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Intervista White Skull (Tony “Mad” Fontò)

Di Marco Donè - 11 Ottobre 2018 - 10:00
Intervista White Skull (Tony “Mad” Fontò)

Il 2018 è un anno che non passa inosservato in casa White Skull: la band veneta raggiunge infatti l’importante traguardo dei trent’anni di carriera. Avvenimenti come questi non capitano certo tutti i giorni, così non ci siamo lasciati sfuggire l’occasione di scambiare due chiacchiere con il mastermind della band, Tony “Mad” Fontò. Lo abbiamo così contattato e all’altro capo del telefono siamo stati accolti da un Tony “Mad” carico, con cui abbiamo ripercorso la storia dei trent’anni della band, tra aneddoti e musica a tutto tondo, rivivendo i momenti più salienti dell’epopea dei White Skull dal 1988 ad oggi.

Ecco il resoconto della nostra piacevole chiacchierata. Non rimane che augurarvi buona lettura!

 

Intervista a cura di Marco Donè

 

Ciao Tony, sono Marco di Truemetal.it, è un piacere averti ospite sulle nostre pagine. Come va?
Grazie a voi per l’opportunità, qui tutto bene, tu?

 

Anche qui va tutto bene, grazie. Il 2018 è un traguardo importantissimo per i White Skull, toccate i trent’anni di carriera e, stando a quanto visto nei vostri ultimi show, ci arrivate in uno stato di forma smagliante. Ti saresti mai immaginato di riuscire a raggiungere un risultato così ambizioso?
No, assolutamente no. In realtà abbiamo iniziato a “suonicchiare” un po’ prima del 1988, ma possiamo fissare come start in quanto la prima formazione stabile e le prime esibizioni risalgono a quei tempi. Di quella formazione sono rimasto solo io e ciò non mi meraviglia. Sai, quando si inizia a suonare lo si fa per il piacere di farlo, non hai un obiettivo vero e proprio, o meglio, io quando ho iniziato avevo l’obiettivo di avere una band che voleva fare musica propria, non volevo essere una cover band. Questo, ovviamente, ha selezionato i musicisti nel tempo, perché c’era chi preferiva la strada facile delle cover band che, soprattutto una volta, rappresentavano soldi facili, facili tra virgolette, diciamo che c’erano più possibilità di trovare posti dove suonare. Nel periodo che va dal 1988 al 1994 è stato un po’ duro proporsi dal vivo perchè per chi come noi proponeva musica propria, musica d’autore, che tra l’altro non era nemmeno edita, visto che il nostro primo disco è del 1995, ti sentivi rispondere «ma tu fai musica tua, ma quanta gente mi porti?, ma hai un tuo seguito?» e lì è stata veramente dura, però non abbiamo mai mollato. Se penso a quegli anni, nel ‘91 c’era già Federica, poi Fabio Pozzato, Max Faccio e Mariano Bressanin (primo batterista), sostituito ben presto da Alex Mantiero, entrato nei Teschi nel 1992 ed è ancora con me; diciamo che chi è venuto avanti ci ha sempre creduto, ha creduto nel fatto che fare qualcosa di proprio era un qualcosa di diverso. Le soddisfazioni sono arrivate più avanti. Guardando al passato ti devo però dire che non ho mai pensato a un futuro lungo, ho sempre vissuto momento per momento, e me lo sono gustato fino in fondo, tanto che tutt’ora mi diverto tantissimo a suonare, non so se dal pubblico si percepisce, spero di sì, perché cerco di trasmetterlo. Sul palco non ci sono solo sei musicisti che stanno eseguendo uno show, ci sono sei persone che hanno una coesione tra loro, un amore fraterno, e si divertono nel farlo.

 

