Folk - Viking

Intervista Cellar Darling (Anna Murphy)

Di Luca Montini - 29 Giugno 2017 - 9:00
Intervista Cellar Darling (Anna Murphy)

Ciao Anna e benvenuta su Truemetal.it! Come va?

Sono in Svizzera nello studio in cui lavoriamo, mi sono appena fatta un caffè e sono pronta! 

Come stai vivendo questi giorni in attesa dell’uscita del disco “This is the Sound”, debut album della nuova formazione Cellar Darling che uscirà il prossimo 30 giugno via Nuclear Blast?

Molto bene. Sono emozionata e non vedo l’ora di sapere cosa succederà! Sono anche molto rilassata, abbiamo realizzato l’album lavorando sodo e dormendo poco, ora sono felice che sia finita, vado spesso a nuotare e lavoro in studio.

Quindi niente ansia?

No, no, ormai quel che deve succedere accadrà! Non possiamo controllarlo…

Avete suonato al Milady Metal Festival in Mantova il 6 maggio scorso, è stata la prima data della storia dei Cellar Darling in Italia… cosa ricordi di quella serata?

Ero molto nervosa, perché sai, si tratta di una nuova band, quindi era una per molti versi una ‘prima volta’. Si è trattato di uno dei nostri primi show di sempre, abbiamo suonato pezzi che non avevamo mai proposto prima di allora, ma il pubblico è stato davvero folle, gente veramente pazza e piena di energia, è stato molto bello, anche le altre band che hanno suonato al festival sono state molto gentili con noi. Una bella giornata insomma con gente molto carina, sono stata molto felice.

Chi era il bassista sul palco?

Il bassista si chiama Nicolas Winter, è il nostro ‘session bass player’.

So che avete suonato anche “The Prophet Song” dei Queen… è vero che è possibile trovarla nell’edizione limitata del vostro disco?

Si, è nella versione digipack. Abbiamo scelto tre cover, nell’edizione limitata. L’idea era di far scegliere una canzone ad ogni membro della band. “The Prophet Song” è stata la scelta di Merlin [Sutter, batterista], Ivo [Henzi, chitarrista] ha scelto “Madworld” dei Tears for Fears, mentre io ho scelto “The Cold Song”, che è un pezzo classico.
 

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Nuova band, nuovo nome. Perché avete scelto “Cellar Darling” come moniker rappresentativo di questa nuova formazione a tre?

“Cellar Darling” descrive la nostra musica. “Cellar” è qualcosa di oscuro, e “Darling” è qualcosa di bello e luminoso. Combinate sono un po’ quello che dovrebbe essere il nostro sound. Hanno anche il significato della creatività e delle idee che abbiamo dovuto e che spesso dobbiamo continuare a tenere chiuse dentro di noi, perché spesso non ci sono tempo e spazio per realizzarle. Questo è il significato più personale dietro al nome.

Il vostro primo singolo si chiama “Challenge”. Qual è la prima sfida che devono affrontare i Cellar Darling?

La prima sfida è stata sicuramente tenere tutto assieme. Scrivere la musica è stata a sua volta una sfida, perché avevamo così tante idee da far confluire. Non è stato facile anche perché abbiamo dovuto riorganizzare le nostre vite. Abbiamo lasciato gli Eluveitie che non era solo il nostro hobby primario, era il nostro lavoro. Puoi immaginare perdere tante cose, Merlin ha dovuto lasciare il suo appartamento, sto lasciando il mio appartamento a mia volta, perché non abbiamo tutti quei soldi e non ci pensiamo proprio a cercare un lavoro normale… insomma tutto ritorna allo stile di vita rock and roll. Non è stato facile riorganizzare le nostre vite senza sapere come pagare lo studio e fare tutto questo, quindi la sfida è stata sicuramente sia personale che organizzativa. Il primo passo è stato riprendere dal punto di vista personale, poiché eravamo tutti afflitti dallo split, ma la cosa buffa è che in tutto questo caos scrivere la musica è stata la minore delle sfide, perché la musica è ciò che ci salva.

Quindi lo split è stato una vera mazzata anche a livello personale…

Già, ora che l’album è finito siamo davvero felici, sapendo com’è andata siamo sollevati. Fino ad ora invece è stata davvero dura per tutti noi.
 

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Veniamo quindi alla musica. Il titolo dell’album è “This is the Sound”, e sin dai miei primi ascolti ho trovato un suono più moderno e fresco, comparato al suono classico degli Eluveitie: c’è ancora una componente folk che è mescolata ad altre influenze. Cosa ne pensi di quest’evoluzione nell’approccio al sound?

