuste, muscolari, e di illuminarle con fulminei soli di gran gusto, perfettamente incastonati nella limpida ragnatela sonora dei nostri. Aggiungete ora un pizzico dell’accessibilità melodica ed accattivante di certi Europe e un’ugola d’acciaio al microfono – forse un pelo perfettibile a livello espressivo ma perfetta per il genere – e il gioco è fatto: “Winds of Time” si destreggia egregiamente tra sfuriate impattanti, squarci melodici gloriosi e massicci ispessimenti dal taglio cupo, diffondendo fomento e dinamismo e condendo il tutto con un’attitudine sfrontata e un’estetica che ripesca buona parte dei cliché dei primi anni ’80. La resa finale è corposa e piena, tipicamente heavy rock, ma ciò non impedisce alle canzoni di spiccare il volo grazie alle doti dei nostri, abili a cromare ognuna di esse con spruzzate cangianti ma perfettamente armonizzate al contesto dell’album.

Basta prendere, per rendersene conto, la title track posta in apertura: dieci minuti abbondanti durante i quali i nostri screziano la loro musica mettendo in mostra un piglio quasi progressive e snocciolando cambi di tempo e atmosfera, sezioni dilatate dal taglio sognante ed esotico e fulminanti ripartenze. Il tutto senza dimenticarsi della pura e semplice carica propulsiva e di una certa enfasi trionfale, per mettere in musica un racconto epico ad alto dosaggio di ottani. Ma il baldo trio non si ferma qui, poiché, per dirla tutta, ciascuna delle otto canzoni di “Winds of Time” si dimostra vibrante e ben costruita, sia che si parli delle rare galoppate (la frustata “Saints and Sinners” o la potente “To Die in Holy War”) o ci si addentri in territori più arcigni (la minacciosa e quadratissima “Lights go Out”, fatta di tempi scanditi ed improvvisi squarci dal pathos prepotente, o “Burning Sands”, che riecheggia di vibrazioni quasi priestiane e le colora di enfasi nel ritornello, spezzandole poi con un massiccio segmento dal profumo esotico). Non può mancare la ballatona, “Crying”, che mescola un fare ammiccante dai languidi riverberi con chitarre spesse che si venano di solennità. Nella parte finale dell’album i nostri concentrano pezzi più orientati ad un pathos trionfale venato, però, da una certa malinconia (la marcia struggente “We Rise” e il suo andamento ambivalente, quasi agrodolce, e la conclusiva “Flight of the Eagle”, che screzia la sua solennità con un tasso di rassegnazione di tutto rispetto, salvo poi chiudersi con un ultimo colpo di coda eroico).

Niente giri di parole: per gli amanti del metallo classico “Winds of Time” è un album da avere, e sono piuttosto convinto che anche chi non mastica Crimson Glory come Tic–Tac troverà il nuovo nato in casa Wings of Steel degno di lode e ammirazione. Il gruppo si fa portabandiera di un certo tipo di metallo e lo fa con cognizione di causa, conscio dei propri mezzi e potendo contare su un album diretto, variegato e dalla spiccata attitudine. Avanti così.

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