Ho assistito a più di qualche vostro show e posso dirti che questa cosa si nota, eccome. Poi, tra pochi giorni, il 20 ottobre per l’esattezza, nella vostra Vicenza avete in programma un vero e proprio metal party per festeggiare i vostri trent’anni. Ci puoi dare qualche anticipazione su quello che avete in programma?
Oltre a noi e Marco Angelo ti dico subito che ho voluto all’interno della serata due ospiti a me graditi, due dj: Mario Tio, che nell’ambiente del metal è molto conosciuto, e Adelina Putin, che nell’ambiente metal veneto è molto seguita, visto che ha stravolto una radio, facendola passare da commerciale a metal. Pensa che tra poco inizierà un programma della durata di un’ora che si chiama “Lucifero” in cui proporrà solo black metal, che in radio non si è mai sentito. Due grandissimi personaggi, che ho voluto alla nostra festa, e che faranno dj set prima e dopo lo show. Come ti ho anticipato prima di noi si esibirà Marco Angelo, un chitarrista molto bravo, che mi ha aiutato a organizzare la festa. Ti posso preannunciare che lo show sarà lungo, visto che proporremo diciannove canzoni, per uno spettacolo di due ore abbondanti. Abbiamo pescato dal cilindro dei dischi migliori, non potevamo mettere tutto, quindi proporremo pezzi da “Embittered”, “Tales from the North”, “Public Glory, Secret Agony”, qualcosa da “The Dark Age” e poi dagli ultimi due lavori “Under this Flag” e “Will of the Strong”, una bella rosa dal passato al presente. Del periodo “Gus” e del periodo Elisa non abbiamo preso moltissimo, abbiamo preferito proporre dei brani rodati per la band, in modo da garantire uno spettacolo di qualità e d’impatto. I dischi con “Gus” e Elisa fanno parte della nostra storia, del nostro periodo “scuro”, iniziato con “The Dark Age”, un album che ci rappresenta tantissimo, che ha visto l’ingresso di “Gus”, un grandissimo cantante, ma fu un cambio radicale per la band, passammo da voce femminile a una voce maschile. Lo avevo invitato al Metalitalia.it Festival per fare un duetto con Federica su “The Dark Age” ma a causa degli impegni personali, del suo lavoro – sai, ognuno ha la propria vita –, non ha potuto partecipare e purtroppo non ci riuscirà nemmeno la sera del trentennale. Al concerto ci saranno altri ex membri dei White Skull che vedremo di salutare per bene e chissà… Diciamo che qualcosa è ancora in fase di definizione, vedremo, l’importante è però avere una bella setlist di canzoni, in modo da far contenti i fan. Poi non sarà una sorpresa, chi c’era al Metalitalia.it Festival ha potuto vederlo, abbiamo fatto un’apertura di show diversa dal solito, che sarà l’apertura del trentennale. Diciamo che al Metalitalia abbiamo fatto una short version dello spettacolo per i trent’anni, prendendo la testa e la coda.

 


La locandina dell’evento per il trentennale dei White Skull

 

Beh, Tony, trent’anni di White Skull, ti va se proviamo a ripercorrere la storia della band? Partirei da quel 1988, periodo della vostra formazione, seguito da una continua crescita che porta al contratto con la leggendaria Underground Symphony e la pubblicazione dei primi due dischi “I Won’t Burn Alone” e “Embittered”. Che ricordi porti con te di quel periodo?
Porto sicuramente il ricordo positivo della tanta voglia di fare e del divertimento che c’era all’interno della band, però, allo stesso tempo, e all’epoca non me ne rendevo conto, ricordo le difficoltà di comunicazione che avevamo con le case discografiche, con i locali, con i media, con tutto quello che era il music business. Una volta non c’era internet, non c’erano i cellulari, non c’erano gli smartphone… Per dire, una volta se dovevi prendere una data dovevi telefonare da casa o, se eri in giro, da una cabina telefonica. Ti scambiavi fax, e non e-mail. Quando dovevi scambiarti qualcosa di scritto uscivano di quei papiri… Una situazione che è andata avanti un bel po’, ricordo i contratti con Nuclear Blast, nel 1998-1999, arrivavano via fax, rotoli e rotoli di carta da fax. Funzionava così per tutti, non voglio dire che eravamo penalizzati noi, ma sarebbe sicuramente stato più facile in un’epoca moderna. Cioè, chi nasce adesso forse ha più concorrenza ma ha anche la strada più spianata sotto questo aspetto. Poi c’è anche da dire che la difficoltà di comunicare con le case discografiche avveniva anche dal fatto che dovevi scoprirle dal retro della copertina dei dischi, non avevi internet e dovevi quindi cercare di trovare i numeri di telefono, cercavi di avere notizie, magari da amicizie, insomma, non era così facile. Ricordo quindi questo gran lavoro sottotraccia, ma la voglia di fare, la voglia di emergere, di far sentire il proprio prodotto era talmente forte che non ci si fermava di fronte a niente. Ho visitato tante etichette di persona. Sono stato a Milano, a Firenze, andavo una volta alla settimana alla Pick Up di Bassano dove alla fine ci consigliarono di andare all’Underground Symphony di Maurizio Chiarello. Prendevi appuntamento, andavi là, presentavi la band, facevi sentire il demo, prendevi le belle risposte, prendevi le brutte risposte, andava così. Questi sono ricordi belli, ci abbiamo messo veramente tanto impegno, non abbiamo mai mollato un secondo, finché è arrivato il primo disco “I Won’t Burn Alone” con la Underground Symphony di Maurizio Chiarello, che fortunatamente ha creduto in noi e che ringrazio sempre. Tra l’altro io e Maurizio ogni tanto ci sentiamo e ci ricordiamo l’episodio in cui ci fu qualcuno molto vicino a lui che gli disse «prendendo questa band chiuderai l’etichetta definitivamente». Così non è stato: Maurizio è ancora aperto e noi siamo ancora vivi! Dopo il disco iniziarono ad arrivare le recensioni sui giornali, Metal Shock, H/M e via dicendo, l’album passava in radio e lo si trovava nei negozi, Maurizio faceva la sua promozione, insomma, il nome della band iniziava a girare, attirando l’interesse dei locali. Nel periodo tra “I Won’t Burn Alone” e “Embittered” abbiamo fatto veramente tante date. Si suonava ovunque e in qualsiasi locale e condizione: su un palco o per terra, nell’angolino della birreria. Con “Embittered” abbiamo fatto ancora più date. Dopo l’uscita dell’album abbiamo suonato ininterrottamente per circa un anno e mezzo e abbiamo fatto circa duecentocinquanta show, ci impegnavano tutti i weekend per tre o quattro giorni. Si partiva il giovedì e si tornava la domenica, un qualcosa di massacrante ma un’esperienza bellissima, fatta on the road.