Non avevamo un vero e proprio piano, non ci siamo detti: “ok d’ora in avanti suoneremo in maniera differente”, o “ok ora non suoneremo più come prima dentro questo o quel genere”… ci siamo messi a comporre e questo è ciò che siamo riusciti a realizzare organicamente. Queste sono le idee che sono uscite da noi. Questo è un po’ il motivo per il quale abbiamo chiamato così il nostro album, perché siamo stati così emozionati di trovare dentro di noi questo sound, non sapevamo noi stessi per primi cosa aspettarci. Quando lavori con un flusso simile nulla è calcolato o pianificato, non sai mai cosa succederà. Siamo molto contenta di quanto abbiamo realizzato, come hai detto tu è un suono fresco e nuovo, non mi sono mai sentita così soddisfatta della fase creativa, non ho mai avuto lo spazio per realizzare  in questo modo le mie idee. È un grande passo, direi.

Hai composto i pezzi da sola o vi siete approcciati tutti assieme?

La maggior parte dei brani abbiamo lavorato tutti assieme. Ci siamo incontrati in sala prove ed abbiamo creato i pezzi su idee mie e di Ivo, alcune delle canzoni sono ispirate da accadimenti personali, scritte a casa da me e da Ivo. Abbiamo poi fatto incontrare le nostre idee e le abbiamo arrangiate. Non si è trattato insomma di un mastermind con dietro una band di supporto, non è proprio il nostro caso.

Solitamente scrivi prima le liriche e poi la musica o l’opposto?

Principalmente prima la musica. A volte si presentano assieme nella mia mente. Non mi succede invece quasi mai di scrivere prima le liriche e poi la musica.

È vero che sei anche ingegnere del suono del disco?

Sono co-produttrice del disco. Ho lavorato a parte del materiale in prima persona a livello di eingeneering, ma Tommy Vetterelli resta il produttore principale. 

Quali difficoltà si riscontrano in questo lavoro?

Penso che la cosa più difficile sia combinare le idee, perché non sempre sentiamo la stessa cosa quando lavoriamo, ma ha funzionato molto bene con mia grande sorpresa. Tommy ed io lavoriamo sempre molto bene, è bello incontrare qualcuno e scambiarsi visioni ed idee. 

“This is the Sound” è in qualche modo un concept album? Ogni brano racconta storie differenti?

Ogni brano racconta la sua storia, non c’è un concept tematico. Penso che il concept, sempre che se ne cerchi uno, vada ricercato nelle liriche e nelle singole storie. Se ho una certa sensazione o una certa esperienza, non ne scrivo di come essa è: le prendo e le trasformo in qualcosa di differente, mostrandone alcuni aspetti.

Sul vostro sito si può leggere la citazione di Alan Garner: “THE JOB OF A STORYTELLER IS TO SPEAK THE TRUTH. BUT WHAT WE FEEL MOST DEEPLY CAN’T BE SPOKEN IN WORDS ALONE. AT THIS LEVEL, ONLY IMAGES CONNECT. AND HERE, STORY BECOMES SYMBOL; SYMBOL IS MYTH. AND MYTH IS TRUTH.” Nell’artwork del disco possiamo vedere molti simboli, qual è secondo te la relazione tra verità, simboli e mito?

I simboli nell’artwork descrivono i brani. Ho chiesto a Christopher Ruef di SAROS Collective di disegnare i simboli. È anche il frontman di una band svizzera. La mia idea era di non dirgli cosa disegnare, ma fargli sentire prima i brani e lasciarlo libero di creare un simbolo per ogni sua visione. Penso che sia questo che collega verità e mito, perché miti e racconti sono creati dalle emozioni che proviamo, ed esse sono vere: in quanto emozioni ed esperienze sono sempre vere. Ma ciò che diventano è qualcosa di diverso. Per questo penso che sia importante condividere le visioni con altri artisti, e condividere storie, disegni e simboli con un’altra persona che può vedere la stessa cosa o qualcosa di completamente diverso. Penso che sia un aspetto molto interessante, tutto è interconnesso, la musica alle immagini, ai simboli ed alle storie.

Dove trovi l’ispirazione per scrivere? Hai detto le esperienze della vita, ma magari hai attinto anche da libri o film…

Penso sia una commistione di tutto. L’ispirazione lavora nel subconscio, anche se non basta che qualcosa di forte dentro di te avvenga per dire “questo mi ispira, ora devo scrivere qualcosa a riguardo!”. Siamo ispirati dalla vita e dal suo incessante movimento, se mi fermo anche la mia ispirazione diventa stagnante. Se c’è movimento nella vita, se ci sono momenti alti e bassi, lì è possibile trovare sempre ispirazione.

Il primo brano che mi colpisce è “Six Days”, dimmi qualcosa di questi “days of nothing” citati nel testo…

Quella è una storia triste. L’ho scritta durante la notte, volevo andare a dormire ma d’improvviso ho avuto quest’idea sia delle liriche che della musica, e mi sono immaginata la fine del mondo. Non è rimasto nulla, tutto è oscuro e c’è un ultimo uomo rimasto sulla terra. Lui continua a resistere mentre l’universo è allo sfacelo e distrugge tutto ciò che egli ama. Non si capisce perché egli resista. È una storia astratta, ovviamente. Il sole, la luna, i pianeti, Dio, i demoni… sono tutti personaggi di questa storia, loro continuano a punirlo giorno dopo giorno per sei giorni e alla fine l’uomo si arrende.

