AOR

Intervista Place Vendome (Michael Kiske)

Di Luca Montini - 21 Aprile 2017 - 21:00
Intervista Place Vendome (Michael Kiske)

Ciao Michael e benvenuto su Truemetal.it! Come va? Come stai passando il tempo?  

Bene, e tu? Stavo guardando un episodio della serie Grimm.

Stavo riflettendo sul fatto che non sembri un utente accanito dei social network, di questi tempi sai, mi preparo metà delle interviste spulciando su Facebook…

Si, sai il primo social al quale sono iscritto è stato Instagram. Giusto per caricare qualche piccolo video o qualche foto. Sono registrato anche su Facebook ma non ne faccio molto uso. Per parecchie cose penso che i social siano utili ma non sono il tipo da abusarne. C’è gente che passa tutta la giornata lì sopra postando qualsiasi cazzata che gli succede durante il giorno e di cui non interessa a nessuno. Poi ci sono anche cose interessanti ma la gente lo riempie di cazzate. 

E che mi dici invece dell’utilizzo dei social media per la promozione musicale? Oggi gran parte della comunicazione si basa su di essi.

Penso sia una bella cosa, per quel tipo di utilizzo. Mi piace Internet, lo uso assiduamente da parecchi anni, almeno dall’inizio degli anni duemila ho iniziato ad interessarmi ai computer. Certo avevo un computer anche prima di allora ma non ero collegato ad Internet. Comunque penso sia ottimo specialmente quando viene utilizzato per rivelare o comunicare qualcosa al pubblico senza alcun tipo di filtro. Ora tu mi stai intervistando, poi trascriverai il pezzo, lo aggiusterai e lo pubblicherai. Spesso mi è capitato di rileggere mie interviste nelle quali il risultato finale era pessimo. Questo non accade quando sei tu a comunicare in prima persona le tue cose. Ma d’altra parte c’è anche gente che potrebbe spacciarti per te e scrivere altre cazzate. Insomma anche Internet ha i suoi alti e bassi, ma in generale penso che sia un mezzo incredibile per la comunicazione e la ricerca delle informazioni.

Ti prometto che in quest’intervista non farò un disastro. Almeno, ci provo!

Sisisi, tranquillo, nella maggior parte dei casi i risultati sono ottimi, non intendevo certo te. (ride) Però si, molto spesso mi è successo nella vita, la maggior parte degli intervistatori sono amichevoli, informati ed appassionati di quello che ho fatto in passato e ne escono belle interviste. In altri casi c’è gente che si crede furba ed aggiusta alcune espressioni, ed ho letto articoli anche sulle riviste che riprendevano mie dichiarazioni alterate. Per questo non leggo mie interviste da secoli, almeno dalla fine degli anni ’80. Prima rilascio le interviste e poi me ne dimentico. Facciano quel che vogliono! Di solito attingo preferibilmente informazioni dai fan o dal management che mi passa qualcosa, ma non sono certo io a cercarle!
 

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Parliamo del nuovo disco dei Place Vendome “Close to the Sun”, uscito lo scorso 24 febbraio via Frontiers Records. Quali sono le prime reazioni della critica e soprattutto, come mi dici, dei tuoi fan?

La differenza rispetto al disco precedente è che sembra piacere a tutti. Non ho sentito cose negative riguardo a questo disco, e così lo sento anch’io. Mi piace molto, è uscito molto bene. È chiaramente un disco AOR, non è certo reinventare la musica o roba del genere, ma per ciò che vuole essere, nella sua produzione, nel modo in cui mi sono divertito a cantare, penso sia molto ben realizzato. 

Anche a noi è piaciuto veramente molto, anche a giudicare dalla recensione del nostro Nicola Furlan! Ho apprezzato anche la cover dei DGM “Hereafter”, per dirne una. Quando hai sentito per la prima volta il brano originale?
 