 


Un estratto dalla photo session di “I Won’t Burn Alone”

 

Il vostro sound degli esordi mi riporta spesso alla mente i Warlock di Doro Pesch, forse per la voce di Federica che in qualche frangente ha delle assonanze con quella di Doro…
Non era voluto, è stato veramente casuale. Conoscevo i Warlock, conoscevo Doro Pesch, ma in quel periodo ero molto più affine alla scena inglese, alla N.W.O.B.H.M, solamente poi ci siamo accostati al filone più teutonico.

 

Sempre restando ai vostri esordi, una delle peculiarità di quel periodo, a mio modo di vedere, sta proprio nel cantato, in particolare nella pronuncia inglese. Le band italiane dell’epoca avevano delle difficoltà nella corretta pronuncia, Federica, al contrario, possedeva già un ottimo inglese. Questo particolare vi ha aiutato?
Diciamo che ci ha aiutati perché non siamo stati etichettati come band “Italia, spaghetti e mandolino”. L’inglese di Federica fa parte della sua cultura, poi, adesso, avendo vissuto per alcuni anni in America, può essere ritenuta una madrelingua. Agli esordi si faceva aiutare da amici che erano madrelingua, facendosi correggere i testi e aiutare a curare la pronuncia, ci ha sempre tenuto molto. Ma questo è sempre valso per tutta la band, se facevamo qualcosa, dovevamo farlo bene. Lei, ovviamente, ha curato questo aspetto, anche perché era lei a scrivere i testi e a esporsi cantando in una lingua che non era la nostra. All’epoca si leggevano recensioni dove veniva segnalata la poca cura per l’inglese, a noi, invece, non è mai capitato. Aiutato non saprei, sicuramente non ci ha fatto fare brutte figure.

 


Un estratto dalla photo session di “Embittered”

 

Nel 1998 avviene un primo cambio in line-up, Nick Savio prende il posto di Massimo Faccio. In questo periodo, inoltre, i White Skull attuano una vera e propria svolta nel proprio sound, tanto da attirare l’interesse della prestigiosa Nuclear Blast. Arrivano in sequenza “Tales from the North” e “Public Glory, Secret Agony”, forse i vostri dischi di maggior successo. Lascio continuare a te…
Max Faccio si stava formando una sua vita, era stanco della dimensione on the road e si sentiva meno heavy metal e più hard rock, come chitarrista. Diciamo che la sua voglia di abbandonare la nave era nell’aria. Prima dell’arrivo di Nick Savio, però, sono transitati altri due chitarristi che vorrei ricordare perché fanno parte della nostra storia: Pino Sicari, di Torino, e Lele Pretto, di Vicenza. Sono stati poco con noi, calcola che Max ha lasciato i White Skull a maggio 1997 e Nick è entrato in formazione a ottobre 1997. Gli impegni che avevamo come band erano veramente tanti, bisognava fare delle scelte e trovare dei compromessi tra il lavoro, la vita privata e il gruppo. Non era facile. Da lì è entrato in formazione Nick Savio, consigliatomi da Alex De Rosso (chitarrista che ha militato nei Dokken n.d.r.), Nick era un suo allievo. Nick è arrivato e ha capito subito quale fosse lo spirito della band, noi stavamo lavorando a “Tales from the North”, avevamo già qualche brano pronto e lui si è dato subito da fare. Abbiamo scritto quello che è stato il nostro disco di maggior successo, anche per il fatto stesso di essere pubblicato per Nuclear Blast. Subito dopo è arrivato “Public Glory, Secret Agony”, con la nostra “mezza uscita” dalla Nuclear Blast. L’etichetta aveva rinnovato il proprio roster e i White Skull furono affidati alla Braker Records di UDO, con distribuzione Nuclear Blast. Da questo momento le cose sono diventate più professionali, abbiamo iniziato a calcare palchi di un certo livello e rapportarci con band di una certa caratura. E qui ti dirò, quando entri nel mondo dei professionisti è un mondo talmente bello che, come posso dire, ho avuto più “rogne” nel mondo dei dilettanti (ride n.d.r.). Senza fare nomi, sembra quasi che se la tirino di più quelle formazioni che non hanno fatto niente, ricordo che ai nostri inizi quando volevi suonare, magari cercavi di aprire per certe band, quelle che, pur non avendo dischi, in città erano un po’ più brave di noi, un po’ più “acclamate”. Ecco, con queste band non c’era quell’amicizia che poi ho trovato invece con nomi come Blind Guardian, Grave Digger o i Saxon, per dire. Capisci cosa voglio dire? Nel mondo del professionismo si è la per suonare, per divertirsi, anche se sei più grande, non te la tiri.

