Black

Intervista Derhead (Derhead)

Di Stefano Santamaria - 31 Marzo 2017 - 1:00
Intervista Derhead (Derhead)

Abbiamo voluto parlare con Derhead, progetto black metal tutto italiano introspettivo ed originale. Ascoltiamo cosa ha da dirci.

 

Intervista a cura di Stefano “Thiess” Santamaria

 

1. Ciao, grazie per la disponibilità, e complimenti per il tuo progetto. Parlaci un po’ di te. Abbiamo letto che sei attivo in più band. Come nasce in te la passione per la musica e quali sono stati, in passato, le bands che ti hanno più colpito ed influenzato, a livello di sound?

Grazie a voi per questo spazio! Ho iniziato a suonare abbastanza presto. La musica per me è sempre stata più che altro un modo per esprimermi e quindi con molta curiosità e poca tecnica ho provato un un po’ tutti gli strumenti del rock. Da metà degli anni 90 ho iniziato ad ascoltare black metal; è il genere con cui sono cresciuto e a cui ancora oggi sono legato. Derhead quindi, al di là delle altre band con cui suono generi completamente diversi, nasce proprio dall’esigenza di esprimermi con la massima libertà con ciò che mi viene più naturale.

Le band che più mi hanno influenzato sono quelle che, tra gli anni 90 e 2000, hanno iniziato ad andare oltre ai confini del black metal come era inteso fino ad allora: Satyricon, Dodheimsgard, Aborym, Manes, Ulver per dirne alcune. Sono molto legato a quegli anni e quelle produzioni hanno sicuramente influenzato il mio modo di vedere la musica. 

2. Come mai hai deciso di creare il Derhead? Da cosa deriva questo moniker?

Derhead nasce nel 2001, quando suonavo gothic metal con i The Void, ed era inizialmente un modo per esternare una parte più violenta ed estrema che non era non adeguata a quella band. Nello stesso periodo avevo iniziato a lavorare in uno studio di registrazione, così unendo queste due passioni è nato il primo demo, una sorta di esperimento per mettermi alla prova ed avere pieno controllo di ogni aspetto della composizione e della registrazione.

Il moniker molto semplicemente deriva da “The Head”. L’articolo in tedesco “der” e le due parole attaccate sono solo una questione estetica. Il significato invece si può trovare nelle tematiche che spesso tratto che derivano dalla mia passione per la filosofia, la psicologia e tutto ciò che in generale riguarda il pensiero.

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3. Se dovessi definire te stesso, ed il modo in cui fai musica, come lo faresti?

Credo che userei la parola contrasto. È sicuramente qualcosa che rappresenta il mio modo di essere: un equilibrio che non passa mai dalla via di mezzo, ma che si trova cercando di bilanciare gli estremi. E penso che questa attitudine si trovi anche nella mia musica, a tratti melodica, a tratti violenta, fatta di linee che si intrecciano e di parti che si scontrano… o almeno questo è il mio intento!

4. La tua è una one-man band. Non hai mai pensato di coinvolgere altri artisti nel tuo progetto?

In realtà non ci ho mai pensato perché questo progetto è nato proprio dall’esigenza di uscire dall’ottica di una band! Avere una band è una cosa che amo, ne ho sempre avute e tuttora suono in 3 gruppi, ma essere un progetto solista è un’esperienza a sé, ci sono dinamiche diverse, bisogna prendere decisioni senza avere un confronto, non ci sono compromessi. Essere una one man band ti mette di fronte tutti i pro e i contro della libertà. In un certo senso è un’esperienza che ti forma anche umanamente ed è una dimensione in cui mi trovo a mio agio.

5. In cosa pensi di dover ancora migliorare?

Da un punto di vista tecnico direi quello che riguarda la produzione e la registrazione: sono aspetti migliorabili sicuramente con l’esperienza e lo studio, ma anche interessanti da gestire quando si lavora da soli perché bisogna cercare di avere il controllo di tutto senza affezionarsi alle proprie idee quando non funzionano, rimanendo concentrati e obiettivi. Il secondo aspetto è quello della personalità nella composizione, nel senso che ci si ritrova inevitabilmente a confrontarsi con soluzioni fortemente influenzate dai propri ascolti. Ovviamente non ambisco alla perfezione o all’originalità in senso assoluto, ma vorrei migliorare sotto l’aspetto del coraggio in certe scelte musicali.