Non sapevo neppure fosse una cover! Credevo fosse un brano come gli altri e sono stato molto sorpreso quando ho sentito la qualità della voce nel brano pilota. Ma né io né Dennis [Ward, produttore, mastermind chitarra e basso dei Place Vendome n.d.M.] sapevamo che si trattasse di una cover. L’abbiamo missata e tutto quando Dennis mi manda un SMS col link al video su youtube e mi son detto “Ah. Ah. Oook…” [stupore]. Se l’avessimo saputo forse avrei cambiato ancora di più l’impostazione. Stavo solo cercando di seguire a modo mio la linea del cantante [Mark Basile], perché non sapevo fosse un pezzo già rilasciato! Bene così, comunque, altrimenti sarebbe stata di sicuro molto diversa!

Come al solito il disco è prodotto da Dennis Ward, sotto la supervisione di Serafino Perugino e Frontiers Records. Il songwriting è di numerosi autori, come Magnus Karlsson, Jani Liimatainen, Olaf Thörsen, Fabio Lione, Simone Mularoni, Alessandro Del Vecchio, Aldo Lonobile e Mike Palace. Ma in concreto cosa succede quando entri in studio? Hai pronte le partiture così come I testi?

Il più delle volte, si. Se non mi piace qualcosa certo correggo e sistemo, ma di solito si tratta di piccole cose. Considera comunque che quando mi arrivano i materiali per essere cantati sono già passati per Dennis che ha fatto il suo lavoro: gli arrangiamenti, i brani sono stati accorciati… lavora molto sui pezzi, di solito chi scrive ci propone brani troppo lunghi, lui riesce a catturarne l’essenza e quando arrivano a me cerco di metterci del mio, come interpretare alcune parti, come farle funzionare meglio. Registro un pomeriggio e se non mi soddisfa replico il giorno successivo. A volte il lavoro è brevissimo, come in “Strong” che ho registrato in 45 minuti anche se non avevo mai sentito il brano prima. A volte impiego anche tre giorni per registrare un solo brano finché non mi soddisfa, finché non lo sento veramente mio. Occasionalmente modifico le liriche, spesso ribaltandole. Magari non mi piace il significato perché la penso all’opposto, anzi molto spesso la penso al contrario di molta gente quindi le modifico per farle aderire al mio pensiero.

Certo, devi credere in quello che canti.

Esatto. D’altro canto è il bello della libertà. Cerco comunque sempre di non condannare una canzone troppo presto. Quando hai un’idea non ancora raffinata di una canzone tendi ad avere pregiudizi, sia in positivo che in negativo. Poi ci lavori, la canti più volte e molto spesso di fronte a brani che consideri solo “ok”, una volta cantati, missati e prodotti il risultato è strabiliante, perché sono cresciute. Ci sono anche brani che consideri “killer” su disco e poi non crescono più dopo i primi ascolti. Per questo non bisogna giudicare troppo in fretta. Quindi se sento che un brano ha anche solo qualcosa di meritevole vale sempre la pena di registrarlo e vedere come va a finire.

Registri tutto in Amburgo?

Si, non ho un vero e proprio grande studio visto che registro la voce, quindi non ho bisogno di particolari attrezzature.

Ho letto su facebook dei post di Fabio Lione ed Olaf Thorsen che si dicevano onorati di aver contribuito con due brani, “Helen” e “Riding the Ghost”, per una tra le più importanti voci della nostra musica preferita… cosa ne pensi del loro lavoro?

“Riding the Ghost” ed “Helene”… grandi canzoni! Beh posso solo dire che sono loro a dover essere fieri di averle scritte, ho avuto molto piacere nel registrarle! Ma del resto mi sono piaciute tantissimo quasi tutte, penso che rispetto a “Thunder in the Distance” abbiamo molta più varietà e differenti stili ed approcci.

Ci sono anche Aldo Lonobile, Alessandro Delvecchio e Simone Mularoni nella lista di autori italiani di questo disco, oltre ovviamente a Serafino Perugino. Come ti senti a cantare tutti questi brani che in un certo senso parlano italiano?