 

Mi permetto una parentesi, diciamo che nel mondo dell’underground, almeno in Italia, non so come sia all’estero, vige un po’ quella che io definisco “la guerra dei poveri”…
Una guerra che esiste ancora e che non porta a niente. Chi suona deve avere una mentalità più aperta, giusto per citare un esempio, il backstage del Metalitalia era una festa per tutte le band. Io ho trovato Manni Schmidt, che è un mio carissimo amico, lui ha voluto farsi una foto con me, l’ha postata sul suo facebook e mi ha detto «guarda che ti ho taggato, eh?», capisci la mentalità? In altri contesti, se tu sei “pinco palla”, e io sono un attimo sotto, sia mai che mi rivolgi la parola. Tu sei “tizio” e io sono niente. Purtroppo questo accade in ambienti diversi da quello professionistico, noi in Italia con band come Labyrinth, Vision Divine, Domine, Secret Sphere, Rhapsody siamo tutti amici e ogni volta che ci ritroviamo a suonare assieme è grande festa. Diciamo che le band underground dovrebbero aprire un po’ la mentalità ed essere più collaborative tra loro, al posto di farsi la “guerra dei poveri” come l’hai chiamata tu. Pensa che un grande manager italiano la chiamava “la guerra delle formiche”. Lui diceva «non hanno niente, sono piccole, dal niente vengono anche calpestate e si fanno la guerra tra loro anziché fare unione e creare un formicaio sempre più grande», cioè formiche che fanno la guerra ad altre formiche, da qui l’espressione “la guerra delle formiche”. Che poi, te ne accorgeresti se le formiche si facessero la guerra nel formicaio dietro casa tua? No. Ecco, quella è una guerra che non serve a nessuno, cioè non è un Bruce Dickinson che dice «i Metallica sono una merda» (ride n.d.r.), capisci cosa intendo?

 

In “Tales from the North” avete collaborato con Chris Bolthendal dei Grave Digger. Avete anche fatto parecchie date con loro, in giro per l’Europa. Di recente, al Metalitalia.com Festival, avete condiviso nuovamente il palco, com’è stato rincontrarsi? Non ti nascondo che mi aspettavo un duetto tra Federica e Chris durante ‘Tales from the North’…
Beh, prima del Metalitalia.com Festival noi e Chris ci eravamo già incontrati in molte altre occasioni! In realtà l’idea c’era e, anzi, l’avevamo proposto noi stessi a Chris. Il problema sono state le tempistiche: noi siamo state tra le ultime band del festival a venire inserite, e solo perché erano mancati gli Eldritch. Abbiamo avuto la notizia il 23 agosto e il 24 eravamo alla Festa Bikers, con Blaze, abbiamo dato l’annuncio subito lì, sul palco, e la news è uscita il lunedì dopo, il 27. Da lì, abbiamo contattato Chris, vanno considerati i tempi tecnici per scrivergli, aspettare che lui leggesse e ci desse una risposta e, a malincuore, ha dovuto dirci di no. Mancavano ormai pochi giorni, il loro disco stava uscendo proprio in quel periodo e lui era alle prese con le interviste e tutto il resto; non ci sarebbe stato il tempo per lui di studiare la canzone ed esercitarsi, si è scusato e mi ha detto che non voleva arrivare impreparato, per evitare una mancanza di professionalità. Io, da amico, l’ho capito, e l’ho accettato.

 

Beh, ci saranno altre occasioni, credo…
Ma si, poi l’abbiamo già fatto in passato. Mi ricordo che a Tel Aviv, dove suonavamo sia noi che i Grave Digger, duettò con noi in ‘Tales from the North’, in ‘Hagen the Cruel’ e ha fatto la poesia di ‘Gods of The Sea’. Alla fine Federica e Chris hanno pure duettato in ‘Heavy Metal Breakdown’. Ci sono stati diversi momenti della nostra carriera in cui abbiamo condiviso queste cose, ma purtroppo al Metalitalia.com Festival non ce n’è stata la possibilità.

 


La line-up del periodo “Tales from the North” e “Public Glory, Secret Agony”

 