6. Hai mai pensato di esibirti dal vivo, magari con qualche guest a darti una mano?

Diciamo che preferisco la dimensione dello studio di registrazione. Amo avere il tempo di riflettere sulle cose, curare i dettagli, avere la libertà di scegliere, di aspettare il momento in cui si è realmente coinvolti nella musica che si sta suonando. Poi appunto ci sono anche questioni logistiche da affrontare, le band con cui già suono live, trovare altri musicisti, per cui, almeno al momento, non penso ci sarà un’attività live.

7. Abbiamo notato come, nel corso degli anni, il tuo sound è diventato sempre più raffinato. Nel 2003, ho sentito qualche influenza symphonic, poi nel 2013 l’industrial, ed ora, un sound che richiama l’avantgarde in stile norvegese. Pensi questa sia la tua evoluzione definitiva, oppure hai anche altro in mente, a livello di proposta?

No, non credo sia la mia evoluzione definitiva. So di essere una persona che ha costantemente bisogno di stimoli nuovi ed è per questo per esempio che suono in band che vanno dal rock all’elettronica: ho bisogno di spazi diversi in cui incanalare ogni lato della mia personalità. Tornando a Derhead, penso che VIA, al netto degli anni trascorsi con i precedenti demo e di alcune sfumature stilistiche, sintetizzi abbastanza bene il mio modo di comporre e suonare, quindi in un certo senso credo che possa essere perlomeno la base su cui costruire il futuro. Il materiale che sto scrivendo in questi mesi è abbastanza in linea con questo EP, ma il mio modo di comporre è talmente caotico e frammentario che per avere io stesso un’idea di quello che succederà dovrò aspettare il momento in cui darò una forma a tutte le idee che sto raccogliendo.

8. Cos’è stato fonte di ispirazione per i  tuoi brani e quali tematiche hai trattato?

VIA non è propriamente un concept, ma le 3 canzoni possono essere legate da una sorta di percorso nel quale sono rappresentati tre passaggi verso una forma di conoscenza di se stessi.

Il primo brano “Cenere” parla di uno stato mentale nel quale si è fermato il tempo. Non esiste futuro, ma il passato non è concepito come compiuto e viene rielaborato e vissuto come presente. E questo “loop” diventa una chiusura verso la vita. “Piombo” parla dell’esperienza dell’ignoto, di quello spazio buio che è ciò che non riusciamo nemmeno a concepire in assenza di riferimenti dati. In un certo senso è come se l’uomo tentasse di conoscere sempre ciò che già conosce, e che è inevitabilmente condizionato da strutture culturali. “Via”, l’ultimo brano, è una sorta di rinascita, di liberazione: il piacere dell’attimo, lo scontro come creazione, la distruzione dell’ideale a beneficio della vita.

Riguardo all’ispirazione per questi testi in particolare direi principalmente Nietzsche, Bataille, Cioran, ma in generale le fonti possono essere molto varie, cerco di tenere sempre gli occhi aperti per cogliere nuovi spunti.      

9. Progetti per il futuro? Ci sono già nuovi pezzi pronti?

Sicuramente mi piacerebbe scrivere un album, sarebbe una bella prova a livello personale, ma vedremo se avrò abbastanza materiale. Mi piace trovare sempre un filo comune per il materiale che scrivo, creare un progetto organico, per cui non so se il contenitore giusto sarà un full-length, un EP o altro. Per quanto mi riguarda l’importante è trovare la forma giusta per le idee del momento, poi il resto viene da sé. Circa i nuovi pezzi sto producendo un po’ di materiale, ma attualmente sono solo appunti, bozze e idee registrate nei modi più disparati: spero che arrivi presto il momento di fare ordine, se possibile entro quest’anno.

10.  Qualcosa che vuoi dire, o aggiungere, a cui non abbiamo saputo dar spazio in precedenza?

Vorrei solo aggiungere che questo Ep è cantato in italiano. Lo specifico esclusivamente perché è un lavoro a cui tengo molto e ho voluto cimentarmi con la nostra lingua proprio per potere dare una forma precisa alle mie idee senza passare attraverso il filtro della traduzione. Al di là del risultato, per me è stata una prova interessante sia nella forma che nel contenuto; scrivere in italiano da un lato ti mette di fronte a te stesso, alla tua sincerità in un certo senso, dall’altro ti permette molta libertà creativa.

11.  Grazie per la disponibilità, un saluto da True metal e da Thiess, augurandoti di raggiungere i traguardi che ti sei prefissato.

Grazie a te e a True Metal per il supporto! Se siete interessati ad ascoltare la mia musica mi trovate su bandcamp e facebook. Un saluto a tutti i lettori!

derhead