Doom

Intervista Premarone (tutta la band)

Di Marco Donè - 8 Marzo 2018 - 10:00
Intervista Premarone (tutta la band)

Dopo avervi parlato di “Das Volk der Freiheit“, secondo lavoro dei doomster piemontesi Premarone (qui la nostra recensione), non ci siamo fatti scappare la possibilità di fare quattro chiacchiere con una delle band più interessanti uscite dall’underground nazionale. Abbiamo quindi incontrato per voi la formazione della provincia di Alessandria e, come facilmente prevedibile, abbiamo parlato di musica, storia, arte e tanto altro. Eccovi il resoconto di quella che si è rivelata un’interessante e piacevolissima chiacchierata.

Buona lettura!

 

Intervista a cura di Marco Donè

 

Ciao Ragazzi, sono Marco, benvenuti su Truemetal.it. Come state?

Ciao Marco, tutto bene, grazie. È un vero onore per noi essere ospiti su queste pagine!

 

Avete da poco pubblicato “Das Volk der Freiheit”, il vostro secondo disco, un concept album complesso e articolato. Vi andrebbe di spiegarcelo?

Fra: Certo, con piacere. Senza la minima pretesa di formulare giudizi o sentenze, l’album sostanzialmente intende essere una riflessione sulla storia e soprattutto sull’evoluzione/involuzione sociale del nostro Paese nell’ultimo quarto di secolo. Anzitutto vorrei spendere due parole sul titolo. “Il popolo delle libertà” (ogni lettura allusiva è libera e consentita, ma ciò che più ci interessa è l’attenta considerazione del termine “libertà”) è espresso in tedesco per due motivi: principalmente vuole evocare il minaccioso spettro di un regime totalitario, ma, in secondo luogo, è anche un piccolo omaggio a un gruppo che ci ha ispirato, ovvero i German Oak, oscura formazione teutonica che all’inizio degli anni ’70 pubblicò un disco dedicato alla Seconda Guerra Mondiale, proponendo un’analisi dall’interno dell’evento più traumatico della storia del ‘900 . Quanto alla struttura del disco, l’album in pratica è costituito da una breve introduzione e due ampie sezioni separate da un intermezzo dark ambient-drone. La prima parte, attraverso la citazione di vari eventi che hanno colpito il nostro immaginario, intende essere una sorta di excursus storico che trae origine dal 1992 (a questo proposito si veda il sottotitolo in numeri romani sulla copertina) e trova un apparente epilogo in questo decennio. Dall’intermezzo ambientale al termine dell’ultima traccia cerchiamo invece di concentrare la nostra attenzione sugli aspetti sociali, con riferimento al generale appiattimento culturale, motivato e indotto soprattutto dalle scelte imposteci dal trionfo di un certo linguaggio massmediatico. Il finale lascia intendere che “l’era del popolo delle libertà” non si è ancora conclusa (ecco il motivo del numero romano 201? nel sottotitolo della cover) perché coincide con un atteggiamento diffuso che, a nostro parere, trascende i personaggi che ne sono stati artefici e modelli. Questo, in sintesi, è il senso del lavoro, la cui genesi si è rivelata piuttosto complicata. Tutto è cominciato con Michele che, storpiando quasi per gioco un noto motivetto propagandistico, ha creato una sorta di jingle ipnotico da cui siamo partiti per creare il primo movimento. Sulla scia dell’entusiasmo iniziale abbiamo poi dato corpo alla struttura di base, sviluppando alcune idee e scartandone altre. Bisogna ammettere che la gestazione si è rivelata più lunga e difficoltosa del previsto, anche se alla fine soddisfacente.

 

La vostra proposta è estremamente personale: un caleidoscopio in musica, in cui la matrice dominante è quella psych doom, con testi impegnati, che analizzano l’attuale società italiana. In sede di recensione ho provato a definirvi con la frase “Fuori dagli schemi, lontani da ogni moda, un universo a sé stante intriso di arte, sperimentazione e coscienza sociale”, vi siete ritrovati in queste parole? Vi andrebbe di approfondire la visione in musica dei Premarone?