Ritornando alla storia dei White Skull, nel 2001 avviene l’inaspettato: Federica, per motivi legati alla vita privata, lascia la band. Al microfono arriva così Gustavo “Gus” Gabarrò, con cui realizzerete tre dischi, i primi due sotto Frontiers Records per poi iniziare il sodalizio tutt’ora attivo con Dragonheart Records. Nel 2003 arriva un altro scossone in line-up: Fabio Pozzato e Nick Savio lasciano la band, evento seguito poco dopo dall’ingresso in formazione di Danilo “Man” Bar alla chitarra. Un periodo molto concitato per i White Skull. Che sensazioni ricordi e come valuti con gli occhi di oggi quegli anni e quei dischi?
Parto subito con il dire che da lì iniziò quella che definirei la nostra “era oscura”, anche se le soddisfazioni non sono mancate: la Frontiers Records ci ha fatto uscire due bei dischi, che nonostante abbiano risentito dei cambi in line-up, ci hanno permesso di andare avanti con la carriera. Abbiamo suonato in festival davvero grossi – il “Gods of Metal”, il “Blind Guardian Open Air” in Germania, il “Tradate Iron Fest”, solo per citarne alcuni –, abbiamo avuto concerti un po’ dappertutto. Certo, il cambiamento tra Federica e “Gus”, la loro differenza, si sono avvertiti: i fan erano abituati a Federica, c’era chi si era trovato un po’ smarrito, dopotutto erano abituati a una voce femminile e subito dopo ne è arrivata una maschile. C’era chi addirittura diceva che senza di lei la band sarebbe crollata di lì a poco. Insomma, è stato un periodo un po’ così. Io e Alex Mantiero però abbiamo tenuto duro e in quel periodo siamo stati molto uniti. Non ti nego che ci sono stati dei momenti di sconforto, certo, ma non sono mai venuti meno quella voglia di andare avanti, di divertirsi, quella voglia di fare musica che andava a sopprimere le difficoltà, come potevano essere il leggero calo di vendite o di popolarità. Quella voglia c’era sempre e noi ci dicevamo: «Ma che importa? Noi andiamo avanti». Per fortuna, l’interesse degli addetti allo spettacolo non è mai calato nei confronti della band, perché nonostante tutto i nostri concerti hanno continuato a mantenere professionalità. Quelli che nel corso degli anni hanno abbandonato il gruppo, lo hanno fatto per motivi personali, non perché non credessero più in ciò che stavamo facendo: è successo perché c’era chi voleva prendere altre strade, come Nick Savio che voleva mettere su un progetto solista, o chi aveva dei problemi lavorativi, come Fabio Pozzato… Insomma, a volte diventa anche difficile gestire tutti gli impegni, personali e non. Sai, nella vita ognuno fa le proprie scelte, e io non ho mai impedito a nessuno di farlo. Io e i vecchi membri ci salutiamo ancora, ci sentiamo e siamo rimasti amici. Io e Alex però siamo sempre stati d’accordo sul fatto che chiunque sarebbe entrato a far parte della band, sostituendo chi era uscito, avrebbe dovuto portare la propria professionalità, così come abbiamo sempre fatto noi. Ti faccio un esempio: poco dopo l’arrivo di “Gus”, eravamo stati chiamati a suonare al Valpolicella Metal Festival, mi aveva contattato Max, che poi sarebbe poi diventato il nostro manager. Era rimasto sorpreso perché non avevamo più Federica, però era curioso di sentire il nuovo cantante. Alla fine del concerto è venuto da noi e ci ha fatto i complimenti, dicendo «non avete preso uno qualsiasi, avete preso uno che canta». Magari poteva non piacere perché non era Federica, ma non si poteva mettere in discussione il fatto che non sapesse cantare; anche perché se fosse stato un cantante un po’ “pressappoco”, non l’avremmo scelto. Insomma, abbiamo sempre cercato di lavorare con la massima professionalità, e i risultati si sono visti: la band è sempre andata avanti. Certo, a tante persone siamo piaciuti con tutte le formazioni, ad altri no, magari hanno pure storto il naso. Però non si può piacere a tutti, no? Quando piove, devi per forza tenere conto del fango. Quando qualcuno se ne andava, dovevamo fare delle scelte, mettendo in conto che potevamo anche perdere dei fan. Per dire, se hai cento fan, ne perdi venti, ne perdi dieci, ma magari ne acquisti dieci di nuovi. Pensa che ci sono addirittura state delle persone che mi hanno detto «finché avevate una voce femminile, non mi piacevate poi tanto». E sai cosa dicevo loro? «Se la pensi così, male. Vuol dire che la voce di Federica non l’hai ascoltata con attenzione, e parli per partito preso». Cioè, qui posso dire che i Warlock sono stati i capostipiti, ma noi in Italia siamo stati dei pionieri, i primi a proporre un tipo di voce femminile così. Prima di noi, In Italia, c’è stata Morgana. Grandissima e che salutiamo.

 


La line-up di “The Ring of the Ancient”

 

