Recensione: Ant Kadehi

Di Elisa Tonini - 7 Marzo 2018 - 0:00
Ant Kadehi
Band: Yaşru
Etichetta:
Genere: Heavy 
Anno: 2017
Nazione:
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83

La Turchia è una terra dai mille volti e possiede una storia complessa e ricca di contraddizioni col suo essere stata nei secoli un crocevia di culture ed un centro di commercio che profuma di innumerevoli tipi di spezie e molto altro. La sua complessità si riflette oggigiorno anche nell’aspetto musicale. Partendo da artisti dediti al cosiddetto anatolian rock o turkish rock come Barış Manço, Cem Karaka, Erkin Koray ed i Moğollar arriviamo ai Mezarkabul/Pentagram (considerati i pionieri dell’heavy metal in Turchia), ai Khepra (ex Gürz), ai Dishearten ed ai presenti Yaşru. gruppi che in modo differente ci offrono una sorta di spaccato culturale della Turchia e della forma mentis dei turchi. 

Per quanto riguarda i qui presenti Yaşru, l’ispirazione arriva da lontano, essendo alimentata soprattutto dall’avventuroso e selvaggio folk dell’Asia Centrale. Il gruppo trasporta nella musica ciò che è definito turco (turkic) in un senso molto ampio ed arcaico, che comprende anche popoli e culture di paesi come il Kazakistan, il Kirghizistan fino a sconfinare anche in Mongolia, Cina ed in alcune zone della Siberia. Gli Yaşru (il cui nome significa “mistero”, “segreto” in lingua göktürk) fanno una costante ricerca sulle proprie origini antiche sia dal punto di vista storico che musicale ed il tutto viene poi tradotto in uno stile da loro definito Turkic-Doom-Folk Metal (cosa che in una lingua agglutinante come il turco probabilmente si può esprimere in una sola parola). Partiti da una forte base doom metal caratterizzata da un animo intimista dei primi due dischi (Öd Tengri Yasar e Öz) gli Yaşru hanno proposto con “Börübay” un’inedita ventata aggressiva vicina al death melodico; il nuovo full-lenght “Ant Kadehi”, segue il filo conduttore del precedente disco.

Il nome Ant Kadehi pare riferirsi ad una tipologia di statua dotata di una valenza iconografica. Una statua del genere è tra l’altro presente nell’artwork di Sary Oy dei kirghisi Darkestrah, gruppo a cui gli Yaşru sono affini per quanto riguarda il background culturale, musicale e lirico. L’epicità orgogliosa ma anche nostalgica dei nostri ha dei punti di contatto – nonostante il background culturale diverso – anche con i Bathory dell’era viking, con i Moonsorrow, i Falkenbach e i Windir.

Per l’approccio musicale, tracce come “Yalnızsın” e “Tek Korkum” possono ricordare in certi frangenti gli appena citati Windir (specie “Yalnızsın”) sia per il modo in cui vengono usati gli effetti sonori che per la velocità di esecuzione. “Yalnızsın” avvolge l’ascoltatore in un’ariosa, volteggiante e struggente danza in cui un metafisico cantato pulito pare esprimere la sua solitudine dinanzi ad un vasto e gelido paesaggio, sentimento esasperato poi brevemente in un passaggio del brano cantato in un growl quasi apocalittico. “Tek Korkum” è un brano dotato da un sentimento più ottimista e agguerrito ed è dominata da un furioso cantato in growl, abbandonato solo brevemente nel momento più lento e spiritualmente raccolto della canzone. In quell’istante il frontman Berk Öner si inerpica in un clean commovente.

Un altro pezzo molto veloce è “Aşina”, canzone dotata di poderose atmosfere e melodie dall’aria maestosa, quasi divina. Lo spirito guerriero del cantato in growl traina il brano lasciando solo brevemente spazio ad un mistico throath singing nel momento più atmosferico, quasi in trance. “Aşina” è probabilmente il brano genuinamente più sereno dell’album. Un po’ meno veloce ritmicamente dei brani appena citati è la title-track, canzone dotata di grande entusiasmo e marziale combattività che racchiude all’interno di sé melodie ed arrangiamenti di un misticismo sciamanico arioso e struggente.