Ti dirò, non è che faccia poi così caso a questo fatto. Molto spesso gli intervistatori sanno molte più cose di quante ne sappia io! (ride) Io ricevo i brani da Dennis e ci lavoro cercando di metterci del mio, poi pian piano scopro tutti i retroscena e gli autori, informazioni che attingo molto spesso con il disco già uscito e le persone che me ne parlano. Per dire so che c’è un assolo di Gus G. perché me l’ha detto Denis e l’ho capito subito per l’energia che sprigiona (in “Light Beyond The Dark” n.d.M.), di solito quando mi arriva il CD leggo ed imparo dal booklet. Ad ogni modo le canzoni sono cresciute molto bene, quindi credo che lo stile di così tanti songwriter italiani abbia certamente contribuito a rendere questo disco così notevole.

Hai parlato di Gus G., ma in questo disco suonano anche chitarristi come Kai Hansen… chi è che contatta gli artisti?

Certo, Dennis. Trattandosi di un progetto da studio è lui a contattare i suoi amici in rubrica. La scorre e pensa “si, questo potrebbe essere l’ideale per quel pezzo”, li chiama, invia i file via mail e così via, gli fa sentire qualcosa. È così che funziona di questi tempi, è una delle cose belle di Internet, come dicevamo. Le cose sono molto semplici. Puoi inviare un brano in pochi secondi a qualcuno America, lui ci suona sopra la chitarra e te lo rigira.

Qual è per te il brano più rappresentativa del disco?

Beh, penso che in generale registrare un disco del genere è sempre una bella sfida, perché non scrivendo io i brani è interessante vedere come fai qualcosa che normalmente non faresti da solo. Non ci sono brani di particolari difficoltà, ascolti e puoi solo dire se il brano è convincente o no. Ti dico, “Distant Skyes” l’avevo registrata, non mi piaceva, mi stavo pure lamentando con Dennis come se ci fosse qualcosa di sbagliato nel pezzo, temevo che non sarebbe stata neppure sufficiente per entrare nel disco, poi lui l’ha cambiata un po’ tagliando alcuni pezzi e con un’attitudine diversa, ha cambiato il colore della voce in alcuni passaggi ed ha funzionato. Forse non è la mia canzone preferita, ma ho apprezzato molto come è andata a finire!

Considerate anche le tue storiche dichiarazioni, qual è il tuo attuale rapporto con il metal? Ascolti qualche nuova release?

Non proprio. Ascolto generalmente roba vecchio stile. Se ascolto quel genere sento solo cose dell’era in cui sono cresciuto: i Maiden di “The Number of the Beast”, “Piece of Mind”, i Judas Priest di “Painkiller”. Non ascolto molta musica pesante. Negli anni ’90 il metal ha virato verso generi più “brutali” come Korn e Slipknot che proprio non mi piacciono affatto. Dal momento in cui faccio musica ad alto volume on stage, nella vita privata ascolto molta musica tranquilla. Ascolto ad esempio Cara Dilon, una cantante irlandese folk con una voce molto dolce, mi piacciono i Muse, ho apprezzato molto i loro due ultimi dischi, mi hanno ricordato molto i Queen ma con una propria personalità: il loro è un modo molto teatrale di fare rock. Sono sempre stato molto open-minded da questo punto di vista, sono cresciuto con i Beatles ed Elvis, ed anche nei miei anni più metallici, dai quattordici ai diciotto anni o qualcosa in più, ho sempre continuato ad ascoltare band come gli U2 assieme a Metallica, Ozzy Osbourne, Maiden, Priest, Sabbath, Queensrÿche… tutte queste band che erano cool negli anni ’80, ma nel frattempo ascoltavo anche Pat Benatar, Kate Bush, Simon and Garfunkel… ho anche cantato loro pezzi con un mio amico chitarrista… Stevie Ray Vaughan, l’ho amato soprattutto i primi due dischi, ero suo fan sfegatato anche prima che morisse. Insomma ho sempre ascoltato molto i classici ed è lo stesso in questi tempi, mi sento molto open-minded a parte per il death metal ed il RAP.

