Recensione: Delirium

Di Nadia Giordano - 24 Maggio 2016 - 0:00
Delirium
Band: Lacuna Coil
Etichetta:
Genere: Gothic 
Anno: 2016
Nazione:
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83

Leggi qui la nostra intervista ai Lacuna Coil!

Giunti ormai al loro ottavo album, gli italiani Lacuna Coil non hanno certo bisogno di essere presentati. La loro fama li precede in ogni dove, ma è proprio nel loro paese natio, il Nord Italia, che hanno tratto l’ispirazione per questo nuovo lavoro.

Prima però di descrivervi il platter è bene introdurvi nella giusta ottica, in modo tale da permettervi di assaporare al meglio l’ascolto futuro.

Dovete sapere che tra le colline del Nord Italia sono sempre stati presenti un gran numero di sanatori, molti dei quali sono stati abbandonati e lasciati al loro naturale stato decadente. E’ proprio negli antri di queste strutture così fatiscenti, che ancora oggi riecheggiano le anime di migliaia di menti, tormentate dal dolore e dalla sofferenza.

Tutto questo è “Delirium” e voi, ci siete appena entrati…

 

“House Of Shame”, prima traccia di questo album, ci accompagna all’interno di questa struttura. Il brano inizia con un coro di voci angeliche che immediatamente vengono spazzate via dalla voce aggressiva di Andrea che si contrappone a quella cristallina e soave di Cristina.

Il tutto viene reso ancora più ricco e pesante dal carisma e dalla tecnica del giovane batterista americano Ryan che, sebbene sia con la band da diversi anni ed abbia presenziato, prima come tecnico e poi come batterista del gruppo, non ha mai avuto l’occasione di registrare un album con i Lacuna Coil prima di questo.

In “Broken Thing” è ancora la voce di Andrea a fare da filo conduttore con la traccia precedente, anche se le linee vocali, così come la parte strumentale, risultano essere più smorzate e morbide.

La titletrack “Delirium” è senza dubbio il brano più immediato ed orecchiabile dell’intero disco. Qui, le voci di Andrea e Cristina anziché essere così fortemente contrapposte, ritornano ad essere più melodiche e a completarsi vicendevolmente, cosa che accadeva molto frequentemente nei vecchi lavori.

“Blood, Tears, Dust” risulta invece essere la traccia più moderna e creativa dal punto di vista musicale. Una sorta di evoluzione sonora della band grazie anche all’uso di suoni più elettronici. Da ricordare anche il forte contributo dato in questo brano dalla guest star Myles Kennedy (Alter Bridge, Slash). La successiva “Downfall” trae ispirazione da un trascorso personale della cantante, qui però riadattato in una forma più metaforica. Questa è  l’unica traccia ad essere proposta sotto forma di ballad e l’unica dell’intero disco ad avere una parte orchestrale così dominante.

Ma non dobbiamo dimenticarci del luogo in cui ci troviamo, luogo in cui i Lacuna Coil ci hanno fin qui condotti…il sanatorio. 

Infatti con “Take Me Home” riaffiorano tutte le paure delle persone che venivano ricoverate in questa struttura e che qui trascorrevano la loro vita, nel dolore, nella solitudine e nella sofferenza, in attesa dell’ultimo respiro.

Ma benché la morte avesse preso i loro corpi, la loro anima restava imprigionata in questo luogo di tremenda ed agghiacciante disperazione.

 

Take me for a ride.

This is room for many more

 

Con la successiva “You Love Me ‘Cause I Hate You” viene nuovamente rimarcato il disagio che questo posto provoca. Qui Cristina introduce il brano in modo armonioso e melodico, intriso da una vena di malinconica pazzia, a tratti struggente, che viene lacerata dal growl di Andrea che culmina, sul finire del brano, in un urlo straziante.

“Ghost In The Mist” e “My Demons” riprendono come stile compositivo “Blood, Tears, Dust”. Suoni duri e pesanti, spezzati dalla chiara voce di Cristina, che si contrappone a quella di Andrea che viene sfruttata al meglio in entrambi i brani, dando prova delle sue grandi potenzialità. Anche per “Claustrophobia” vale lo stesso discorso fatto per la title-track. Questo brano risulta essere estremamente radio-friendly, molto orecchiabile, immediato ma che, a differenza di “Delirium” si contraddistingue per il possente riff dato dalla sei corde.

Chiude questo interessantissimo lavoro “Ultima Ratio”. L’estrema ed ultima soluzione che ci resta per concludere questo viaggio. Soccombere al dolore, ai tormenti ed alla sofferenza o trovare la cura per salvare la propria anima? 

Solo questo ci resta da fare, prima di dire addio per sempre alla nostra esistenza.

Ma veniamo all’analisi di questo album. Notiamo subito che si discosta notevolmente dai precedenti lavori per l’uso di sonorità volutamente pesanti e cadenzate, che accompagnano l’ascoltatore in tutte le undici tracce.

Interessante è l’uso, molto presente, del growl di Andrea Ferro che si fonde perfettamente con la voce calda e ricca di phatos di Cristina Scabbia. Buona performance anche per il batterista Ryan Blake Folden, per il suo sapiente bilanciamento nell’uso della doppia cassa, che non risulta essere né invadente né tantomeno stucchevole e per il lavoro eseguito, nella sezione ritmica, dal bassista Marco Coti Zelati che, ricordiamolo, oltre ad occuparsi del songwriting, cura anche la sezione synths e tastiere.

Sebbene i Lacuna Coil vengano da taluni accostati al filone gothic, quasi tutte le tracce di questo album si discostano notevolmente dal sopra citato genere, diventando, se proprio vogliamo scadere nella mera suddivisione musicale, di natura heavy, anche se con un approccio molto più contemporaneo, moderno e pesante. 

Forse questa attitudine è data dal fatto che il gruppo ha interamente prodotto da sé “Delirium” e che quindi non ha avuto influenze esterne durante la fase creativa.

In conclusione, consiglio vivamente questo disco e mi riferisco soprattutto a quegli appassionati che continuamente ed irrimediabilmente tendono a paragonare ogni singolo lavoro dei Lacuna Coil al primo “Comalies”. Questo nuovo album si discosta completamente da tutto ciò che la band ha proposto fino ad ora per ispirazione, songwriting ed esecuzione, quindi, anche solo per mera curiosità, merita un ascolto.

 

Produzione: Da qualche anno a questa parte sembra essere migliorata notevolmente. Suoni ben curati per timbrica e profondità donano un risultato di ottimo livello. Buono l’ equilibrio tra voci e strumenti, forti anche del contributo dato dal basso. Benchè non sia questo il caso, alcuni precedenti lavori non hanno sempre valorizzato al meglio questo strumento, che molto spesso tendeva a restare troppo indietro nella scena. 

Piccola nota a parte va all’interessante lavoro fatto da Reference Laboratory che ha impiegato i proprio cavi (come mostrato sulla pagina facebook della stessa band) su microfoni dinamici Audix OM7, che sono stati, per la prima volta, adoperati da Andrea e Cristina per le tracce vocali. Il tutto si traduce in un ottimo risultato timbrico.

Ricordatevi sempre che il cavo non aggiunge e non deve aggiungere mai niente, semmai toglie. 

Se uno vi dice che un cavo è migliore, in realtà vi sta dicendo che toglie meno di un altro, che è un cavo più trasparente di un altro.

                                                                                                                              

                                                                                                                                                                                                     Angelo Tordini – Reference Laboratory 

Per informazioni ed approfondimenti vi rimando al link di Reference Laboratory

 

 

Nadia “Spugna” Giordano

 

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