Gothic

Intervista Lacuna Coil (Cristina Scabbia e Andrea Ferro)

Di Davide Sciaky - 24 Maggio 2016 - 8:00
Intervista Lacuna Coil (Cristina Scabbia e Andrea Ferro)

Un paio di mesi prima dell’uscita del nuovo album “Delirium” abbiamo parlato con Cristina e Andrea, i due cantanti dei Lacuna Coil, del nuovo album, della nuova formazione della band , dell’evoluzione del sound e di altro ancora.

Potete leggere qui la recensione di “Delirium“!

Ciao Cristina, ciao Andrea, come state? Prima di iniziare a parlare del nuovo disco vorrei parlare di questi ultimi due anni che si sono rivelati estremamente importanti per i Lacuna Coil. La formazione è praticamente rivoluzionata a causa dell’abbandono di alcuni membri storici. Vi andrebbe di raccontarci cos’è successo?

Cristina: Va tutto bene, siamo molto contenti: l’album è stato accolto in maniera molto positiva e, insomma, la cosa ci rende molto felici.

Allora, due hanno deciso di lasciare il gruppo più di due anni fa, quindi è una cosa che ormai è stata assorbita; semplicemente volevano cambiare vita, tant’è che non fanno nemmeno più i musicisti, hanno proprio cambiato stile di vita.
Probabilmente il fatto è che erano stanchi della vita on the road, il nostro batterista ha avuto una bambina e voleva dedicare più tempo alla famiglia e lo stesso per il chitarrista che si è addirittura trasferito in America.
Per quanto riguarda Maus è la ferita aperta più fresca perché ha deciso di lasciare i Lacuna Coil a Dicembre, credo che l’abbia comunicato un po’ più avanti, e stiamo ancora assimilando, fa sempre strano vedere un fratello, perché alla fine è un fratello che è stato con noi per così tanti anni, cambiare direzione.
Però questo shock ha portato una motivazione e un’energia diversa, una voglia ancora più grande di fare qualcosa di diverso; anche l’ingresso di Ryan Folden alla batteria ha cambiato un po’ le carte in tavola perché, nonostante sia con noi da un po’ di anni ormai, è il primo disco in cui ha la possibilità di registrare davvero il suo strumento suonato da lui e ha cambiato un po’ le cose, ha portato un diverso tipo di energia.

 

Ecco, proprio su Ryan volevo chiedervi la prossima domanda: Ryan è il primo membro dei Lacuna non italiano,  come cambia lavorare con lui rispetto al passato in cui eravate tutti italiani?

Andrea: Sicuramente essendo americano ha un’esperienza diversa dalla nostra; essendo anche un ragazzo più giovane di noi, per la sua età ha già moltissima esperienza proprio perché in America si comincia molto presto a fare tour in giro col furgoncino, in giro per tutti gli States, quindi ha un bagaglio di esperienze molto più vasto rispetto ad uno di pari età non americano; quello che ci interessava a noi non era tanto che fosse americano quanto che è una persona che si è amalgamata molto bene con noi a livello personale, ovviamente è anche un ottimo batterista.
Non era un problema che fosse americano o meno, il discorso era proprio che è una persona con cui ci troviamo veramente bene a lavorare, che ha portato molta energia, molti stimoli anche ovviamente avendo anche più “fame” rispetto a noi che sono più anni che facciamo questo, ma ha rinnovato anche a noi l’energia vitale come band, quindi è stato importante averlo, ma anche la scelta naturale per noi dopo tanti anni che lavora per noi, prima come tecnico e poi come batterista.

E’ stata quindi la scelta più logica che ci è venuta, anche se poi non sapevamo magari cosa voleva dire avere un membro che abita dall’altra parte del mondo.

 

Il nuovo disco si rivela più aggressivo rispetto ai suoi predecessori. Pur essendo facilmente riconoscibile il vostro marchio di fabbrica, sembra aprire verso nuovi orizzonti. E’ stata una naturale evoluzione o gli avvenimenti di questi ultimi due anni hanno inciso portando nuovi stimoli?