Anche pop tedesco insomma…

No, tedesco no, ma di sicuro ascolto anche molto pop internazionale, principalmente americano o inglese, come Sheryl Crow, ho anche ripreso ad ascoltare Sting che avevo abbandonato da tempo, ho scoperto i Kings of Leon che non avevo considerato fino a poco tempo fa, li rispetto molto perché penso che abbiano un loro proprio sound, non è un genere che mi sarebbe piaciuto un tempo ma penso che sia una band interessante. 
 

Helloween band Keeper

 

Sei sicuramente una tra le voci più importante nel mondo del metal, sei diventato per molti il miglior cantante di sempre all’età di diciotto/venti anni ai tempi dei due Keeper a fine anni ’80, ma hai dichiarato più volte che riascoltandoti hai la percezione che la tua voce non fosse abbastanza matura…

Si, ero solo un ragazzino… certo potevo suonare bene sulle tonalità alte, come ben saprai mi sono dovuto rimettermi ad ascoltarmi un paio di settimane fa, ormai sono costretto (ride), ricominciando a cantare. Trovo sempre molto belle quelle tonalità, ma sono sicuro di essere migliorato tantissimo nelle tonalità più basse e sulle medie. 

Parlando proprio dei due Keeper… in ottobre si realizzerà un sogno di molti: la storica reunion degli Helloween. Ti senti pronto per il “Pumpkins United Tour”? Come va l’allenamento?

Non fisicamente! (ride) Sono un po’ troppo grasso e non mi sento proprio al massimo! (ride)

Ma no, dai, ti ho visto un anno fa con gli Avantasia ed è andata benissimo…

Si ma con Avantasia è facile, non c’è molto da cantare, hai solo qualche particina. Qui invece ci sarà molto da cantare e devo proprio prepararmi, più che dal punto di vista vocale proprio nel fare sport, andare in bicicletta… e per quello dovrò aspettare che il tempo migliori qui ad Amburgo, che come saprai non è proprio quello che avete voi in Italia. L’inverno fa schifo, freddo e bagnato. Quindi devo attendere. La voce invece è la parte più facile. Mi servono circa tre settimane per prepararmi, far rientrare i brani e le liriche nella mia testa… tutto sta nell’affrontare le prove fisiche di questo periodo, per essere pronto ad affrontare i viaggi, gli spostamenti, i voli e così via…

Come ha fatto a diventare realtà questa storica collaborazione? Immagino sia stato un processo decisionale molto lungo e sofferto, vista l’attesa…

Oh, si… negli anni ’90 non me ne fregava niente. Odiavo tutti. Ho avuto brutte esperienze. Per farla semplice, è come quando ami una ragazza, e lei ti tradisce… e poi la odi! (ride) Fila, no? Non vuoi più vederla, ti senti ferito… è proprio quello che provavo ed ho provato per molto tempo. Rifiutavo di ascoltare qualsiasi cosa producessero, non volevo sapere niente di loro. Poi molto lentamente ho iniziato a fare qualcosa con gli Avantasia, con Tobi[as Sammet] che mi convinse a collaborare già dal debut. All’inizio ho rifiutato, non volevo farlo. Ma lui è un ragazzo molto a modo e ce l’ha messa tutta per convincermi. Potrei sembrare sciocco visto con gli occhi di oggi, ma era proprio quello lo stato in cui mi trovavo allora. Poi anche Serafino mi ha convinto coi Place Vendome, coi quali mi sono trovato subito bene ed attraverso i quali ho conosciuto Dennis Ward, che mi ha proposto anche di fare il managment, e mi ha suggerito di ripartire con una band. Anche suonare con gli Avantasia mi ha fatto sentire di nuovo a mio agio, e suonando con Kai Hansen abbiamo iniziato a pensare di fare qualcosa insieme, e così eccolo unirsi agli Unisonic. Veniamo quindi al 2013, sempre con Avantasia, ed allo Sweden Rock mi sono ritrovato dietro le quinte con Michael Weikath. Non so esattamente cosa sia successo in me. Non c’era alcuna rabbia. Ero completamente rilassato, e lui mi dice, in tedesco: “Michael che cos’ho fatto io che non puoi ancora perdonarmi?”. E gli ho risposto: “Sai cosa? Penso di essermelo dimenticato molto tempo fa…”, perché era quello che sentivo. Sono stato sorpreso anche di me stesso, ho realizzato che tutto quell’astio se n’era andato in qualche modo. Non sapevo cosa sarebbe successo poi ma abbiamo parlato, tutto è andato bene. Sono passati mesi, è passato tutto il 2014 nei quali abbiamo avuto dei live fantastici in Spagna con gli Unisonic, e Kai alla fine di uno di quegli show ricordo che dietro le quinte mi disse: “Mike se non facciamo più niente assieme col nome Helloween, siamo degli idioti!”. A quel punto gli ho risposto: “ci sto!”. L’anno dopo ci siamo rivisti tutti assieme, i ragazzi erano nervosi ma è andato tutto molto bene, è sembrata davvero la cosa giusta da fare. Anche per me che fino a qualche anno fa non potevo neppure sentirne parlare. Ora lo sento addirittura come un sollievo. Non devo più morire pieno di nemici! (ride)