Nel 2007, poco dopo la pubblicazione di “The Ring of the Ancient”, per motivi di salute, se non erro, “Gus” è costretto a lasciare il mondo della musica. Decidete così di tornare a essere una female fronted band con l’innesto di Elisa “Over” De Palma al microfono e, sempre nello stesso anno, viene ufficializzato l’ingresso di Jo Raddi al basso. Il passo successivo è la pubblicazione di “Forever Fight”. Ti andrebbe di approfondire sia il periodo che il disco?
“Gus” ci ha lasciati più per motivi legati al lavoro che di salute. Tutt’ora svolge una professione che lo impegna tantissimo. Alla fine, far parte di una band è una cosa che ti occupa molto tempo, bisogna starci dietro. Dopo l’abbandono di “Gus”, abbiamo iniziato i provini per una nuova voce: abbiamo provato sia uomini che donne, ma c’era comunque la voglia di tornare con una voce femminile, e infatti così è stato. Non ti posso negare che il carattere di Elisa si è rivelato un po’ diverso da quello che abbiamo potuto vedere al momento di chiamarla a far parte del gruppo. È anche normale, in un certo senso; quando cominci a trascorrere molto tempo insieme alle persone, solo lì capisci come sono realmente. La collaborazione con Elisa non è durata molto perché dopo qualche tempo ci siamo resi conto che non c’era una vera e propria sintonia. All’inizio sembrava di sì, ma poi la situazione ha cominciato a essere complicata; quando ti rendi conto che per poter stare dietro a una persona sola devi mediare altre mille situazioni, beh, ti accorgi che forse il cantante che hai non è la persona ideale per la band. Ti racconto un aneddoto, legato a quel periodo: eravamo a un festival in Lituania e finito il concerto, per svariati motivi, ho consegnato la chitarra in mano a Max (il manager n.d.r.) e gli ho detto: «Sai, Max, sono contento che tu sia qui oggi, perché oggi hai visto l’ultimo concerto dei White Skull». In quel momento ero davvero incazzato, ero stufo di tante cose e avevo deciso di sciogliere la band. Non volevo più andare avanti con Elisa come cantante, perché aveva generato delle situazioni all’interno della band che non andavano bene, ma non avevo neanche voglia di cercare qualcun altro. Non avevo più energie, mi sentivo arrivato al mio capolinea, e in Lituania sono arrivato all’aut aut. Max, Alex e anche Danilo però non mi hanno neanche fatto arrivare in albergo, e hanno voluto a tutti i costi cercare di convincermi a desistere da quell’idea: «non preoccuparti, ci pensiamo noi a trovare una sostituta, tu dovrai solo venire ai provini». E io che ribattevo: «non avete capito nulla, io ho chiuso! Non vado da nessuna parte, sono stanco e voglio riposarmi». E invece, beh, se siamo qui a parlare vuol dire che alla fine sono riusciti a convincermi (ride n.d.r.). E ti dirò la verità, come si suol dire, chiudi una porta, anzi, una porticina, e… si riapre un portone.

 


La line-up di “Forever Fight”

 

Infatti, nel 2010 arriva un inaspettato colpo di scena, una notizia che tutti i fan di vecchia data sognavano da tempo: Federica “Sister” De Boni rientra nei White Skull. Non perdete tempo e per festeggiare l’evento partite subito in un tour intitolato “Sister’s Back Tour”. In una di quelle date io c’ero e, oltre all’entusiasmo dei fan, ricordo soprattutto il vostro entusiasmo sul palco, come se la famiglia si fosse nuovamente riunita. Cosa porti con te di quel tour?
Il ritorno di Federica per noi è stato davvero un colpo di fortuna, anche se qualche “malelingua” ha detto che era tutto premeditato. Tornati dalla Lituania, attorno al 20 luglio, ho detto «okay, adesso date la notizia che la cantante è fuori dal gruppo e che stiamo dunque cercando una nuova voce femminile. Fatevi mandare i demo, prima voglio fare una selezione». Viene data la notizia e iniziano a piovere i demo di un sacco di ragazze molto brave. Avevo così iniziato a fare una prima scrematura e a settembre avremmo dovuto iniziare a conoscerle e ad ascoltarle, facendole venire in sala prove. Avremmo dato loro dei brani da imparare per fare poi la prova live in sala. Questo era quanto avevamo pianificato. Un giorno mi chiama Max e dice «Capitano, ho una notizia per te. Non so se bella o brutta», «Beh, spara ‘sta notizia», «Ho sentito la “Sister”, che è in America», e fin qui, nulla di strano: sapevo che Federica era in America, io e lei ci sentivamo spesso, eravamo in ottimi rapporti, sono anche stato il suo testimone di nozze. Poi Max continua: «Ha detto che se l’aspettate, a giugno si trasferirà in Italia e vi raggiunge». Sorpreso, gli faccio «Come scusa?», «Ha detto che se l’aspettate, a giugno si trasferirà in Italia», «Ma quindi torna nella band?» «Se l’aspettate sì, vi manda anche il provino, se volete» (ride n.d.r.). Allora ho scritto subito a Federica, e da lì è nato “Under This Flag”. Avevamo già buttato giù dei brani nuovi in precedenza, ma con lei poi l’abbiamo concluso. Qui ti racconto un’altra storiella: durante le prove, quando c’era ancora Elisa, feci sentire a Elisa una bozza strumentale di ‘Red Devil’; dopo l’ascolto mi disse: «Questo è pop, non è metal. Io non le canto queste cose», io, Alex e Jo rimanemmo di sasso, le chiesi se fosse sicura di quello che stava dicendo, se stesse bene, alla fine le dissi che per i brani nuovi ne avremmo parlato più avanti. Quando l’ho data a Federica, beh, lei ci è davvero andata a nozze. Grazie a internet noi e Federica abbiamo iniziato subito a comporre mentre era ancora in America, scrivevamo delle musiche e subito venivano spedite oltreoceano affinchè ci lavorasse da subito. Non appena è arrivata in Italia abbiamo terminato la stesura dell’album e organizzato una serie di date, che sono poi state quelle del “Sister’s Back Tour”. La prima data è stata a San Donà, me lo ricordo perché si è rotto il microfono proprio all’inizio del concerto. Pensa, dieci anni senza Federica e nel momento in cui lei sale sul palco, la prima cosa che succede è che si rompe il microfono, non sai quante bestemmie… (ride n.d.r.). Comunque, ricordo molto bene l’emozione di rivedere Federica finalmente con noi. Non avevamo mai interrotto i rapporti, ci eravamo visti solo un annetto e mezzo prima, per una cena, però… vederla entrare in sala prove, prendere il microfono e cantare i suoi pezzi ci ha fatto venire la pelle d’oca, mi sono persino scese le lacrime. Anche per Danilo è stata davvero un’emozione ritrovarsela lì, con noi. Lui era un suo fan, e quando se l’è vista lì davanti, pronta per suonare con noi, mi ha detto «Minchia man, non ci credo» (ride n.d.r.). Pensa che un anno e mezzo prima, nel 2009, quando con noi c’era ancora Elisa, io e lui avevamo incrociato Federica in un centro commerciale a Vicenza (lei era tornata in Italia in vacanza, per rivedere i genitori, parenti e amici) e io gliel’avevo presentata. Lui non l’aveva mai conosciuta e già allora era stato emozionatissimo, figurati poi quando l’abbiamo riavuta come cantante… Da quel momento poi la formazione non è più cambiata. Abbiamo ancora Jo al basso, Danilo alla chitarra, Federica c’è, Alex c’è, io ci sono… Abbiamo aggiunto solo Muscio.