Fra: Ti ringraziamo per questa generosa definizione che comunque coglie alla perfezione il nostro personale approccio alla musica. Di certo il fatto di non essere più -per usare un eufemismo- dei ragazzi (anche se il nostro Mic, il più giovane e talentuoso del gruppo, la punta di diamante insomma, ha dieci anni meno di noi ed è il più aggiornato sulle nuove tendenze) in qualche modo ci facilita, nel senso che ci sentiamo esonerati dal seguire mode particolari che non siano realmente sentite, compresi i tradizionali cliché legati a certi stili musicali. Il nostro gruppo nasce dalla voglia di stare insieme, di confrontarci su ciò che ci circonda (da qui una tendenza non tanto all’antagonismo quanto forse all’analisi sociale o storica di alcuni fenomeni che ci hanno colpito), di condividere idee, di divertirci e soprattutto di fare quello che ci passa per la testa. Tutto questo poi, inevitabilmente, si riversa nella musica che facciamo.
 

Molto interessanti sono anche le vostre copertine, da cui è facile intuire il desiderio di lanciare un messaggio partendo dall’immagine del disco, per poi proseguire attraverso le musiche e i testi. Qual è il significato che si nasconde dietro la copertina di “Das Volk der Freiheit”?

Michele: È proprio così, la copertina raffigura il concept del disco di cui intende presentare il messaggio. Agli occhi di chi osserva appare subito evidente uno scenario di totale distruzione, dominato da una serie di macerie frutto della devastazione della civiltà. In primo piano alcune figurine evanescenti ballano e si divertono spensierate, totalmente incuranti del disastro che le circonda. Si tratta di un collage di immagini che, perlopiù, abbiamo ricavato da varie foto storiche del terribile bombardamento di Dresda ormai quasi al termine della Seconda Guerra Mondiale; tra di esse abbiamo rinvenuto anche i personaggi danzanti al centro della copertina: pensa che erano membri di un circo attivo ancora nel febbraio del ’45 quando sulla città fioccavano le bombe degli Alleati! Proprio questo particolare ci suggerisce un forte richiamo metaforico all’attualità (italiana e non solo): in un clima di decadenza da fine impero, mentre tutto ci sta crollando addosso, noi continuiamo a non voler vedere la realtà, troppo presi dalle nostre quotidiane incombenze e assorbiti dalla perpetuazione di riti sociali che paiono ineludibili… Tutta la scena, infine, è sovrastata da un cielo lacerato e minaccioso, in cui sembra prendere forma uno sguardo inquietante, a suggerire che, forse, esiste una regia più o meno occulta a tutta questa catastrofe.

 


La copertina di “Das Volk der Freiheit”

 

Viene quasi naturale chiedervi quali siano le vostre letture… Avete un autore che seguite particolarmente?

Alessandro: Domanda interessante e parecchio impegnativa… Ognuno di noi ha un proprio bagaglio di letture recenti o passate da cui spesso vengono tratti vari spunti che suggestionano i testi dei Premarone, di cui principale autore è Fra. Se permetti, però, ti rispondiamo singolarmente. Per quanto mi riguarda non ho un autore e nemmeno un genere preferito, ma di sicuro la mia predilezione va alla narrativa. Quel che mi conquista di uno scrittore è la sua capacità di raccontare storie eccezionali, soprattutto se dotate di una drammaticità catartica. Allora potrei dirti che amo i poemi omerici, come i grandi romanzieri dell’800 francese (Zola su tutti), o i maestri dell’horror quali Poe e Lovecraft, o ancora la narrativa italiana del ‘900, ad esempio nel suo filone resistenziale, di cui mi attrae il forte senso di contemporanea epicità.

Pol: Quando ero giovane apprezzavo tantissimo la narrativa e avevo gusti molto simili a quelli di Alessandro. Oggi mi rivolgo principalmente alla saggistica storica, perché sento forte l’urgenza della decifrazione del mondo in cui viviamo partendo dalla comprensione del passato. Sopra tutto, però, metto sempre Dante, che con la sua somma poesia ha già dato risposte di valenza universale nella ricerca della Verità.

Michele: Amo particolarmente la narrativa horror (Lovecraft) e Cyberpunk (Gibson).

Fra: Condivido anch’io la passione per i classici antichi e moderni, senza trascurare una certa letteratura fantascientifica (soprattutto Philip Dick). Tuttavia mi sento di aggiungere che negli ultimi tempi ho sviluppato e trasmesso ai miei soci (tanto da trasformare spesso le prove della band in gruppi di lettura) un’attrazione morbosa per un fascinoso universo letterario involontariamente trash, su cui, però, in questa sede eviterei di fornire precisi dettagli. A questo proposito, chi fosse interessato può contattarci in privato.

 

Come altrettanto naturale, visto l’imminente voto italiano, è chiedervi quale sia il vostro parere su questa campagna elettorale… (l’intervista è avvenuta pochi giorni prima del 4 marzo n.d.r.)