Cristina: E’ dovuto a diversi motivi: ovviamente il fatto dell’entrata di Ryan, che è un motore completamente nuovo che porta un’energia diversa, il fatto che le tematiche fossero più pesanti, anche, rispetto al passato ovviamente ci ha portato in una direzione più “heavy” anche per decorare quello che volevamo dire.
E poi non ci siamo posti alcun limite, questa volta abbiamo deciso di spingere sull’acceleratore, di dimenticare quello che avevamo fatto come idea di direzione da intraprendere, abbiamo deciso di fare quello che ci sentivamo, se ci venivano parti un po’ più estreme cercavamo di lavorare sulla canzone andando completamente in quella direzione senza bloccarci perché una canzone poteva sembrare non propriamente Lacuna Coil.
Siamo andati così, a ruota libera [ride]
Poi anche il fatto di produrci l’album da soli ha permesso di utilizzare dei suoni che abbiamo sempre desiderato e di curare ogni piccolo particolare; nonostante abbiamo sempre avuto la piena possibilità di essere creativi con la nostra musica, nel momento in cui comunque si lavora con un produttore esterno ci sono sempre quei piccoli episodi o di compromesso, oppure episodi in cui inconsciamente ci si fa condizionare e si va in una direzione piuttosto che un’altra.

Qui abbiamo fatto tutto noi, ed è tutta nostra responsabilità anche [ride] perché è tutto fatto da noi.

 

Una delle prime cose che balzano all’orecchio durante l’ascolto di “Delirium” è il cambiamento della voce, in particolare con un largo uso di “growl” da parte di Andrea. E’ come se aveste “abbandonato” il dialogo tra le due voci puntando maggiormente a un loro contrasto. Com’è nata quest’idea?

Cristina: Più che cambiamento diciamo ritorno, nel senso che avevamo già utilizzato delle parti in growl, non così tanto, ma non è una cosa nuovissima in casa Lacuna Coil.
Diciamo che proprio l’uso molto esteso sia del growl che di cantati diversi proprio dal solito, sia miei che di Andrea, ci è venuto sempre naturale anche ispirandoci alla musica.

Facendo un passo indietro di un po’ di anni, a partire da “Comalies” avete introdotto nel vostro sound quella che è stata definita come un’americanizzazione che nei dischi successivi è stata più o meno marcata. In “Delirium” le chitarre tornano estremamente pesanti e in alcuni frangenti si nota una certa influenza Korn. Potete raccontarmi come nacque questa evoluzione?

Andrea: in realtà secondo me anche su “Unleashed Memories” ci sono dei pezzi che già tendevano ad un Metal più moderno, poi se vogliamo chiamarlo “americano”, ma non necessariamente, è proprio un approccio un po’ più moderno rispetto al classico Gothic Metal, ecco, ti direi che magari era un po’ più su quello stile, poi piano piano “Comalies” ha avuto un grande successo proprio in Nord America non per niente, veniva anche suonato alla radio, perché era una via di mezzo tra il nostro suono più “europeo” classico e un’evoluzione in un Metal più moderno, anche americano volendo.
Quindi è stato un processo abbastanza naturale, anche perché abbiamo iniziato a vivere in America per lunghi periodi per tutti i tour che abbiamo fatto quindi ovviamente tutto quel tempo passato ti aggiunge anche influenze di musica diversa, è inevitabile, persino i Rolling Stones hanno avuto il loro periodo dove si sono “americanizzati” perché facevano tantissimi tour in America eccetera.
E’ proprio la questione che noi viviamo a metà tra l’Europa e l’America, quindi il nostro sound rispecchia questo nostro equilibrio tra due mondi, e tra tutti i gruppi che potresti accumunare a noi siamo forse quello che di più ha contaminato il proprio suono, però è una cosa che a noi piace, cioè a noi piace comunque suonare con un gruppo contemporaneo con le caratteristiche di base dell’Europa, quindi usare certe cose più sinfoniche, arrangiamenti con violini, violoncelli, viole, e invece dall’altro lato usiamo un approccio un po’ più, tra virgolette “in your face” come dicono, cioè più ritmico, soprattutto nella sezione ritmica, che da più immediatezza al sound, quindi il nostro suono è in bilico tra le due cose, sicuramente.

 

Tornando al nuovo album, da dove nasce la scelta di un titolo come “Delirium”?