pumpkins

 

Sei un po’ agitato per il tour?

Nono, non proprio. Ero molto più in ansia per il primo tour degli Avantasia. Lì era veramente fare qualcosa dopo 17 anni di lontananza dal palco, quindi ero davvero nervoso. Poi è stato tutto meraviglioso, il pubblico così gentile. Abbiamo iniziato in Sud America ed è stato veramente incredibile. Molto coinvolgente, tutto il pubblico che gridava il mio nome tra i pezzi, roba mai vista in vita mia, per provarla devi andare in Sud America, veramente emozionante. Ora quell’ansia è finita, sono perfettamente a mio agio sul palco e quando penso a tutta quell’alchimia che abbiamo tra di noi, spero si trasformi in qualcosa di veramente bello.

Avete preparato qualcosa di speciale per lo show? Sai che a Milano la location è stata prevedibilmente spostata dall’Alcatraz al Forum di Assago per motivi di capienza? Da 2.000 a 10.000 posti, insomma…

Si, è accaduto in parecchi posti qualcosa di simile perché i biglietti sono andati praticamente a ruba. Fantastico! Bello avere una risposta del genere. Abbiamo investito parecchi soldi per un grandissimo show, con maxischermi, video, me ovviamente impegnato a coprire l’essenza dei Keeper ed Andi a cantare brani della sua era e poi pezzi assieme e cose da condividere. Ci troviamo molto bene assieme, che è un’altra cosa molto strana. Non ci eravamo mai incontrati prima, e c’è sempre stata questa tensione per il fatto che lui ha preso il mio posto della band… ed ora scopriamo di avere molte cose in comune! Siamo stati a Tenerife dove lui ha uno studio, per due settimane. Abbiamo cantato tantissimo, siamo stati in giro per posti meravigliosi e lui mi ha fatto da guida, è stato fantastico.

Quanto sarà lunga la setlist?

Circa 3 ore…

Come con gli Avantasia!

Si, anche perché c’è un enorme repertorio da coprire. E non sarà comunque sufficiente. Insomma suoneremo “Helloween” e “Keeper of the Seven Keys”, e già assieme coprono circa mezzora. Sarà difficile fare tutto e soddisfare tutti, ma scenderemo a compromessi e sceglieremo tra le canzoni quelle che per noi sono maggiormente importanti.

Michael Weikath ha dichiarato che avreste forse rilasciato qualche nuova canzone o addirittura un EP con questa superformazione degli Helloween, che dici?

Non so se un EP, ma si parlava di chiudere una canzone. Vediamo che succederà, potrebbe essere una bella cosa.

Ok, sei libero di lasciare il tuo messaggio ai fan italiani.

Mi aspetto un grande interesse per il ritorno degli Helloween. Cercheremo di fare le cose in grande e vedremo quanto durerà. L’unica cosa che so è che dopo questo tour ho già pianificato di realizzare un altro disco con gli Unisonic. Per il resto non so cosa ci riserverà il futuro, ma fossi in voi non me lo perderei! 
 

Intervista a cura di Luca “Montsteen” Montini