Perdonami l’ignoranza, ma cos’è un “Hullabaloo”?

“Hullabaloo”? (ride) Si lo so che è una parola strana, non saprei se ha una traduzione in italiano, non esiste nemmeno in tedesco, ma sta a significare una rivolta rumorosa.

Il 16 giugno è uscito il singolo “Avalanche”, cosa puoi raccontarci? Com’è andato lo shooting del video?

“Avalanche” è un’altra storia oscura ed astratta. Riguarda un culto di suicidi composto da umanoidi che vivono nelle album: attirano le loro vittime tra le montagne, e con lo yodeling creano queste valanghe che ricoprono le persone di neve e li congelano fino alla morte.

Uccidere mentre cantano. Figo. 

Si, con lo yodeling. Nel video recito con Fabienne Fellman come nelle precedenti clip.
 

Di nuovo a tema “fine del mondo” il video di “Black Moon”…

Si, anche in questo caso ho immaginato persone rappresentative delle differenti culture e religioni, che si incontrano assieme per impazzire nella consapevolezza che tutto sta per finire. Questo non succede alla fine, come avviene spesso quando vengono fatte delle profezie con una data finale. Non succede mai nulla. Qualcosa che abbiamo sperimentato tutti molte volte. In questo volevo porre l’accento su quanto questo senso del limite connetta tutte le religioni, per quanto esse siano differenti.

Cosa ne pensi della religione, in genere?

Non sono religiosa. Il punto è che non me ne frega nulla. Conosco molti atei, ma anche gli atei si interessano troppo. Pregano anche loro il fatto che Dio non esista, e per me questo è già uno spreco di energie verso qualcosa che non sai. Perché farlo? Io credo nella mente e nel potere della nostra immaginazione. Per me questo è religione. “Dio” o qualsiasi cosa in cui uno possa decidere di credere altro non è che la sua mente. Tu sei Dio. Per questo considero molto stupide le persone che uccidono in nome di Dio, stanno uccidendo Dio uccidendo sé stessi. Questa è solo la mia opinione, ovviamente…

Quindi potresti definirti agnostica?

Si, potrei definirmi così (pensa), non impegno molto tempo a pensarci: vivo nel qui ed ora, ma potrebbe essere una buona definizione. Non mi interessa, ma d’altro canto puoi trarre molta ispirazione da queste cose. Non sono certo il tipo da dire: “la religione è merda, andate tutti a…”, penso che ognuno debba fare quello che preferisce ma non è bene quando finisce per ferire gli altri. Questo purtroppo avviene troppo spesso.
 

Quali sono le band ed i musicisti che ti hanno influenzato maggiormente?

Domanda difficile. Sono influenzata da parecchie cose differenti. Tutto è iniziato con la musica classica, sono cresciuta in una famiglia di operisti. Ho assistito a molte opere e concerti classici, e questo mi ha sempre ispirato molto. Ho ascoltato un sacco di black metal da teenager e lo ascolto ancora. È molto strano visto che ascolto musica completamente diversa dal genere che scrivo. Mi piace anche molto la musica sperimentale come Ulver, il trip-hop, Massive Attack. Sono una grande fan di Björk, penso che il suo modo di cantare sia molto espressivo ed è anche quello che cerco di fare io. 

…e come hai imparato a suonare l’hurdy-gurdy (ghironda), e quando hai pensato di poterlo usare nel rock e nel metal?

Ho iniziato a suonarlo dieci anni fa circa. Mi sono unita agli Eluveitie poco dopo aver iniziato a studiarlo, ed ho imparato mentre suonavo nella band. Quindi sempre in una rock band e mai in maniera tradizionale. Mai suonato roba medievale, per intenderci. Mi piace suonarlo nella musica rock, ed ora sto sperimentando sempre di più applicando degli effetti, sto cercando di studiare modi creativi di utilizzarlo.

Preferisci ascoltare musica in digitale, vinile o CD?

In realtà tutte e tre. Quando sono a casa ascolto principalmente LP, in treno, quando sono in viaggio ascolto principalmente musica in streaming, ed ho anche tantissimi CD. Insomma uso praticamente tutti i medium.

Chiudiamo con la frase di rito: il tuo messaggio ai nostri lettori!

Abbiamo già suonato in Italia, ma posso già dire che ci piacerebbe tornare presto in nel vostro paese, siete siete sempre molto accoglienti, il pubblico è caldo e la cucina è fantastica! A presto!

 

Intervista a cura di Luca “Montsteen” Montini