Cristina: E’ una parola che praticamente è scaturita durante la scrittura della canzone “Delirium” a casa di Marco dove ci troviamo di solito a lavorare sui testi e sulle linee vocali; nel momento in cui ci è venuta in mente questa parola ci si è spalancata proprio la porta dell’ispirazione e abbiamo cominciato a lavorarci su, abbiamo immediatamente visualizzato l’album non solo dal punto di vista musicale, ma anche dal punto di vista visivo, volevamo che il disco fosse quasi una sorta di film, come se “Delirium” fosse la colonna sonora di un momento intenso e reale, quindi non c’è nemmeno una canzone che emerga più delle altre, si tratta proprio di ascoltare l’album nella sua interezza e di viverlo.
E’ nato tutto qui, è nato tutto dalla parola “Delirium” mentre lavoravamo a quella canzone.

 

Qual è la canzone a cui vi sentite più legati, se ce n’è una, all’interno tra quelle che compongono “Delirium”?

Cristina: allora, a livello personale forse sì, direi “Downfall” perché l’ispirazione è presa da un mio momento personale, familiare, quindi siamo partiti da quell’idea di descrizione, poi comunque abbiamo cambiato delle parole per rendere la canzone in maniera più metaforica.
Però in realtà siamo legati veramente a tutte perché ogni canzone riporta qualcosa di sentito, di vissuto in prima persona sia da singoli che come gruppo, quindi veramente è difficile identificarne una…

Andrea: Sì, non c’è forse un pezzo che è rappresentativo di tutto il disco, proprio perché ci sono diversi stili di canzoni, quindi per esempio “Delirium” potrebbe essere forse la canzone più orecchiabile del disco, però non c’è solo quello, ci sono canzoni come “Blood, Tears, Dust” o “The House of Shame” o “Ultima Ratio” che sono decisamente diverse da quella.

Rispetto al passato è più difficile identificare un solo pezzo che rappresenta il disco.

 

La copertina, rispetto a quelle che hanno caratterizzato fin qui i vostri dischi, risulta un po’ atipica. Come è nata l’idea e chi si è occupato della sua realizzazione?

Cristina: E’ un’idea che è nata dopo perché avendo curato anche l’aspetto visivo di tutto, abbiamo curato anche l’idea delle foto, abbiamo fatto le foto con l’aiuto di un fotografo che potesse eseguire quello che desideravamo noi.
Per la copertina è un discorso diverso perché è nata in maniera quasi casuale: abbiamo trovato questo stanzino nel luogo in cui ci trovavamo a fare le foto che quasi non si vedeva da fuori e abbiamo deciso di scattare qualche foto allo specchio, giocando con questo riflesso sullo specchio.
Istintivamente ho cominciato a scrivere la parola “Delirium” allo specchio senza neanche pensarci, ma immaginandomi qualcuno che scrive con ossessione la stessa parole più volte e quando abbiamo visto quei pochi scatti fatti davanti allo specchio abbiamo visto subito che comunque il nome si vedeva bene, l’immagine era bella, era bello il fatto che la faccia riflessa allo specchio fosse quasi distorta, non era un’immagine rassicurante, era anche un po’ inquietante, ma comunque una bell’immagine da vedere che aveva anche incorporato il titolo dell’album quindi non saremmo neanche dovuti intervenire più di tanto in post produzione.
E’ una cosa che ci è piaciuta e l’abbiamo tenuta.

 

Venite spesso indicati come una “female-fronted band” cosa pensate di questa definizione?

Cristina: il fatto di avere una donna nel gruppo probabilmente porta ad avere questa definizione, però direi che siamo uno dei pochi, pochissimi gruppi in cui è proprio evidente quest’identità di gruppo.

Andrea: possiamo dire invece che siamo una “male-backed band”

Cristina: esatto [ride]

 

Sì ecco, mi sembra una definizione che sminuisce un po’ la presenza di Andrea

Cristina: è fe-male, in realtà ci sono tutti e due nella parola stessa quindi può funzionare lo stesso [ride]

Andrea: sì, è un po’ limitativo ovviamente, però d’altronde c’è bisogno di categorizzare o per vendere, o per far capire alla gente di che cosa si sta parlando quindi ci sta; in effetti è un termine limitante però chi se ne frega, se serve, alla fine basta che uno ascolti la musica e capisca se gli piace e quello è la cosa più importante.

 

Ciao Cristina, ciao Andrea, grazie per il tempo che ci avete dedicato.

Cristina: Grazie a te!

Andrea: Grazie e a presto!

 

Intervista a cura di Davide Sciaky e Marco Donè