Si cambia decisamente registro con la intro “Oğuzelleri”, la cui atmosfera sembra pastorale ed arcana grazie a una struttura fatta di complessi intrecci di strumenti tradizionali ad arco, a corda e percussioni. Il tocco scintillante di questi strumenti porta l’ascoltatore ad immaginare le vaste e selvagge steppe d’Asia.

Cambiando ancora sonorità “Elem”, “Son Gece (Chieh Shi Shuai)” e “Talkan & Curcan” giocano maggiormente su ritmiche doom. “Elem” è la traccia che più porta alla mente i primi lavori degli Yaşru per il suo essere introspettivo e permeato da atmosfere cupe e colme di mestizia o, meglio, di dolore (apputno Elem in turco).  Queste emozioni opprimenti sono enfatizzate dai drammatici tocchi di pianoforte. In “Elem” però non mancano ritmiche rocciose e, a sorpresa, il brano sfodera sorprendenti accelerazioni dall’aria grezza che possono ricordare certe sfuriate black metal dei Darkthrone. “Son Gece (Chieh Shi Shuai)” si differenzia da “Elem” per una serenità maggiore e per la rassicurante epicità di una notte stellata, su cui si inseriscono decise sfuriate di death metal melodico e brevi tocchi di uno strumento a fiato. Il brano pare cantare l’epicità di un evento legato alla figura Ashina Jiesheshuai.

L’ultima traccia del disco, “Tarkan & Curcan” pare riferirsi a due eventi storici bui della storia turca, risalenti all’ottavo secolo in cui gli arabi commisero orrori indicibili nei confronti della popolazione e della cultura dei turchi per costringerli a diventare musulmani. Forse proprio per tributare il popolo turco pagano, la band ha reso la traccia un trionfo di melodie create da strumenti tradizionali, avvinghiate a ritmiche doom e brevi sfuriate monolitiche ed aggressive dall’aria death metal melodico. La sognante tessitura melodica ed atmosferica di “Tarkan & Curcan” colpisce per il suo luminoso senso di abbandono mistico.

“Ant Kadehi” come detto in precedenza prosegue la strada tracciata da “Börübay” irrobustendo il sound e continuando a fare buon uso di un cavernoso cantato gutturale in growl, di una maggiore velocità di esecuzione e di intense virate estreme, anche di stampo black oltre che death melodico. Come visto, nel caso di diverse canzoni le melodie etniche sono costruite perlopiù dalla componente elettrica rispetto a quella tradizionale. Ciò dà loro un piglio maggiormente istintivo ma anche glaciale.

Nonostante la riduzione della strumentazione tradizionale l’originario spirito turkic del gruppo è rimasto intatto anche in quelle tracce. La produzione di “Ant Kadehi”  mette in risalto ottimamente l’aspetto selvaggio, istintivo, e dona alla musica una patina grezza ed antica. Il registro vocale di Berk, che ondeggia tra un growl cupo e un affascinante timbro pulito, si adatta perfettamente ai ruoli di valoroso batyr (ovvero eroe nella lingua kazaka), carismatico cantastorie e mistico kam (sciamano) ed eleva la qualità emotiva delle tracce. Lo sporadico intervento dell’ipnotico throath singing dona un senso di comunione con la natura e la sua spiritualità circonda l’ascoltatore. Il livello tecnico generale è più che buono ed i vigorosi assoli che collegano adeguatamente le varie parti dei brani disegnano storie musicali di un dinamismo coinvolgente. Notevoli sono poi i giri di basso che con il loro tocco pulsante danno un ulteriore spessore alle tracce mentre una batteria potente ne esprime il loro carattere turbolento: ci troviamo davanti ad un ottimo album. Un disco fluido che conferma la grande coerenza della band: una coerenza che non frena il loro istinto di evolvere denotato da qualche interessante elemento innovativo rispetto alle precedenti uscite. La scelta di continuare a percorrere questa nuova strada più aggressiva si è rivelata molto convincente ed esalta le emozioni delle composizioni in un ventaglio espressivo più ampio, preciso e sicuramente di maggiore impatto. Questo percorso è da ritenersi un’ottima evoluzione dello stile degli Yaşru, un’evoluzione spontanea, non forzata. “Ant Kadehi” conferma la band turca come uno dei più originali gruppi folk metal attualmente in circolazione. Decisamente promossi.

Elisa “SoulMysteries” Tonini

 

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