 


Il video di ‘Red Devil’, canzone tratta da “Under this Flag”

 

Ora la storia è recente, i White Skull sono una band coesa, affiatata, in cui l’entusiasmo sembra scorrere come un fiume in piena. Il risultato sono due dischi ispirati come “Under this Flag” e “Will of the Strong”, due album che ci riconsegnano i White Skull come abbiamo imparato ad amarli: rocciosi, diretti, melodici. Concordi con questa mia visione?
Sì, assolutamente sì. Viviamo tutti la band come se fossimo una famiglia, c’è tanta voglia di divertirsi e, anche se in ogni famiglia possono esserci dei problemi, al momento, per fortuna, noi non ne abbiamo. Certo, il music business a volte può portare a momenti di sconforto, non è sempre tutto rose e fiori, non funziona sempre tutto alla grande. Noi però teniamo duro, ci prendiamo le nostre soddisfazioni, suoniamo quando possiamo farlo e quando siamo nelle condizioni di riuscirci alla grande e, perché no, pensiamo al futuro. E nel futuro sappiamo che non abbiamo intenzione di fermarci.

 

Tony, in questo lungo tragitto che abbiamo sin qui ripercorso, Alex Mantiero è sempre stato al tuo fianco. Un rapporto artistico che credo poggi prima su una profonda amicizia e rispetto. Qual è il segreto che vi ha permesso di andare avanti assieme per tutti questi anni?
Non frequentarci nella vita privata. Lo dice sempre anche Alex; cioè io e lui ci vediamo anche al di fuori della band, lo facciamo solo se serve, però. Siamo molto coesi, ma non ci vediamo ogni giorno, non usciamo tutte le sere, non siamo sempre assieme, siamo come due fratelli, che vivono in luoghi diversi e suonano assieme. Abbiamo le idee chiare, certo non mancano le discussioni, ma neanche i sorrisi e gli abbracci. Ormai ci capiamo al volo, in qualsiasi situazione, senza neanche bisogno di parlarci. E la nostra intesa dura da 26 anni. Lui è la persona che suona con me da più tempo, so esattamente che piatto andrà a colpire quando suona, se cambia piatto, vuol dire che l’ha fatto apposta (ride n.d.r.).

 

Tony, supponendo che tra i lettori ci siano persone che non conoscano i White Skull, se dovessi consigliare loro tre dischi per iniziare a seguire la tua band, quali consiglieresti e perché?
Il primo disco che consiglierei è “Will of the Strong”, perché è l’ultimo disco che abbiamo fatto dopo trent’anni di carriera, il decimo che abbiamo inciso. Se qualcuno lo ascolta e gli piace, beh, vuol dire che qualcosa di buono c’è.
Il secondo è “Tales of the North”, perché è stato il disco di maggior successo dei White Skull, quello che ci ha fatti conoscere in tutto il mondo.
Il terzo… Beh, è una scelta difficile, ce ne sarebbe più di uno che potrebbe andare bene, mi metti un po’ in crisi. Preferisco però rimanere “moderno” e direi “Under this Flag”, che è l’album della rinascita, il primo con Federica di nuovo alla voce. Io preferisco che la gente ci ascolti per come siamo ora. Certo, è vero che suoniamo ancora oggi pezzi da “Public Glory, Secret Agony” come facevamo una volta, anzi, forse meglio, mi verrebbe da dire, però è meglio se uno si ascolta “Under this Flag”.