Pol: Forse è scontato dire che negli ultimi mesi abbiamo assistito a uno spettacolo imbarazzante. Non vorremmo risultare autoreferenziali, ma quando ci troviamo a riprovare “Psichedelia elettorale”, un nostro vecchio pezzo composto in occasione delle scorse elezioni politiche, non possiamo evitare di notare che la situazione, se possibile, è ulteriormente peggiorata. Ci sembra che la democrazia sia ormai svuotata del suo vero significato e non solo in Italia. È rimasto solo un involucro costituito da una serie di riti che hanno perso sostanza e le elezioni sono il più evidente di questi riti. La campagna elettorale è un teatro in cui tutti recitano una parte: i politici promettono e gli elettori sono convinti che il loro voto conti, quando invece il futuro del Paese non si deciderà certo nelle urne. Rimane il fatto che l’aria che si respira in questi giorni è davvero pesante: non ci riferiamo a un singolo partito o a un uomo politico in particolare, ma pensiamo che il vero problema sia il collasso di un intero sistema per la scomparsa di ideali in grado di sostenerlo.

 


L’audio track ufficiale di ‘Psichedelia elettorale’, canzone estratta dal debutto “Obscuris Vera Involvens

 

Spesso si usa la frase “la classe politica è il riflesso del popolo”, se pensiamo alla realtà italiana, qual è il vostro pensiero in merito?

Pol: A nostro parere siamo entrati in un circolo vizioso. Il popolo e la classe politica che lo rappresenta hanno perso le basi culturali del loro agire: il primo si erge a detentore dei saperi anche più tecnici rifiutando il criterio stesso di competenza, mentre ogni iniziativa della seconda è ricondotta a un linguaggio e a uno spessore da chiacchiera da bar. Verrebbe naturale chiedersi (e lo facciamo spesso) quando e dove questo fenomeno sociale abbia avuto inizio, ma sarebbe un po’ come chiedersi se è nato prima l’uovo o la gallina.

 

Tornando a parlare di musica, poco fa vi ho definito come un “caleidoscopio in musica”, quali sono le vostre influenze?

Alessandro: Ci ritroviamo alla perfezione in questa immagine. Non solo perché ben simboleggia la varietà dei nostri gusti musicali, ma anche per il suo richiamo all’immaginario psichedelico che sicuramente ci attrae. Di sicuro tutti e quattro siamo grandi appassionati di musica e ascoltatori voraci, come credo sia naturale per chiunque decida di prendere in mano uno strumento. È vero comunque che le nostre personali influenze sono parecchio differenti: si va dal Metal nelle sue principali sfaccettature, allo Stoner, al Rock degli anni ’70, alla Psichedelia, al Progressive della grande tradizione italiana e inglese, fino ad arrivare al Punk, al Grunge e a certo cantautorato…appunto un bel caleidoscopio.
Ci sono però alcuni ambiti su cui tutti convergiamo e a cui i Premarone guardano costantemente nell’intento di dar vita alla loro musica: uno di questi è rappresentato da quei gruppi che hanno tracciato vie fondamentali nella galassia del Doom, quali Pentagram, Saint Vitus, Cathedral, Revend Bizarre, Electric Wizard, Sleep, Yob e Ufomammut; altra inesauribile fonte di ispirazione sono gli anni ’70 con i fulgidi gioielli scaturiti da quell’irripetibile periodo. In questo caso sarebbe difficile stilare un elenco completo di tutte le nostre preferenze, per cui mi limiterò a fornirti un paio di esempi che riteniamo paradigmatici. Il primo è costituito da parte di quel variegato filone comunemente noto come Kraut-Rock, all’interno del quale i dischi di gruppi come Amon Duul (II), Out of Focus, Gäa, Gila, oppure i già citati German Oak, o i più heavy Silberbart e Hairy Chapter rimangono, secondo noi, capolavori di ineguagliata freschezza compositiva e vulcanica creatività. Nel secondo caso, invece, vorrei citare una band che racchiude un vero e proprio cosmo al proprio interno, tanto geniale quanto non sufficientemente considerata: sto parlando degli Hawkwind, di cui in questi giorni stiamo imbastendo una cover che ci piacerebbe proporre in qualche prossimo concerto.
Detto questo, credo che l’elemento fondamentale rimanga la voglia reciproca di trovare un punto di incontro, quindi di confrontarsi e condividere le proprie esperienze. Se, ad esempio, penso ai miei ascolti di una ventina abbondante di anni fa, mi viene in mente l’immagine del classico metallaro: Heavy Metal anni ‘80, Trash Bay Area, Death Metal svedese, difficilmente mi scostavo di lì. Intendiamoci, non rinnego nulla di quella storia, tanto che, ancora oggi, se devo scegliere un album da godermi nello stereo, andrei subito a prendere un disco dei Mercyful Fate, dei Manilla Road, o degli Exciter. Penso piuttosto che l’aver ampliato gli orizzonti sia stato un grande arricchimento, che comunque non si è sviluppato in maniera innata, ma è stato motivato dal profondo rapporto di fiducia e amicizia con gli altri membri del gruppo.