 


Il video di ‘Will of the Strong’, canzone tratta dall’omonimo album

 

Con il senno di poi, c’è un disco dei White Skull che non ti convince, ammesso che ci sia? Se ne avessi la possibilità, cosa cambieresti?
Sì, ce n’è uno: “Il Tredicesimo Teschio” (“The XIII Skull” n.d.r.). Di quell’album, se avessi la possibilità, cambierei il missaggio. Non perché sia un brutto disco ma… cambierei il massaggio, ecco. Renderebbe di più, così.

 

E adesso, quali i progetti futuri per i White Skull?
Non saprei dirti… beh, sicuramente abbiamo in progetto un altro disco, e spero che non ci metterà cinque anni a uscire come è successo invece con l’ultimo. In ogni caso, non abbiamo fretta. Nel momento in cui metteremo giù delle buone idee ci lavoreremo, non ci va di proporre all’ascoltatore una cosa fatta con superficialità, giusto per dargli la possibilità di acquistare il CD. Non vogliamo che i fan dicano dei nostri dischi «Sì, beh, insomma…»; vogliamo che pensino «Ah, però! Dopo trent’anni hanno ancora qualcosa da dire». Un album deve essere piacevole, non deve dire sempre le stesse cose: la qualità prima di tutto. Se c’è una cosa di cui sono contento, è che se vado a vedere le recensioni dei nostri dischi, non abbiamo recensioni negative, cosa che invece è successa a qualche band. Questo significa che non facciamo musica tanto per fare, non corriamo dietro ai dischi, ma ci mettiamo impegno, buone idee e un lavoro professionale. Una volta, quando eravamo sotto Nuclear Blast o sotto Frontiers era diverso: ci trovavamo spesso sotto pressione per via dell’uscita degli album, c’erano dei tempi da rispettare… Con Dragonheart invece abbiamo un bel dialogo. Se i White Skull avranno il disco pronto per il 2019, lo faranno uscire nel 2019, supportato da un buon lavoro di promozione; altrimenti, che sia nel 2020 o nel 2021, non ci sono problemi. L’importante è che alla gente arrivi un buon prodotto da ascoltare, qualcosa che abbia una personalità e non sia la solita minestra rimescolata. Se provi a pensare ai nostri album, ti accorgerai che sono diversi, per dire “Will of the Strong” è un album diverso rispetto a “Under this Flag”, ma entrambi hanno sempre qualcosa da dire. Ed è questo che noi vogliamo, non ci va di scrivere qualche riff giusto per far uscire il disco; per noi deve essere un divertimento e una soddisfazione arrivare a un album di qualità. Altrimenti sarebbe come scrivere dei libri raccontando sempre la stessa storia, cambiando solo i personaggi.

 


L’attuale line-up dei White Skull

 

Oltre alla musica, quali sono le passioni di Tony “Mad” Fontò?
Amo la montagna, in tutti i suoi sensi alpinistici: è un luogo dove trovo una grande pace, ma che soprattutto mi dà energia, adrenalina. Nel tempo libero ci vado spesso, mi arrampico, scalo vette. Per me è un vero paradiso. Poi, ho dei progetti musicali paralleli ai White Skull, per sopperire ai momenti in cui magari si suona poco con i White Skull: ho una band dove suono in acustico, un’altra dove portiamo avanti una strada più hard rock… Come diciamo io e Alex, è un modo per tenerci in movimento e non arrugginirci. Ho anche una moto, con la quale mi piace moltissimo viaggiare e pratico arti marziali, l’Aikido. Sono diventato istruttore e aiuto il mio maestro con i ragazzi, continuo comunque ad allenarmi, è una cosa che mi piace molto.

 

Che poi, l’Aikido è una disciplina che ha una sua filosofia, va vissuta a 360°…
Sì, è così. Io incarno l’Aikido in tutto quello che è il suo essere. Per ora sono secondo dan.

 

Meglio non farti arrabbiare, insomma!
Così dicono! (ride n.d.r.)

 

Tony, ricordando l’appuntamento del 20 ottobre a Vicenza, siamo arrivati alla fine dell’intervista. Ti ringrazio per essere stato nostro ospite e lascio a te le ultime parole per salutare i nostri lettori.
Saluto e abbraccio tutti i lettori, spero di vedervi in prima fila al concerto del 20 ottobre e per chi non ci sarà, sicuramente ci saranno altre occasioni. Adesso ci sarà la festa del trentennale, ma poi ci sarà anche il tour di promozione di “Will of The Strong”, che adesso portiamo per la maggiore. Però, comunque qualcosa dal trentennale magari lo rimetteremo in pista nei prossimi concerti, non si sa mai!

 

Marco Donè