 

Il vostro debutto discografico è uscito per l’etichetta italiana Nicotine Records mentre “Das Volk der Freiheit” è stato pubblicato dalla russa Endless Winter. Come mai la scelta di una label russa? Com’è nata la collaborazione?

Alessandro: Al nostro amico Alberto Bia, proprietario della Nicotine, dobbiamo tantissimo per il sostegno che ci ha sempre fornito, oltre che per la volontà di coinvolgere alcuni di noi in suoi importanti progetti come è stata la realizzazione di “The Bible of the Devil”, una monumentale enciclopedia sull’Hard Rock degli anni ‘70 edita nel 2015. Ebbene, quando Alberto ha deciso di sospendere l’attività della Nicotine, abbiamo iniziato a darci un’occhiata attorno per capire se ci fosse stato qualcuno disposto a pubblicare “Das Volk der Freiheit”. A questo punto ci è parso naturale chiedere un consiglio ad Aleksey Evdokimov, fervidissimo giornalista di San Pietroburgo che in questi ultimi anni ha scandagliato il Doom Metal anche nelle più recondite nicchie underground fino ad arrivare ai Premarone che, con immenso privilegio per noi, ha inserito nel suo “Doom Metal Lexicanum”, uno straordinario libro sul Doom da poco pubblicato con riconoscimenti internazionali. Aleksey è una persona molto disponibile ed è stato lui a suggerirci di rivolgerci alla russa Endless Winter, etichetta prolifica soprattutto in ambito Funeral Doom/Death Doom che sapevamo aver messo sotto contratto un notevole gruppo italiano come i Bretus. Siamo così entrati in contatto con Gennady Semykin, proprietario della label, il quale ci ha subito risposto con la proposta della pubblicazione del disco. Siamo davvero contenti di avere iniziato questa collaborazione con la Endless Winter e Gennady, che ci ha trattato molto bene, dimostrandosi un professionista serio e affidabile. Peraltro devo dire che questa è stata anche un’occasione per scoprire parecchie band interessanti che prima non conoscevo affatto e che ora apprezzo molto, come ad esempio Nordlumo e Morphugoria, provenienti dalla Russia: da tempo c’è una grande scena musicale in crescita in quell’immenso Paese che varrà la pena di tenere d’occhio! Insomma, siamo proprio soddisfatti e speriamo che il rapporto con l’etichetta prosegua anche in futuro.

 


Alcuni particolari del libro “Doom Metal Lexicanum” di Aleksey Evdokimov

 

E adesso? Quali i progetti futuri dei Premarone? Farete della date di supporto a “Das Volk der Freiheit”?

Michele: Ovviamente siamo felici quando abbiamo l’occasione di far conoscere la nostra musica attraverso l’attività live. Abbiamo già suonato dal vivo il nuovo disco, anche prima che fosse pubblicato, e ora stiamo organizzando nuove date. Per quanto riguarda invece l’attività in studio, da tempo ci stiamo dedicando al nuovo album, che si intitolerà “Inverno”. Sarà un lavoro oscuro e dilatato come al solito, ma forse più diretto, compatto e pesante dei dischi precedenti, anche se allo stesso tempo dotato di sviluppi di chiara matrice settantiana. Per il momento ci piace molto e, a nostro parere, sembra promettere bene.
 

Ragazzi, siamo arrivati alla fine, ringraziandovi per quest’intervista, come di consueto, lascio a voi le ultime parole per salutare i lettori.

Siamo noi a ringraziare te per questa graditissima opportunità e ovviamente un grazie va anche a tutti i lettori che hanno avuto la curiosità e la pazienza di leggere questa intervista. Il futuro non potrà che riservarci tempi bui, ma dischi luminosi.

 

 

Marco Donè